La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene
Che La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene - uscita in prima edizione nel 1891 e poi ripubblicata numerose volte e con numerose aggiunte fino al 1911, anno della morte del suo autore - sia stata un punto di svolta cruciale nel modo di intendere la cucina e la letteratura gastronomica in Italia, oggi non c’è bisogno di ribadirlo. Ma non sempre si è pensato allo stesso modo e questa edizione, curata da Camporesi nel 1970, è stata fondamentale per il riconoscimento dell’importanza dell’opera di Artusi. Sentiamo a proposito Alberto Grandi:
«Su questo libro si è già scritto molto; gli studiosi di storia dell’alimentazione, dopo averlo snobbato per decenni, grazie soprattutto all’edizione critica che Piero Camporesi curò per Einaudi nel 1970 hanno cominciato a rendersi conto del ruolo che La scienza in cucina ha avuto nel processo di costruzione di quella cosa strana che molti chiamano cucina italiana. Non solo, ma come dice lo stesso Camporesi: «La scienza in cucina ha fatto per l’unificazione nazionale più di quanto non siano riusciti a fare I Promessi sposi [...] I ‘gustemi’ artusiani sono riusciti a creare un codice di identificazione nazionale là dove fallirono gli stilemi e i fonemi manzoniani». Faccio solo notare, en passant, che l’interesse per La scienza in cucina si è riacceso proprio all’inizio degli anni Settanta; sempre lì si va a cascare [...]»
(Alberto Grandi, Denominazione di origine inventata. Le bugie del marketing sui prodotti tipici italiani, Milano, Mondadori, 2018, p. 42-43).
L’ultima frase della citazione fa riferimento alla tesi, sostenuta dal testo di Grandi, che «La cosa chiamata “cucina italiana”, ammesso che esista, sarebbe quindi un prodotto economico e culturale, frutto di un processo in gran parte artificiale iniziato nel secondo dopoguerra» (ivi, p. 15) e che proprio negli anni Settanta del secolo scorso ha avuto una decisiva accelerazione.