Storie di teatri, teatranti e spettatori
di Marina Calore
1. Introduzione
2. Dall'antico al nuovo regime
3. Il regolamento teatrale
4. Gli spettacoli diurni
5. Le istituzioni musicali
1.Introduzione
Il fondo denominato "Teatri e Spettacoli", riordinato di recente, integrato e debitamente inventariato, si impone all'attenzione di studiosi e ricercatori di varie discipline innanzi tutto per l'eccezionale quantità dei pezzi, ben oltre il migliaio, in esso contenuti e in secondo luogo per la molteplicità delle informazioni di prima mano che è in grado di offrire. È costituito infatti in prevalenza da avvisi a stampa e programmi di manifestazioni, lettere circolari e convocazioni accademiche, con l'aggiunta di inviti, tessere e biglietti d'ingresso ai teatri, rapportabili tutti a spettacoli d'ogni genere, compresi quelli che oggi definiremmo 'sportivi', dati a Bologna e nel suo circondario in un lasso di tempo che va dagli ultimi anni del XVIII alla prima metà del XIX secolo, suddivisi in base ai luoghi di rappresentazione (teatri, arene, sale pubbliche e private, ecc.) ed ordinati cronologicamente.
Il fondo comprende inoltre un consistente numero dei così detti 'omaggi poetici' (sonetti, odi, epigrafi, ecc.) stampati su fogli volanti e anch'essi disposti in ordine cronologico, composti da ammiratori e diretti ad artisti che si distinsero in quei medesimi spettacoli o, quanto meno, vi presero parte e contribuirono alla loro buona riuscita.
Ciò non esclude che si trovino qua e là fortunosamente inseriti anche dei documenti antecedenti, sia a stampa sia manoscritti, riguardanti in particolare la travagliata vicenda progettuale e costruttiva del così detto teatro 'Nuovo' (odierno teatro Comunale), lo smantellamento del venerando teatro della Sala ricavato all'interno del palazzo del Podestà, l'attività dei teatri Formagliari (poi Zagnoni), Marsigli, Felicini e le recite tenute in qualche aristocratico teatrino privato. Si tratta in questi casi per lo più di frammenti che pure hanno un valore evocativo in quanto testimonianze della costante presenza in città di teatri prestigiosi e frequentati e della tradizionale propensione bolognese per gli spettacoli.
Il nucleo più compatto e consistente del fondo resta, comunque, quello formato dagli 'avvisi teatrali' veri e propri, intestati cioè ai singoli teatri e luoghi teatrali in funzione a Bologna nel primo Ottocento. Si tratta degli avvisi utilizzati abitualmente dagli impresari per presentare ora il programma complessivo delle loro stagioni, ora le singole opere in fase di allestimento, dai capocomici per far conoscere i componenti delle loro compagnie e i capisaldi del repertorio, dai singoli attori per annunciare le serate a proprio beneficio, dalle direzioni stesse dei teatri, infine, per comunicare tempestivamente ogni variazione di programma: sostituzioni, repliche non previste, sospensioni forzate, e ancora estrazioni di tombole, organizzazione di veglioni, ecc.
Molteplici sono poi gli 'avvisi interessanti', 'particolari', 'eccezionali' (e sono anche i più godibili alla lettura), che venivano distribuiti in gran copia e non di rado contestualmente riprodotti sulle pagine della stampa periodica.
Redatti in modo da catturare la generale attenzione, avevano lo scopo di reclamizzare le esibizioni di artisti di passaggio (cavallerizzi, ventriloqui, prestigiatori, virtuosi di qualche strumento, poeti estemporanei e quant'altro).
E sempre tramite avvisi vengono annunciate di volta in volta le partite più avvincenti di gioco del pallone, le corse dei fantini, le ascensioni di mongolfiere, si decantano le stupefacenti applicazioni dell'ottica e della meccanica, si elencano le specie di animali esotici, possibilmente "feroci", esposti nei serragli provvisoriamente allestiti in città.
Ad un pubblico più circoscritto, composto di abbonati, associati e melomani, si rivolgono per lo più le 'lettere circolari', recapitate a mano, allo scopo di informare i fedeli e abituali utenti sulla scelta di qualificate produzioni drammatiche che i dilettanti di turno si apprestano a recitare o sui brani musicali da eseguirsi durante le periodiche accademie vocali e strumentali e i saggi degli allievi del Liceo filarmonico.
Il valore documentario di tutta questa gran mole di materiali è indubbio, e non solo dal punto di vista specificamente teatrale, dal momento che, coerenti con la loro funzione informativa, gli 'avvisi' sono sempre concepiti in modo da fornire ai destinatari, ovvero al "Rispettabile Pubblico", il maggior numero di notizie utili: sulla natura degli spettacoli proposti come sugli artisti e le maestranze impegnati nella realizzazione, unite ad una serie di ragguagli pratici su luoghi, tempi, orari, prezzi dei biglietti e modalità per acquistarli.
È sufficiente poi uno spoglio anche sommario per notare quanto l'offerta spettacolare si faccia nel corso degli anni sempre più ricca e diversificata, resa accessibile, entro certi limiti, a fasce sociali sempre più ampie, e in grado di soddisfare tutte le esigenze, culturali, mondane o di puro intrattenimento, come indirettamente sembrano confermare i tanti 'omaggi poetici' che fanno parte della raccolta. In proposito va tenuto presente tuttavia che tale multiforme offerta non costituisce di per sé una prerogativa bolognese, ma è piuttosto caratteristica di un periodo storico in cui prende avvio su larga scala quella che viene definita l'industria del teatro, e lo spettacolo si appresta a diventare un rilevante settore della vita sociale, politica ed economica.
Costituisce infine motivo di indubbio interesse e di curiosità il constatare la crescita numerica degli spazi teatrali di varia capienza, stabili o provvisori, pubblici o privati, alcuni dei quali di nuova concezione, altri a destinazione 'popolare', messi a disposizione di un pubblico che si prevede ottimisticamente sempre più numeroso, e che risultano meglio distribuiti, rispetto al passato, su tutto il tessuto urbano.
Proprio delle vicende dei teatri bolognesi del primo Ottocento, la gran parte dei quali è scomparsa senza quasi lasciare traccia, si tratterà delle pagine che seguiranno e che hanno lo scopo di ricostruire un plausibile contesto entro cui inserire, come tante tessere di un mosaico, i materiali conservati nel fondo. A questo fine, si è ritenuto indispensabile partire dalla fugace esperienza giacobina che ha creato i presupposti per una fruizione democratica del teatro e per il rinnovamento dei repertori. In seguito si è cercato di illustrare per sommi capi i ripetuti tentativi, da parte delle autorità, di limitare l'eccessiva intraprendenza dei nuovi proprietari di teatri e di tenere sotto controllo i comportamenti del pubblico.
2. Dall'antico al nuovo regime
1. Viene convenzionalmente chiamato 'giacobino' il triennio che va dal giugno 1796 al giugno 1799, che coincide con la prima occupazione francese di gran parte dell'Italia settentrionale e col travagliato tentativo di sostituire l'ordine politico consolidato con un nuovo modello di stampo democratico e repubblicano. Di conseguenza viene detto 'teatro giacobino' tutto quanto si teorizzò intorno al teatro e si produsse per il teatro in questo medesimo tempo anche se in realtà in ambito teatrale i confini tra vecchio e nuovo appaiono piuttosto sfumati e alle affermazioni di principio, ai progetti di riforma elaborati, alle molteplici disposizioni emanate, non sempre per fortuna corrispose una applicazione pratica. Va detto invece che l'attività quasi frenetica impressa ai teatri, il fervore delle iniziative spontanee, la volontà di coinvolgere un pubblico sempre più numeroso, furono fattori positivi e conquiste durature che lasciarono un'impronta nelle società e nelle generazioni future.
Durante questo periodo, dunque, i governi provvisori insediati nei territori 'liberati' dalle armate d'oltralpe, spinti dalla necessità di catechizzare in tempi brevi le masse per motivarne l'adesione all'ideologia rivoluzionaria, si valsero di ogni mezzo e di ogni occasione per fare propaganda: della stampa 'democratica' e dei comizi, delle feste di piazza e degli spettacoli teatrali. Perché il teatro risultasse davvero un mezzo di propaganda efficace sarebbe stato necessario però rinnovare i repertori, coinvolgere impresari e capocomici, rendere gratuito l'accesso ai teatri, ecc. In altri termini, occorreva avviare una riforma radicale i cui effetti non potevano essere immediati.
Fin dal luglio del '96, tuttavia, sul periodico "Il Termometro politico della Lombardia" era comparso un lungo articolo di Francesco Saverio Salfi dal titolo Norme per un Teatro Nazionale, nel quale si illustrava, attraverso gli immediati precedenti rivoluzionari francesi, lo stretto legame intercorrente fra teatro e politica, e si auspicava la costituzione di un 'teatro nazionale', cioè a servizio della comunità, formato da dilettanti ed aspiranti drammaturghi di vedute democratiche e destinato a diventare un insostituibile strumento di educazione popolare.
La proposta, così formulata, invitava in un certo senso le formazioni dilettantesche, che fino ad allora avevano operato in subordine mendicando spazi e protezioni, ad assumere finalmente un compito primario. Essa suscitò vivo interesse, fu oggetto di dibattiti, venne rielaborata ed adattata alle diverse realtà locali per cui, in luogo di un 'teatro nazionale', si ebbero vari 'teatri civici', a Milano e Bologna sul finire del 1796, a Venezia nella primavera del '97, quindi a Modena, Reggio, ecc.
A Bologna furono sufficienti pochi mesi per costituire una Società dei Patrioti, assicurarsi la piena disponibilità di un teatro ed elaborare delle linee programmatiche che vennero comunicate tramite la stampa periodica. In sintesi, l'attività di questa Società dei Patrioti non aveva come obiettivo solo la 'moralizzazione dei costumi' e la 'pubblica istruzione' ma anche la beneficenza nei confronti degli indigenti ai quali era destinato il ricavato delle recite.(1)
S'apre un campo alla beneficenza de' Cittadini nel nuovo teatrale stabilimento, imperocché li suddetti Comici si dividono in Accademici Attuali e in altri d'Onore. Questi ultimi si esibiscono a prestar l'opera loro nell'amministrazione civile ed economica, oppure a contribuir col denaro al decoro del teatro e al sollievo dei poveri. Sostenete e favorite, o Cittadini tutti, i pii ed insieme dilettevoli disegni di questa patriottica Società, che in sé riunisce quei Membri onorati, che voi tanto stimate e per l'ingegno e per patrio amore. Godono quivi pure le Cittadine que' medesimi diritti del Cittadino Accademico, onde animatele a farsi Attrici della Patria, in faccia della quale niente perdono della loro virtù, anzi con nuova educazione si rendono pronte a difendere con intrepidezza l'onore e i diritti.
L'appello rivolto alla componente femminile, finora assai scarsa nelle formazioni dilettantesche, era quanto mai opportuno. Detto questo, va subito chiarito che non vi fu nulla di rivoluzionario nell'iniziativa (se si esclude la lettura di 'catechismi' o il canto di 'inni' inseriti tra gli atti delle recite), sia per quanto attiene alla fruizione, troppo elitaria e circoscritta, sia per quanto riguarda la scelta del repertorio, sia per le finalità benefiche stesse.
Ad offrire sede adeguata allo scopo fu Angelo Marsigli attratto, come altri esponenti dell'ex aristocrazia, dal nuovo corso degli eventi e proprietario dell'omonimo teatro che venne ribattezzato per l'occasione Teatro Civico. Fu questa una circostanza unica e fortunata perché altrove le società patriottiche che si dedicarono al teatro dovettero accontentarsi di sistemazioni precarie. Il Teatro Civico di Bologna inoltre dispose di finanziamenti sufficienti e trovò un influente protettore in Carlo Caprara che ne assunse la presidenza.(2)
L'esperienza durò in tutto due anni, passando dal consenso dell'esordio ad un progressivo calo delle presenze tanto tra gli spettatori che tra i recitanti, ma il suo fallimento fu più formale che reale poiché molti dei componenti la Società Patriottica continuarono a calcare le scene, dando luogo a formazioni sempre nuove.
Gli spettacoli presero avvio il 20 gennaio 1797 con la riapertura del teatro "dipinto di nuovo ed abbellito a spese del generoso cittadino proprietario".(3)
Il primo corso di recite vide passare sulle scene tre tragedie alfieriane (Saul, Bruto primo e Sofonisba), due farse di Francesco Albergati (Il capriccioso e Il gazzettiere), quindi L'erede fortunato di Goldoni, Tartufo di Molière, Maometto e Zaira di Voltaire e un intermezzo in musica intitolato La cifra. Tra gli ospiti illustri vi fu Napoleone per il quale la sera del 31 gennaio, dopo la recita, si diede una festa.
(4) Il bilancio complessivo della prima stagione fu in attivo e con orgoglio la Società fece sapere che con gli introiti erano state soccorse ottanta famiglie indigenti.
L'attività riprese nel tardo autunno con una messa in scena dell'Antigone di Alfieri, più volte replicata, per la quale "Il Monitore Bolognese" non lesinò elogi ai recitanti, alle scene (del cittadino Palagi), ai costumi ("un vestiario preciso ed adattato alla storia"). Dal 3 dicembre fu la volta della Marianna di Voltaire, abbinata ora con una Cantata patriottica, ora con la farsa La notte di Albergati. Malgrado il tentativo di variare il più possibile il genere degli spettacoli l'affluenza del pubblico si era ridotta.
"Il teatro, nonostante sia servito mirabilmente, è poco frequentato, ed alcuni Palchi sono già designati per rimaner chiusi"
constatava a fine anno "Il Monitore Bolognese".
Pur essendo l'attenzione del pubblico ormai rivolta a ciò che avveniva negli altri teatri, la Società Patriottica durante il carnevale del '98 proseguì nell'impegno proponendo una non eccelsa Virginia e un dramma giocoso di Paisiello, Il marito geloso (per il quale venne stampato, cosa eccezionale, il libretto), unito al ballo Il tutore deluso, ben eseguito a quanto risulta.
Ma già si profilavano gli inconvenienti insiti nel dilettantismo: mancanza di tempo per provare, frequenti assenze e sostituzioni. Così dalla benevolenza finora dimostrata dai redattori de "Il Monitore Bolognese", si passò alle critiche d'altri periodici meno moderati, pronti a raccogliere pettegolezzi e a segnalare diverbi.
Si giunse infine alla totale indifferenza nei confronti di ciò che restava della Società dei Patrioti, finché l'arrivo degli Austro-Russi non la sciolse forzatamente.
2. Il Salfi concludeva il già citato articolo con queste parole:
"Il primo teatro della repubblica sia quello della declamazione. Da questo dipendono come subalterni gli altri destinati alla musica e alla danza".
L'opera in musica, corredata dall'immancabile ballo, costosa, superflua se non piuttosto dannosa, fu uno dei bersagli preferiti dalla retorica giacobina. Alle critiche superficiali nei suoi confronti si aggiunsero le accuse, non nuove, rivolte agli impresari 'rapaci', alle primedonne di facili costumi, alla intollerabile pratica dei castrati. Roccaforte del privilegio, dunque, condannata dalla 'ragione' per il suo mero edonismo, essa avrebbe dovuto presto o tardi scomparire dalle scene. Ma non avvenne nulla di quanto verbalmente minacciato e l'opera in musica continuò a dominare incontrastata nelle città 'liberate', limitata semmai non dalla disaffezione del pubblico ma dalle disastrate finanze delle varie Municipalità, come accadde a Bologna.
Fin dagli inizi, come si sa, prerogativa del teatro Comunale fu l'opera seria con ballo, quanto di meglio cioè si potesse concepire in campo spettacolare. Non sempre però l'erario municipale era stato in grado di sostenere l'onere di siffatti allestimenti e il maggior teatro cittadino rimase spesso inattivo. Il 1796 tuttavia si preannunciava come un'annata favorevole poiché il cartellone prometteva due opere nuove per Bologna, un valido cast vocale in cui spiccavano i nomi di Elisabetta Billington e Domenico Mombelli, e le coreografie di Salvatore Viganò.
La Merope, musicata dal Nasolini, venne rappresentata per prima ma quando fu la volta dell'Ines de Castro, un pasticcio musicale adattato ai mezzi vocali ed espressivi della primadonna, le armate francesi avevano già occupato la città e ciò costrinse l'impresario ad eliminare dal libretto a stampa la consueta dedica al Legato per sostituirla con quella, più opportuna, alle "Illustri Cittadine". (5)
Sappiamo comunque che la Billington dovette piacere assai perché le venne rinnovata la scrittura per le opere della primavera seguente (La morte di Cleopatra e Alzira) anch'esse attese ed applaudite, il cui costo però prosciugò le risorse della Municipalità che nei due anni successivi preferì concedere il suo teatro ad alcune compagnie 'democratiche' particolarmente benemerite.(6)
Il teatro Pubblico per antonomasia, o teatro Nuovo come ancora si diceva, mantenne invece inalterato il ruolo di locale di rappresentanza dove accogliere ospiti illustri di passaggio (dal commissario Saliceti nel settembre del 1796 al generale Brune nel dicembre '98), celebrare i fasti di regime (con l'esecuzione di Cantate per musica e l'allestimento di impianti scenografici), ostentare democratiche concessioni con veglioni e spettacoli gratuiti.(7)
Non risulta invece che le critiche mosse all'opera seria si estendessero ai drammi giocosi o buffi che dir si voglia, dalla vena popolaresca e sentimentale, meno impegnativi e costosi di quella ma altrettanto graditi al pubblico. Negli ultimi vent'anni se n'erano rappresentati molti, al teatro Marsigli come al teatro Zagnoni, tuttavia, una volta trasformato il primo in Teatro Civico, essi divennero una prerogativa del secondo che in effetti tra il '96 e il '98 ne mise in scena un buon numero, anche se non sempre alla quantità corrispose la qualità. Poi le recite delle compagnie comiche (Battaglia, Rossi, Paganini-Pianca) presero il sopravvento e il pubblico mostrò di apprezzare la scelta, partecipò con entusiasmo crescente, finendo per manifestare troppo apertamente consensi e dissensi ("Era la moda di certi grossi bastoni nodosi coi quali, battendoli nella platea, si accresceva il rumore", annotava il cronista).
Per riabilitare le sorti del teatro Zagnoni, un poco compromesse da polemiche ultimamente insorte, si pensò di proporre un'opera seria fuori programma approfittando della disponibilità del grande tenore bolognese Matteo Babini che aveva fama di sincero democratico. L'impresario tuttavia, paventando possibili critiche, nella presentazione del libretto metteva le mani avanti:
Persuaso di farvi, o Cittadini, cosa gradita, espongo su queste scene nella Quaresima il dramma storico intitolato La morte di Mitridate. So che avrei dovuto scegliere un fatto tutto Democratico, ma la ristrettezza del tempo non me l'ha permesso. Il presente però non può sicuramente offendervi perché si tratta non solo dell'Invasione delle armate Repubblicane e di un Re vinto ma ancora della Rigenerazione di un Popolo dalla tirannide oppresso. (8)
La morte di Mitridate andò in scena il 10 marzo 1798 e le repliche si protrassero per diciotto sere. Ebbe la piena approvazione del redattore de "Il Democratico Imparziale", ma fu economicamente un mezzo fallimento perché troppi palchi non vennero pagati. Ripresero quindi i drammi giocosi a primavera inoltrata, in autunno e per tutto il carnevale '99. Proseguirono anche durante l'estate quando ormai l'avvicendamento politico era avvenuto.(9)
Proprio allo scopo di soddisfare la pressante richiesta di drammi buffi venne aperto allora al pubblico pagante il piccolo teatro Taruffi "in cui gareggiano il buon gusto e la magnificenza". L'aveva fatto costruire l'abate Cesare Taruffi, utilizzando il salone posto al primo piano dell'ex palazzo Lambertini da lui recentemente acquisito, e mettendo a disposizione anche quattro stanze contigue. Era destinato alle recite dei dilettanti ma i lavori in esso effettuati riuscirono tanto bene che il proprietario pensò di trarne un qualche guadagno dandolo in affitto agli impresari d'opera.
Fu inaugurato nel carnevale del 1799 con la messa in scena del dramma giocoso Il furbo contro il furbo, musicato da Valentino Fioravanti. Avrebbe dovuto cantarvi Anna Guidarini, madre di Gioacchino Rossini, ma una indisposizione la costrinse a rinunciare. A parte questo aneddoto, risulta che lo spettacolo ebbe successo e che per l'autunno era già pronto un altro spartito e rinnovato il contratto ai cantanti. Però la situazione politica nell'arco di pochi mesi era cambiata, come dimostra l'ossequiosa dedica ("All'Imperiale Cesarea Reggenza") del libretto del dramma giocoso Li raggiri scoperti, di cui si ignora la sorte, così come non si conosce il motivo per cui gli Austriaci fecero chiudere il teatrino.
L'attività riprese al ritorno dei Francesi con l'allestimento di due drammi giocosi, Il maestro di musica di Paisiello e la Pamela nubile del Pavesi, replicati per 30 sere nell'autunno del 1800. La formula adottata dal teatro Taruffi, consistente in discreti cast vocali, decorosi balli, scene nuove, bei costumi, il tutto a prezzi modici, era indubbiamente valida ma ben presto gli impresari, giudicando il piccolo locale poco remunerativo, lo disertarono. Esso tornò a disposizione dei dilettanti ai quali in origine era destinato, poi chiuse i battenti, se per volontà del proprietario o per cause di forza maggiore non è dato sapere. Gli arredi vennero smontati e la sala nuovamente libera per qualche tempo fu utilizzata per tenervi feste da ballo.(10)
3. Nel luglio del 1797 a Milano venne proclamata la Repubblica Cisalpina che, durante la sua travagliata organizzazione a più riprese si impose l'obiettivo di dare un ordinamento unitario ai Teatri Nazionali che ne fissasse responsabilità e contenuti, modalità di funzionamento e finanziamento, oltre che di reclutamento degli artisti.(11)
Tutti i teatri che si trovavano sul territorio della Cisalpina (e il loro numero, tra grandi e piccoli, era enorme), per il solo fatto di essere pubblici, erano destinati a diventare 'nazionali', indipendentemente dalla effettiva proprietà che, tuttavia, in qualche modo avrebbe dovuto essere risarcita. A parte questo non lieve ostacolo che venne superato con la ragionevolezza,(12) era ben chiaro che ai teatri, per proseguire la consueta attività, non bastava certo la buona volontà di pochi dilettanti disposti ad esibirsi gratis. Venne pertanto bandito dal Ministero dell'Interno un concorso per un Progetto di organizzazione dei Teatri Nazionali (29 ottobre 1797), che si svolse in tornate successive e fruttò solo elaborati fumosi, incapaci di cogliere (e risolvere) i veri problemi. Fu steso infine il Rapporto della Commissione sui Teatri (1 luglio 1798) che, pur accogliendo tutta una serie di rigide prescrizioni formali, tentava una mediazione tra utopia e moderazione, ovvero tra le diverse posizioni emerse fino ad allora nei dibattiti. Avrebbe dovuto servire da modello per le future iniziative se i Francesi non fossero stati costretti ad indietreggiare di fronte all'avanzata austriaca.
Nel frattempo fu il teatro recitato, quello cioè proposto a pagamento dalle compagnie comiche, da sempre il più seguito e popolare, ad essere investito di nuovi compiti e sommerso da una ondata di norme contraddittorie. Con una serie di disposizioni furono infatti vietate le commedie con maschere e la pronuncia di titoli nobiliari, subito sostituiti dall'appellativo di 'cittadino'. Fu prescritto il canto di inni patriottici nel bel mezzo delle recite, l'uso della coccarda tricolore e la censura prese sistematicamente a vagliare i copioni. Ciò pose in difficoltà le compagnie comiche, almeno quante aspiravano ad ottenere in esclusiva il circuito cisalpino, poiché i consolidati repertori dovettero essere modificati nel giro di pochi mesi.
Per prima cosa vennero riciclati i drammi sentimentali ed altri se ne aggiunsero di analogo tenore, nei quali però il conflitto di classe risultasse marcato. Si presero in forza le tragedie libertarie del Monti e dell'Alfieri, quindi furono tradotti i drammi rivoluzionari francesi (Carlo IX e il Fénelon o le monache di Cambrai di Marie-Joseph Chénier, Le vittime del chiostro del Boutet), accompagnati da una congerie di farse. I comici, per parte loro, ci misero le 'azioni spettacolose', sorta di rievocazioni pseudostoriche in costume, di grande presa sul pubblico, e furono queste, per inciso, a varcare trionfalmente il secolo.
Trascorso un periodo di assestamento, i teatri della Cisalpina furono comunque in grado di disporre di un manipolo di testi 'democratici e patriottici' che i comici furono ben lieti di mettere in scena per ingraziarsi pubblico e autorità.
"Dopo un anno di rivoluzione i teatri dei paesi liberi non avevano ancora avuto alcuno spettacolo proprio della circostanza. Bologna è la prima ad averlo"
annunciava "Il Monitore Bolognese". In effetti, la compagnia Battaglia, che in primavera agiva al teatro Zagnoni, aveva cercato di mettere assieme un repertorio 'democratico' e la sera del 16 giugno 1797 rappresentò una commedia intitolata La Rivoluzione, che fu replicata per otto sere "con infinito concorso di popolo".(13)
Per non essere da meno, la compagnia Pellandi ai primi di settembre mise in scena al teatro Pubblico sempre con "concorso straordinario di popolo" due produzioni 'repubblicane' nuove per Bologna: I doni patriottici, commedia tradotta dal francese, e la farsa Il matrimonio democratico ossia il flagello de' feudatari del Sografi.
Tra novembre e dicembre al teatro Zagnoni la compagnia Rossi, dopo aver esordito con il Saul, che era pur sempre "fra le più sublimi italiche Produzioni", fu costretta a ripescare dal vecchio repertorio, in barba al divieto di porre in scena commedie con maschere, una Matilde Regina di Granata con Arlecchino suo buffone, "azione serio-faceta" che si annunciava "decorata da alcune trasformazioni l'ultima delle quali, cangiando di repente tutto l'aspetto della scena, cagionerà agli spettatori grata sorpresa e gli appresenterà un bellissimo colpo d'occhio".
Per avvicinarsi ancor più al gusto popolare, la compagnia aveva accettato di recitare l'anonimo dramma Il ladro del Monte, ma le tre repliche a grande richiesta di questa commedia che narrava di un fattaccio di cronaca che aveva appassionato l'opinione pubblica meno di un decennio prima e che era ancora in grado di dividere gli animi tra fautori dell'ordine e partigiani dell'abile falsario, diede avvio ad una accesa polemica giornalistica.(14)
Tuttavia fu durante il carnevale del 1798 che il teatro Zagnoni e quello Pubblico si posero in aperta concorrenza e si trovarono, per eccesso di zelo 'democratico', a dover fare i conti con la censura e il malumore popolare.
Mentre Giacomo Modena ai primi di gennaio interpretava egregiamente l'Aristodemo di Vincenzo Monti al teatro Pubblico, al teatro Zagnoni la compagnia Paganini-Pianca "in mille modi benemerita" annunciava la messa in scena niente meno che di Fénelon, Carlo IX, Le vittime del chiostro, appena tradotti dal francese, e della recentissima tragedia Orso Ipato di Giovanni Pindemonte.
Le recite, ampiamente reclamizzate, ottennero un successo travolgente, tanto che al teatro Pubblico si corse ai ripari rappresentando (forse) Il Conclave, dramma satirico dell'abate Sertor che era già costato al suo autore la prigionia nelle carceri pontificie (15) e promettendo in seguito di dare una commedia nuova appena scritta da un noto concittadino, Luigi Giorgi, per la quale c'era viva attesa, ma prima d'andare in scena il testo fu sottoposto al vaglio della censura che lo restituì malconcio per i tagli.
Nella sua commedia in effetti il Giorgi riproduceva con crudo realismo un episodio di corruzione che copriva d'infamia i principali esponenti dell'ancien régime bolognese: l'Auditore del Torrone Federico Pistrucci, il Legato Vincenti, l'arcivescovo Gioannnetti (non colpevole ma connivente). L'allusione ai trascorsi reazionari di quest'ultimo dovette apparire inopportuna alla censura locale che, dietro pressione della famiglia Gioannetti, negò l'approvazione. L'autore però non solo si rifiutò di apportare le correzioni richieste ma fece stampare il testo integrale e lo spedì a Milano al Ministero della Polizia Generale, unito alle rimostranze per ciò che era accaduto. Ottenne piena soddisfazione e tuttavia la sua commedia non venne mai rappresentata.(16)
Nel frattempo la compagnia Paganini-Pianca al teatro Zagnoni continuava, secondo i redattori dei giornali, a mietere consensi e a replicare senza sosta il Fénelon, dimenticando che a teatro il gradimento del pubblico vale più delle lodi dei critici di regime. E il pubblico ne aveva abbastanza del 'patriottismo' e degli opportunismi dei capocomici, come denunciava "Il Quotidiano Bolognese" ("Teatro Zagnoni. Non sono stati sufficienti i disordini teatrali. Or giungesi a soffrire che i comici, lusingati di alta protezione, si facciano giuoco dell'opinione pubblica"). In sintesi era accaduto che, all'annuncio dell'ennesima replica del Fénelon, gli spettatori si erano opposti ma il capocomico aveva loro obiettato che non aveva niente altro di pronto e che avrebbero dovuto accontentarsi.(17)
Episodi di dissenso da parte del pubblico si registrano, in questo vociante periodo, anche nei teatrini del contado dove imperversavano sedicenti 'compagnie patriottiche'. A Medicina, ad esempio, una di queste compagnie pare recitasse solo 'tragedie' poco gradite al pubblico che cominciò a fischiare. Per farlo smettere gli attori avevano promesso di mettere in scena prossimamente il Baldassarre, spettacolone d'argomento biblico di sicuro successo. Le autorità, dapprima interdette per la scelta, negarono il permesso ed ordinarono di proseguire col repertorio concordato, poi dovettero fare marcia indietro di fronte al pericolo di una sollevazione popolare.(18)
Con la recita, poco apprezzata, della Virginia bresciana del Salfi data dalla compagnia Goldoni-Andolfati nella primavera del '99, l'esperienza del teatro giacobino a Bologna poteva dirsi conclusa.
Il 30 giugno il generale austriaco Klenau entrava in città e in serata si fece festa al teatro Marsigli (che aveva abbandonato il nome di Teatro Civico), la sera seguente al teatro Zagnoni (che riprese l'appellativo di 'nobile'), in quella successiva al teatro Pubblico. Ma l'avvicendamento politico non favorì l'attività teatrale: nell'arco di un anno le aperture del teatro Pubblico si contano sulle dita di una mano,(19) né il teatro Zagnoni né il Marsigli riuscirono a fare di meglio. La precaria situazione inoltre non consentì di stipulare contratti per l'immediato futuro.
4. Per festeggiare il ritorno dei Francesi al teatro Pubblico, ribattezzato Nazionale, in tutta fretta si misero in scena Gli Orazi e i Curiazi, l'ormai celebre tragedia per musica di Cimarosa su libretto del Sografi, ma fu un evento eccezionale cui fecero seguito prolungate chiusure che si protrassero fino al settembre del 1802.(20)
Il teatro Zagnoni, dopo aver dato non meglio precisati drammi buffi durante l'estate, riaprì il 15 gennaio 1801 con un corso di 40 recite della compagnia Bazzi, che contava nei propri ranghi ottimi attori (Belloni, Morrocchesi, ecc.) e che riscosse notevoli consensi. In tempo di Quaresima venne messa in scena una novità assoluta, il 'dramma tragico' intitolato La morte di Saulle "posto in musica espressamente dal maestro Gaetano Andreozzi", con validi cantanti (Domenico Mombelli e Anna Andreozzi) e masse di coristi. Durante il carnevale del 1802 le autorità, per favorire l'impresario del teatro Zagnoni forse in difficoltà, gli concessero parte dei veglioni con rinfresco che spettavano di norma al teatro Pubblico, vietando però tassativamente "l'uso del fuoco per le cene". Fu quasi un segno premonitore che, unito alla mancanza di notizie sulla successiva attività del teatro fino al fatale 5 settembre, rende più inquietante
Circa le sei pomeridiane della scorsa domenica, senza che prima fosse neppur premonito dal fumo, si manifestò all'istante un terribile incendio di questo teatro Zagnoni, situato in alto, e costrutto da quasi due secoli, ornato in legno, benché più volte riattato e da pochi anni ancora rimbiancato e abbellito. Le fiamme, pel pascolo di tanti legnami e dell'olio che attualmente esisteva per le comiche rappresentazioni, si elevarono ad una prodigiosa altezza.
Del fatto, oltre alla versione fornita dalla "Gazzetta di Bologna", ne esiste un'altra, stesa da Giuseppe Guidicini per il suo Diario giornaliero, ricca di particolari sia sull'inopportuno intervento della guarnigione francese, sia sul coraggio dimostrato dalla Guardia Nazionale in quel frangente.(21)
Dopo che il fuoco fu spento e venne fatto un bilancio dei gravi danni arrecati, sorse il sospetto che l'incendio fosse stato doloso, come si vedrà. Nel frattempo, per evitare lo spiacevole inconveniente di veder fallire un impresario e di annullare una serie di scritture, si decise di dirottare al teatro Pubblico gli spettacoli che avrebbero dovuto tenersi al teatro Zagnoni, a cominciare da due drammi giocosi (Il nuovo podestà musicato da Francesco Gnecco e Inganno per amore del Guglielmi). Ciò provocò lo slittamento a novembre della tragedia per musica da tempo programmata, l'Antigona di Francesco Bianchi, per interpretare la quale era stata chiamata la grande Brigida Giorgi Banti.(22)
E sempre all'insegna di celebri primedonne (Giuseppina Grassini, Teresa Bertinotti), di fastosi allestimenti, di grandiosi balli eroici, proseguì la programmazione del 1803, iniziata a primavera con La vergine del sole e La vendetta di Nino, e conclusa ad autunno con La selvaggia del Messico.(23)
Ma per tornare all'avvio del nuovo secolo, va detto che anche il teatro Marsigli riprese la consueta attività nel gennaio 1801, anzi, in attesa che fosse pronto l'allestimento dell'opera in musica, la sera del 15 gennaio qui si esibì Niccolò Paganini. Aveva diciannove anni ed era già un "cognito Professore di Violino", come informava un Avviso che costituisce l'unica testimonianza di questa tappa, ignorata per lo più dai biografi, di una delle sue prime trionfali tournées. Suonò in due concerti, l'uno del Rode e l'altro di Kreutzer, quindi attaccò una "Carmagnola a violino principale con molte variazioni a capriccio", il tutto preceduto dalla consueta sinfonia e da due brani cantati. Il costo dei biglietti fu di 12 baiocchi ma coloro che già avevano l'abbonamento ai palchi entrarono gratis. Sappiamo infine che parte del ricavato della serata venne devoluto in beneficenza. (24)
Subito appresso andò in scena la Griselda o sia la virtù in cimento, melodramma di Ferdinando Paer, interpretato dalla collaudata coppia Anna Nava - Vincenzo Aliprandi, unito al ballo Piramo e Tisbe e durante il carnevale seguente si diedero dei drammi giocosi, (25) prima di chiudere per lavori di manutenzione, che sarebbero durati ben più a lungo se la perdita del teatro Zagnoni non avesse reso necessario accelerare i tempi.
Il Marsigli riaprì il 13 dicembre con opera e ballo, proseguì con le recite della compagnia Consoli-Zuccato e ospitò infine quanti erano rimasti del nutrito drappello di dilettanti della Società Patriottica. Essi avevano assunto il nome di "Società di Dilettanti di Comica al teatro Marsigli" e ripresero a recitare drammi sentimentali e a declamare tragedie (Il disertore, Natalia, Misantropia e pentimento, La congiura de' Pazzi, unita alla farsa Il capriccioso di Albergati), mantenendo intatto il loro fine benefico. Nell'autunno del 1803 erano al teatro Taruffi, tra novembre e dicembre ancora al Marsigli, nella successiva primavera a Budrio.(26)
Li guidava e incoraggiava l'anziano Francesco Albergati che anzi aveva promesso di recitare al loro fianco nella farsa da lui scritta, ricoprendo il ruolo di Flaminio, zio del protagonista. La sera del 18 novembre la programmata tragedia alfieriana andò in scena ma non la farsa "attesa la malattia dell'Autore medesimo", mentre per la replica si dovette ricorrere ad un sostituto "non essendosi perfettamente ristabilito in salute" l'Albergati. Moriva quest'ultimo il 16 marzo 1804 e il corteo funebre che da via Saragozza accompagnò la salma alla Certosa venne aperto proprio dai Dilettanti della Comica (27) che nei mesi seguenti assunsero il nome di Filergiti.
Il cambio di denominazione di una società legalmente costituita, allora come ora, richiedeva l'espletamento d'alcune formalità: la richiesta al delegato
Una Società conosciuta finora sotto il nome di Dilettanti di comica al teatro Marsigli, vedendo che non gli conveniva un titolo desunto da un locale destinato ad altri pubblici oggetti di tal sorta, e volendosi dare un ordine e un sistema disciplinare ed amministrativo, amerebbe assumere il nome di Filergiti - Amatori dell'Utile Travaglio.
Alla richiesta, formulata in questi termini, il Prefetto nel giugno del 1804 diede l'assenso, osservando tuttavia che il nome di Filergiti gli pareva più adatto "ad operai che a dilettanti di teatro".(28)
Ma le formazioni di dilettanti in genere fin dai primi anni del secolo dilagarono, come un fiume in piena, sulle scene dell'ospitale Marsigli, del glorioso Felicini, del modesto Legnani, si inventarono spazi alternativi o si accontentarono di teatrini domestici, compiendo frequenti sortite nel contado.
A dire il vero il teatro Felicini di via Barbaziana (odierna via Cesare Battisti), appena sfiorato dalla ventata giacobina, non aveva mai smesso di dare spettacoli e l'Accademia che in esso aveva sede, continuò anche in seguito a sfornare nuove leve di attori e a proporre i loro saggi di recitazione.(29)
Per quanto riguarda il così detto teatro Legnani, aperto al pubblico intorno al 1760 per tenervi spettacoli di marionette durante il carnevale, aveva un palcoscenico di dimensioni ridotte ma era pur sempre un teatro, e una Società di Dilettanti, prima di una lunga serie, nel 1803 lo prese in affitto.
Un altro teatrino, da tempo dismesso, si trovava all'interno dell'edificio che aveva ospitato l'ex Collegio dei Nobili intitolato a S. Francesco Saverio in via Cartoleria Vecchia, ora di proprietà demaniale e contiguo ad una caserma. Malgrado ciò dei dilettanti vi si insediarono continuativamente dal 1802 al 1808.
Una volta esauriti gli spazi teatrali per così dire convenzionali, se ne crearono altri, provvisori, come quello voluto dall'avvocato Raffaele Giacomelli nella casa Covelli di via Malcontenti, attivo tra il 1805 e il 1808, o l'altro sistemato nell'ex Ospizio dei Preti di via Nosadella.(30) Ma la rassegna potrebbe continuare se volessimo prendere in considerazione tutte le richieste fatte da privati cittadini, volte ad attivare temporaneamente dei teatrini domestici, e oggi conservate presso l'Archivio di Stato di Bologna.(31)
Radunati infine i migliori recitanti, provenienti da varie formazioni, nel 1808 si costituì l'accademia dei Filodrammaturgi diretta da Carlo Bruera, con sede stabile nel teatro della Concezione, ricavato all'interno della chiesa un tempo appartenuta alle monache agostiniane di S. Maria della Concezione in via Saragozza.(32)
5. Per passare dalla progettazione alla realizzazione del teatro Comunale c'erano voluti sette anni scanditi da polemiche e difficoltà d'ogni genere; a far sorgere quello che prese il nome di teatro del Corso furono sufficienti meno di tre anni filati lisci tra la generale soddisfazione.
Sappiamo che il 30 gennaio 1802 il cittadino Giuseppe Badini acquistava dall'ex conte Camillo Rossi Turrini due immobili contigui in via S. Stefano, non per destinarli ad uso abitativo, come sarebbe stato ovvio, ma per costruire sulla vasta area corrispondente nientemeno che un teatro. Entro pochi mesi egli aveva già pronti sia un bel progetto con relativo preventivo di spesa, sia un ingegnoso piano di finanziamento. Il 10 agosto chiedeva alla Municipalità il permesso di edificare un teatro utile alla comunità, di decoro per la città e senza alcun aggravio per la finanza pubblica,
Bologna, la colta Bologna, che pure a ragione vanta di essere fornita di tutti i mezzi e di tutti gli stabilimenti necessari alla perfezione e alla coltura dei pubblici costumi, manca però di un teatro di media grandezza, ed esistente in uno dei più comodi e migliori punti della Città, il quale possa dar luogo alla frequenza di quei dignitosi spettacoli che la vastità del Nazionale Teatro non permette se non dietro quelle vistosissime spese, che non ponno con tanta facilità incontrarsi, e che d'altronde la piccolezza degli altri particolari Teatri ha ognora impossibilitato. È lungo tempo pertanto che il Voto pubblico invoca, e impazientemente attende quest'Edifizio sacro agli onesti piaceri e alla perfezione della sociale felicità.
Nel giro di una settimana (16 agosto) la licenza gli venne accordata assieme ai complimenti per la brillante iniziativa. Subito dopo egli fece stampare e diffondere (21 agosto) il suo Progetto unito alla Tabella che fissava i prezzi di sottoscrizione per 40 palchi, le modalità di pagamento e i vantaggi che gli acquirenti avrebbero avuto coll'immediata prelazione. Le adesioni arrivarono numerose e in breve i palchi furono tutti assegnati.(33)
Nessuno nel frattempo fece notare che, a poche centinaia di metri di distanza, già c'era un "teatro di media grandezza", il teatro Zagnoni, che però, con ammirevole tempismo, il 5 settembre venne quasi completamente distrutto da un incendio, lasciando il campo libero al suo potenziale concorrente. Solo nell'aprile del 1803 prese a circolare per la città un opuscolo a stampa che proponeva la ricostruzione del teatro Zagnoni "distrutto - si insinuava - per malvagità dell'uomo o per fatalità del destino". Il firmatario, Pellegrino Torri, aveva in effetti acquistato l'area in questione, fatto redigere un progetto e ripartito in 78 quote la spesa stimata necessaria alla costruzione ma, non essendosi trovati sufficienti sottoscrittori, non se ne fece nulla. (34)
I lavori del nuovo teatro procedettero dunque senza intoppi, rispettando i tempi preventivati, tanto che nella primavera del 1805 tutto era pronto per l'inaugurazione fissata per il 19 maggio. Il caso volle poi che alla serata di apertura ufficiale seguisse, il 20 giugno, quella della 'consacrazione', alla presenza di Napoleone primo Imperatore dei Francesi e Re d'Italia.(35)
A conti fatti, Giuseppe Badini aveva realizzato un ottimo investimento: era proprietario di un bel teatro che univa la funzionalità alla tradizionale eleganza, situato in posizione comoda e centrale, modernamente concepito come fulcro di attività mondane, culturali e commerciali, tale insomma da consentire, se ben gestito, un buon margine di guadagno.(36)
La sua proprietà tuttavia era per così dire 'limitata' dalla presenza dei 40 proprietari di palchi, veri fautori e prossimi beneficiari dell'impresa, che avevano controllato tutte le fasi della costruzione, suggerito i soggetti delle decorazioni pittoriche, che avevano escluso categoricamente che il teatro prendesse nome dal suo legittimo proprietario, e che pretendevano ora che in esso venissero date ogni anno almeno tre opere in musica.
Da questo punto di vista la programmazione per il primo anno fu più che soddisfacente poiché andarono in scena quattro drammi seri (Sofonisba, I riti di Efeso, Camilla o sia il sotterraneo, Quanti casi in un sol giorno o sia il Roberto), un ballo eroico (Andromeda e Perseo), due drammi giocosi (Labino e Carlotta, L'amore marinaro) e una farsa in musica (Il moro).
Quella prevista per il 1806 fu altrettanto impegnativa ma più variata. Durante il carnevale si avvicendarono tre drammi giocosi (L'apprensivo raggirato, Le astuzie femminili, Le cantatrici villane) prima di sgomberare il teatro per predisporre i veglioni. Seguì un lungo corso di recite della compagnia di Andrea Bianchi,(37) l'allestimento di un dramma giocoso di successo (La prova di un'opera seria di Francesco Gnecco) ed ancora recite da parte della compagnia Venier.
Per l'autunno era pronta l'opera seria Ines de Castro con ottimi interpreti (Imperatrice Sessi e Giacomo David, tra gli altri) e il ballo eroico (L'incoronazione di Aristodemo). Ma l'impresario forse volle fare le cose troppo in grande e fallì, malgrado il buon incontro registrato nelle prime sere.(38) Quel fallimento fu motivo di riflessione sull'opportunità di progetti eccessivamente ambiziosi e un invito alla prudenza, tanto che nell'arco dei due anni successivi non si segnalano al Corso costose opere in musica ma solo un continuo avvicendarsi di compagnie comiche, scelte tra le migliori sul mercato e sempre ben accolte. Né andò diversamente al teatro Pubblico dove le compagnie comiche presero spesso il sopravvento sugli allestimenti d'opera.
Dal 1809 tuttavia, fermo restando l'ampio spazio concesso alle recite (particolarmente attese quelle della compagnia Vicereale diretta da Salvatore Fabbrichesi), al teatro del Corso ricomparvero gli spettacoli musicali sotto forma di drammi d'argomento sacro in sintonia col periodo quaresimale (Sedecia ovvero la distruzione di Gerusalemme nel 1809, Il trionfo di Gedeone nel 1810, Il trionfo di Davide nel 1812, ecc.). Poi, dall'estate del '10, si passò a stagioni interamente musicali, alternando drammi seri e giocosi, privilegiando quegli spartiti che avessero un qualche sapore di novità. Da Omar re di Termagene su musica di Marco Portogallo (estate 1810), mai dato a Bologna, a L'aio nell'imbarazzo del bolognese Giuseppe Pilotti (autunno 1810), da L'equivoco stravagante di Gioacchino Rossini (autunno 1811), ad Amore e fedeltà alla prova di Antonio Brunetti, anch'egli bolognese (primavera 1814), furono tutte prime esecuzioni.(39)
6. Il dottor Antonio Contavalli non godeva a quanto pare della stima di Giuseppe Guidicini che, nel proprio Diario annotava a suo riguardo: "Egli ha ammassato un patrimonio prendendo parte a mercimoni non leciti nelle vendite dei beni nazionali". Ed era ancora il Guidicini a pronosticare scarsa fortuna al teatro che il Contavalli fece erigere a sue spese: "Il teatro è piccolo e di qualche eleganza, ma la sua ubicazione lo renderà poco frequentato".
Sempre impegnato nel vasto giro di compravendite immobiliari, Antonio Contavalli nel maggio del 1810 era entrato in possesso di una porzione del complesso conventuale dei padri Carmelitani di San Martino posta tra la via Larga di S. Martino e la via Cavaliera. Trattandosi di un'area non facilmente utilizzabile altrimenti, pensò di farvi costruire un teatro. Nel marzo del 1812, avendo in mano l'autorizzazione a procedere e un geniale progetto, firmato dall'ingegner Martinetti ma elaborato dal suo allievo Giuseppe Nadi,(40) diede avvio ai lavori che erano ultimati a settembre del 1814, quando vennero effettuati i collaudi di prammatica.
S'era accordato nel frattempo con l'impresario Colonna (il medesimo del teatro del Corso), per predisporre gli spettacoli d'apertura, pur sapendo che quella autunnale era una pessima stagione perché erano attivi altri teatri e perché la situazione politica si presentava confusa. Per togliere di mezzo eventuali impedimenti, suggerì egli stesso alle autorità (si era in quei mesi sotto il Governo Provvisorio) di fissare l'apertura al 3 ottobre, giorno del genetliaco dell'Imperatore d'Austria. Sembrò un bel gesto e il permesso venne accordato.
Soddisfatto per quanto aveva realizzato, Antonio Contavalli allegava al libretto dell'opera scelta per l'inaugurazione (Matilde la selvaggia di Carlo Coccia) una dettagliata descrizione del teatro e riassumeva gli obiettivi eminentemente pratici che si era prefisso nel costruirlo. Assicurava anch'egli d'aver voluto "contribuire al maggior decoro della sua città", dotandola di un teatro "di media grandezza", ma faceva notare come il suo locale si distinguesse dagli altri per l'ottimale sfruttamento degli spazi e per non avere palchi di proprietà, tale insomma da assicurare agli impresari un buon margine di guadagno.(41)
All'opera seria con ballo, che ebbe scarso incontro, fecero seguito quattro drammi giocosi: L'oro non compra amore, Ser Marcantonio, La cameriera astuta e L'italiana in Algeri di Rossini che ebbe tanto (insperato) successo da essere trasportata per due sere al teatro Nazionale e per tre sere al Corso, e fu un vero trionfo per la primadonna Maria Marcolini che per la sua serata di beneficio ricevette in dono una Cantata espressamente composta dal marchese Sampieri.(42)
Il nuovo teatro, pur giudicato elegante e ben decorato, non poteva ancora contare su un pubblico sicuro ma continuò coraggiosamente a sfornare spettacoli, per carnevale, a primavera, in estate. Alla fine come premio, ebbe l'opportunità di accogliere ben tre ospiti illustri al loro passaggio in città: Gioacchino Murat prima, Francesco IV di Modena e l'arciduca Massimiliano d'Austria in seguito. I grandi rivolgimenti in atto gli furono però fatali. Con il ritorno di Bologna al Governo Pontificio (2 agosto 1815), il curato di San Martino (il convento era stato soppresso ma non la chiesa divenuta parrocchiale) giudicò fosse giunto il momento di liberarsi di quell'incomodo vicino, e brigò per farlo chiudere.(43)
Qualche mese innanzi aveva dovuto chiudere anche il piccolo teatro di San Gabriele.
Sorgeva quest'ultimo proprio nel cuore di quello che era stato il ghetto di Bologna e si affacciava su via dei Giudei al numero civico 2646. Traeva il nome dalla Pia Congregazione di San Gabriele, il cui settecentesco oratorio, chiuso al culto dal 1798 ed alienato a privati, venne successivamente trasformato in sala teatrale dal proprietario, Pellegrino Coralli, che nel 1810 chiedeva infatti licenza "di aprire un teatrino di Marionetti". La licenza venne accordata ma il locale fu catalogato come teatro "privato". Non avrebbe pertanto potuto dare spettacoli a pagamento né avere personale fisso.
Il Coralli fece finta di niente e nel carnevale del 1811 affittò il locale a marionettisti che facevano pagare l'ingresso. Cercò, è vero, di mettersi in regola, chiedendo il passaggio alla categoria dei teatri "pubblici". Anzi, per riuscire meglio nell'intento, nella sua petizione magnificava "la mole, la comodità dei palchi, il numero di spettatori di cui è capace, più oltre un migliaio" del proprio locale.(44) Non ebbe risposta, però gli fecero pagare le tasse sui proventi.
Nel 1812 al San Gabriele si videro ancora le marionette ma solo per carnevale. Subito appresso il Coralli tentò di compiere un salto di qualità ingaggiando la compagnia di canto diretta da Pasquale Majeroni, ospitando per qualche tempo la compagnia comica Mascherpa e quella acrobatica di Antonio Chiarini. Assunse anche un custode, degli orchestrali, degli inservienti e fece stampare manifesti per richiamare il pubblico. Ogniqualvolta gli si presentava l'occasione d'affittare il locale era però costretto a chiedere una licenza, una proroga, una deroga. Di solito le autorizzazioni prefettizie giungevano, ma all'ultimo momento e con mille raccomandazioni.
L'anno seguente con la compagnia Arrisi-Androux il San Gabriele raggiunse l'apice dei consensi (questi i titoli di alcuni successi: La maschera di ferro, Il califfo di Bagdad, Bertoldo, Bertoldino, Marcolfa e Cacasenno), cui fece seguito la parabola discendente con fugaci comparse di fantasisti e di guitti. Ma non si poteva pretendere di più, dato il costo irrisorio dei biglietti.(45)
In considerazione del fatto che si trattava di un teatro popolare, frequentato prevalentemente dalla truppa, che non godeva di buona fama, le autorità gli avevano imposto un singolare orario: apertura al tramonto e chiusura prima degli altri teatri per non provocare intralci e turbamenti all'ordine pubblico. Cosa che invece accadde di frequente, stando ai verbali di polizia che segnalano "uscite tumultuose" ed episodi di "varia indecenza". Malgrado la pessima nomea, in poco tempo il San Gabriele aveva saputo conquistarsi una fetta di pubblico affezionato, come era costretto ad ammettere il redattore de "Il Giornale del Dipartimento del Reno":
"Col suo bizzarro allettamento comico-musicale, rigurgita egli sempre di moltitudine".
Le vere difficoltà cominciarono nel 1814 con una lite col teatro Marsigli a causa di un contestato ingaggio della compagnia Venier, proseguirono in autunno quando giunse l'ordine di temporanea chiusura per non fare concorrenza al Contavalli appena inaugurato, e culminarono in inverno con la partenza delle truppe di stanza in città. Senza di esse il San Gabriele perdeva la sua ragione d'esistere e in effetti nel giugno del 1815 le autorità 'restaurate' ne ordinarono la chiusura definitiva, sorde non solo alle suppliche del Coralli ma anche del macchinista, dei suonatori, degli inservienti che si trovarono così sul lastrico.
Può essere annoverato infine tra i 'proprietari di teatri', figure inedite finora nel mondo dello spettacolo, animati da spirito imprenditoriale e dotati di piglio battagliero, anche il signor Gaetano Dalla Noce che aveva acquistato fin dal gennaio del 1807 il palazzo Felicini, compreso il teatro e "tutti gli attrezzi in esso annessi". Per prima cosa egli fece restaurare il locale, ne arricchì la dotazione scenica e lo fece decorare da Antonio Basoli,(46) quindi ne assunse la direzione, instaurando un proficuo rapporto con l'impresario del teatro Marsigli, Giulio Castagnoli, per meglio sfruttare le scritture, la diversa capienza dei due locali ed assicurare varietà agli spettacoli. Insieme si assicurarono l'esclusiva di una serie di prolungate tournées bolognesi della Compagnie Imperiale d'Acteurs Français diretta da madame Raucourt, un'anziana attrice molto stimata da Napoleone.(47) Le recite in lingua originale e al ritmo di due testi per serata, in modo da offrire un ampio panorama della produzione drammatica d'oltralpe, cominciarono al Felicini ai primi di gennaio del 1809 e proseguirono fino alla fine di marzo. L'impatto dovette essere un poco duro all'inizio poi l'interesse del pubblico andò crescendo. Il Dalla Noce comunque, come primo risultato, riuscì ad attirare l'attenzione della stampa periodica sul suo locale. "Il Redattore del Reno" dedicava infatti ampio spazio a questi spettacoli, lodava gli interpreti, giudicava più o meno positivamente le scelte del repertorio, si compiaceva degli applausi "dei colti bolognesi" (non va dimenticato però che a Bologna risiedeva un buon numero di cittadini francesi) e concludeva che "non si può desiderare d'impiegare meglio le ore della sera".(48)
I commedianti francesi ritornarono ad autunno inoltrato, sempre facendo stanza al Felicini ma alternando qualche serata nel più capiente Marsigli. Quindi, visto il buon esito ottenuto, nei passaggi successivi a Bologna (autunno 1810, primavera 1811 ed ancora novembre 1812) preferirono sempre il teatro Marsigli.
NOTE:
1 Cfr. "Il Repubblicano", n. VII (1796). Altre notizie, di carattere organizzativo, vengono riportate da "Il Monitore Bolognese", n. 39 del 1796 e n. 5 del 17 gennaio 1797. I successivi articoli comparsi su questo come su altri periodici, costituiscono una ulteriore fonte di informazioni, anche se poco obiettiva, sull'attività del Teatro Civico documentata dagli "avvisi patriottici" conservati presso l'Archivio Marsigli (in ASBo) e in gran parte trascritti da GIUSEPPE COSENTINO in Un teatro bolognese del XVIII secolo. Il teatro Marsigli Rossi, Bologna, Tipografia Garagnani, 1900, pp. 183-204.
2 Il Teatro Civico milanese ebbe prima sede nell'ex Collegio dei Nobili, quello di Venezia ottenne in affitto il teatro S. Giovanni Grisostomo per i soli mesi estivi. A Modena si utilizzò l'ex teatro di Corte mentre a Reggio l'iniziativa abortì per mancanza di fondi. Sull'istituzione del Teatro Civico milanese si veda CARLO ANTONIO VIANELLO, Teatri, spettacoli, musiche a Milano nei secoli scorsi, Milano, Libreria Lombarda, 1941, p. 349; per quello di Venezia si rimanda a Il teatro patriottico, a cura di Cesare De Michelis, Padova, Marsilio, 1960. Le esperienze di area emiliana, infine, sono state tratteggiate dalla scrivente in Feste di piazza e opere in teatro. Spettacoli nel triennio giacobino, in Il Tricolore dalla Cispadana alla Cisalpina. Atti del convegno di studi storici per la celebrazione del bicentenario del Tricolore, Modena, Aedes Muratoriana, 1998, pp. 245-256.
3 Cfr. "Il Monitore Bolognese", n. 6 del 21 febbraio 1797. Sappiamo da un documento riportato dal Cosentino (Il teatro Marsigli cit., pp. 202-203) che Angelo Marsigli concesse il suo teatro a titolo gratuito per un anno e che in seguito si accontentò di un affitto modesto.
4 L'elenco completo degli "Accademici Attuali", ossia recitanti, compare su "Il Monitore Bolognese", n. 12 dell'11 febbraio 1797. Sono citati: Francesco e Luigi Albergati, Angelo Baldini, Mauro Bràccioli, Carlo Bruera, Luigi Busatti, Vincenzo Castagnari, Giacomo Greppi, Antonio e Pietro Moreschi, Floriano Puglioli, Giuseppe Tadolini, Francesco Tognetti, Luigi Zamboni, Ippolito e Giuseppe Zanotti, ed ancora Ognibene, Rosaspina, Stella, Toselli, Turini. Delle attrici vengono indicati solo i cognomi: Boari, Ceschi, Civili, Fabbri, Fiori, Giorgi, Simoni. È da rilevare che Mauro Bràccioli (protagonista del Saul alfieriano) e Luigi Busatti (tra gli interpreti dell'Antigone), diedero lustro al Teatro Civico bolognese non solo come attori ma anche come autori delle scenografie sempre nuove utilizzate per gli spettacoli, in ciò affiancati da Antonio Basoli e da Pelagio Palagi. Per quanto riguarda Maria Brizzi Giorgi e Luigi Zamboni, è chiaro che si prestarono come cantanti nell'esecuzione degli intermezzi per musica e degli Inni patriottici. A tutti costoro si unirono di volta in volta, in occasione delle recite, altri 'simpatizzanti' come Teresa Pikler, moglie di Vincenzo Monti, i veneti Valeriani e Zampelli e la milanese Malavasi (cfr. "Il Monitore Bolognese", n. 16 del 1797 e n. 14 del 1798).
5 Ines de Castro. Dramma serio per musica da rappresentarsi in Bologna nel Nobilissimo Pubblico Teatro la primavera dell'anno 1796, dedicato alle Illustri Cittadine di questa Città, Bologna, Stamperia Camerale, s.a (vedi CMBM, libr. 569). Il dramma in questione era stato musicato da Francesco Bianchi proprio per Elisabeth Weichsel Billington, celebre soprano e gran bella donna, in occasione del suo debutto al S. Carlo di Napoli dove era stata ingaggiata per interessamento dell'ambasciatore inglese Lord Hamilton. Nella versione presentata a Bologna allo spartito originale vennero aggiunte arie di vari autori.
6 Le principali compagnie comiche che si avvicendarono nei maggiori teatri della Cisalpina furono la Andolfati-Goldoni, la Battaglia, la Bianchi, la Colleoni, la Paganini-Pianca, la Pellandi e la Rossi. Gli attori che le componevano erano indubbiamente tra i migliori del tempo, i soli in grado di rendere accettabile la retorica imperante e plausibile la puerilità degli intrecci. In particolare la compagnia Paganini poteva contare su Giuseppe De Marini allora esordiente ma già oggetto di omaggi poetici (vedi sonetto in X.47.6), e la Pellandi aveva tra le sue file l'ottima Anna Fiorilli e Giacomo Modena, grande interprete tragico e padre di Gustavo Modena, il maggior attore del nostro Risorgimento. Proprio Giacomo Modena, la cui autentica adesione all'ideologia giacobina era nota, venne invitato a tenere un discorso al Circolo Costituzionale in cui non parlò di teatro ma si lanciò in una forte invettiva anticlericale (cfr. Il Gran Circolo Costituzionale e il Genio Democratico (1797-1798), a cura di Umberto Marcelli, Bologna, Analisi, 1986, vol. I, t. II, pp. 723-725).
7 Tra gli eventi ad alto contenuto politico dati nel teatro Pubblico ricordiamo l'esecuzione della cantata per musica intitolata Le città di Milano e Bologna il 14 settembre 1796 e la recita di due tragedie 'libertarie', I baccanali di Roma del Pindemonte e Bruto primo di Alfieri a novembre dello stesso anno; tra i veglioni gratuiti (vedi 44.5.1 e 2), si segnalano in particolare quelli posti a conclusione dei due "pranzi patriottici" offerti ai cittadini e alle cittadine indigenti tra l'aprile e il maggio del '98.
8 La morte di Mitridate. Dramma per musica da rappresentarsi nel teatro Zagnoni la quaresima dell'anno VI Rep., Bologna, Stamperia del Sassi, s. a. (vedi CMBM, libr. 3401 e avviso in VI.19.3). "Il Democratico Imparziale", n. 7 del 25 marzo, segnalando l'esecuzione, lodava la "musica eccellente" (di Sebastano Nasolini) e la prestazione del Babini di cui tesseva le lodi (cfr. il saggio della scrivente intitolato Matteo Babini, celebre tenore ed egregio cittadino, "Strenna Storica Bolognese", XLII, 1992, pp. 71-83).
9 La compagnia di canto formata da Anna Nava e Vincenzo Aliprandi diede in autunno al teatro Zagnoni due drammi giocosi: Il Chinese in Italia (libretto di Alessandro Pepoli e musica di Francesco Bianchi) e Il re Teodoro a Venezia (libretto dell'abate Casti musicato da Paisiello) e per il carnevale seguente vari drammi buffi. Durante l'estate vennero eseguite le "farse in musica" Amore alla prova e Furberia e puntiglio, il cui libretto a stampa reca una ossequiosa dedica al generale Klenau.
10 Sul teatro Taruffi in via del Poggiale al civico 717 (odierna via Nazario Sauro), si veda GIUSEPPE GUIDICINI, Cose notabili della Città di Bologna ossia storia cronologica de' suoi stabili pubblici e privati, Bologna, Tipografia delle Scienze, 1868-1878, voll. VI, IV, p. 227. Corrado Ricci (I teatri di Bologna nei secoli XVII e XVIII. Storia aneddotica, Bologna, Zanichelli, 1888, p. 299) dedica invece a questo teatrino poche righe, desumendo le notizie, per altro imprecise, dal saggio di GAETANO GIORDANI, Intorno al gran teatro del Comune in Bologna. Memorie storico-artistiche con annotazioni, Bologna, Società Tipografica Bolognese, 1855, nota 38, p. 68. Sulla sua attività musicale siamo invece ben informati grazie ad avvisi e libretti a stampa. Dopo tre stagioni di opera buffa, nel 1801 il teatro Taruffi tornò a disposizione dei filodrammatici e nell'ottobre del 1803 la Società dei Dilettanti qui recitò l'Antigone di Alfieri per tre serate, devolvendo in beneficenza, come di consueto, il ricavato delle prime due e depositando quello della terza presso il Monte del Matrimonio a vantaggio dell'attrice giovane Geltrude Bigatti (vedi VII.27.2). Per quanto riguarda le feste da ballo, esse si tennero non solo nella sala del primo piano ma anche in un locale al piano terra, come si ricava dalle richieste di licenza "di dare feste da ballo a pagamento" fatte nel 1808 da Luigi Bignami e nel 1809 da Mattia Biondi, "conduttore di un appartamento al pianterreno della casa del sig. Antonio Taruffi in via del Poggiale 717", ambedue conservate in ASBo, Archivio Prefettura e Legazione Apostolica. Atti generali, tit. XXVI, anni 1808-1809.
11 Cfr. Assemblee della Repubblica Cisalpina, a cura di Camillo Montalcini e Annibale Alberti, Bologna, Zanichelli, 1917-1940, I, parte I, pp. 156-158. Per un quadro generale si rimanda alla consistente documentazione, tratta dall'Archivio di Stato di Milano, raccolta da Antonio Paglicci Brozzi nel volume Sul teatro giacobino e antigiacobino in Italia (1796-1805), Milano, Pirola, 1887, a quanto esposto in Memoria postuma di Melchiorre Gioia sull'organizzazione dei Teatri Nazionali, a cura di Paolo Magistretti, Milano, Pirola, 1878 e al recente contributo di PAOLO BOSISIO, Tra ribellione e utopia. L'esperienza teatrale nell'Italia delle repubbliche napoleoniche, Roma, Bulzoni, 1990.
12 Dopo accese discussioni, si concordò che fosse sufficiente un solo Teatro Nazionale per ogni centro di una certa rilevanza. A Bologna fu elevato al rango di Teatro Nazionale l'odierno teatro Comunale.
13 La Rivoluzione. Commedia patriottica, Bologna, 1797 / Anno I della Repubblica Cisalpina, s.n.t. Questa commedia, scritta forse da un bolognese rimasto anonimo venne stampata a Bologna a seguito del gran successo ottenuto come dichiarato nella presentazione. Una volta entrata a far parte del repertorio della compagnia Battaglia e rappresentata a Venezia fu qui ristampata. Essa ha come protagonista un ex conte Vittorio, impegnato a convincere la famiglia dell'amata Angelica di quanto sia ingiusta la nobiltà e si conclude con un Inno patriottico ("Sorgi felice pianta") alludente all'Albero della Libertà.
14 Cfr. "Il Quotidiano Bolognese" del 14 dicembre 1797. Dopo una prima recensione positiva ("La brava compagnia Rossi, fra molte rappresentazioni democratiche, ne espone una che, riguardo a Bologna le presentò sott'occhio parte delle infami bricconerie del più empio degli Uditori criminali della corte di Roma, Federico Pistrucci. Costui ebbe gloria di urtare contro al desiderio comune de' Bolognesi, che era di veder ridotto ad utile pubblico l'ingegno di Giacomo Lucchini, così detto Il Ladro del Monte, e che egli volea a tutta forza giustiziato". Ma la commedia, così strutturata poneva di fronte a problemi di ordine etico: il Lucchini era un ladro e non poteva essere un eroe. Ma anche Pistrucci, responsabile dell'arresto e condanna di Zamboni e De Rolandis, pur avendo assicurato alla Giustizia un ladro, non poteva essere un eroe. Si trattava insomma di un bel pasticcio che falsava, nell'un caso come nell'altro, la storia, tanto che il redattore, alla fine della polemica, definiva la commedia "una delle più infelici produzioni di questo nostro secolo". Il testo, da ritenersi perduto, rimase a lungo nei repertori non solo delle compagnie comiche ma anche dei marionettisti.
15 Si tratta del noto libello satirico stampato anonimo e alla macchia col titolo di Il Conclave dell'anno 1774. Dramma per musica da recitarsi nel teatro delle Dame nel carnevale del 1775. L'autore, Gaetano Sertor, una volta scoperto venne incarcerato e in seguito esiliato, ma il suo Conclave, pur condannato all'Indice, circolò impunemente e tornò in auge dopo il 1796. Sulla singolare vicenda si veda della scrivente Condanna e apoteosi di un librettista: Gaetano Sertor e il "Dramma del Conclave", "Strenna Storica Bolognese", XXXIX (1989), pp. 99-120.
16 I tempi dei Legati e dei Pistrucci, del bolognese Luigi Giorgi, è uno dei testi più efficaci del teatro giacobino in Italia, in grado di coniugare gli obiettivi didascalici, che il teatro patriottico intendeva perseguire, con la dignità della scrittura scenica. Bloccata dalla censura a pochi giorni dalla rappresentazione, la commedia venne frettolosamente stampata dall'autore col titolo de I Laberinti o sia la Pistruccianeide per essere inviata a Milano. Tre mesi appresso otteneva sia l'autorizzazione alla recita (che non avvenne), sia le lodi per lo zelo dimostrato. L'autore si accontentò di ristamparla col titolo originale facendola precedere dalla riproduzione integrale dell'iter censorio percorso.
17 Cfr. "Il Quotidiano Bolognese", 19 febbraio 1798. Dopo aver riferito l'accaduto e riallacciandosi al recente scandalo della negata rappresentazione della commedia del Giorgi, il redattore commentava: "Sta a vedere se le Autorità Costituite non solamente hanno il diritto a proibire gli spettacoli, ma anche di costringere il Popolo di quel ch'egli non ama. Oibò, oibò, questa volta il Capocomico l'ha studiata male!".
18 Cfr. "Il Democratico Imparziale", n. 38 dell'11 novembre 1797. Un episodio analogo si era registrato anche nel teatro di Budrio durante il carnevale.
19 Cfr. Il Valore, la Virtù, il Merito, rappresentazione regio-eroica dell'abate Giulio Artusi, che deve precedere l'altra Marte e la Fortuna, dello stesso autore, da rappresentarsi nel Nuovo Teatro Pubblico di Bologna per festeggiare le vittorie dell'Armi di S.M.I. Francesco II l'estate dell'anno 1799, su musica di Vittorio Trento la prima, di Domenico De Rossi la seconda, unite al ballo pantomimico La presa di Mantova (vedi CMBM, libr. 5358). Le voci soliste delle due cantate furono di Adriana Ferrarese Dal Bene e di Antonio Brizzi, che risultano contemporaneamente impegnati al teatro Zagnoni nelle farse in musica Amore alla prova e Furberia e Puntiglio. Sempre al teatro Zagnoni in autunno si segnala un corso di recite di Antonio Morocchesi interprete, tra l'altro, del Saul alfieriano (vedi sonetto in X.47.7).
20 Cfr. Gli Orazi e i Curiazi. Tragedia per musica del signor Antonio Sografi da rappresentarsi in Bologna la primavera dell'anno 1800, s.n.t. (vedi CMBM, libr. 1145), divenuta quasi portabandiera musicale del nuovo regime, ebbe a Bologna come principali interpreti Domenico Mombelli e Teresa Bertinotti.
21 Cfr. "Gazzetta Nazionale di Bologna", n. 72 (1802) e GIUSEPPE GUIDICINI, Diario bolognese dal 1796 al 1818, Bologna, Società Tipografica, 1886-1887, II, pp. 167-168. Sull'evento e la sua lettura storico-critica si veda anche ANGELO VARNI, Bologna napoleonica. Potere e società dalla Repubblica Cisalpina al Regno d'Italia (1800-1806), Bologna, Massimiliano Boni Editore, 1973, pp. 141-143. Naturalmente corse voce che l'incendio fosse doloso e si rammentò che già durante il carnevale era stato trovato sotto il palcoscenico "un fiasco pieno di materia da incendiare".
22 "Dopo lunga assenza, è ritornata in Bologna, in cui ha la propria abitazione e beni, la virtuosa di Musica cittadina Brigida Banti, insieme con la sua famiglia", annunciava ai primi di settembre la "Gazzetta di Bologna". Assai ammirata all'estero, già applaudita a Bologna nel 1792 per la memorabile interpretazione della Zenobia in Palmira dell'Anfossi (vedi avviso in IV.14.1), che le valse la cittadinanza onoraria, la celebre artista, dopo aver cantato nell'Antigona (vedi avviso in IV.14.2 e sonetti in X.47.16 e 17), aveva intenzione di ritirarsi dalle scene. Dissesti patrimoniali la costrinsero, benché sofferente, ad accettare qualche altra scrittura. Moriva a Bologna il 18 febbraio 1806 e venne sepolta in forma solenne alla Certosa.
23 Teresa Bertinotti era già nota al pubblico bolognese avendo esordito al teatro Zagnoni nell'Elfrida di Paisiello (1796) e cantato Gli Orazi e Curiazi di Cimarosa nel 1800. Presto si sarebbe stabilita definitivamente a Bologna in seguito alle nozze con Felice Radicati, primo violino al Comunale, compositore e solista di fama. Ma la diva del momento dovette essere Giuseppa Grassini (vedi omaggi poetici in X.47.26-27 e XI.48.213), interprete di temperamento, gran bella donna, e che godeva della protezione di Napoleone. Tuttavia più che i drammi seri, non nuovi anche se ben cantati, piacquero i grandi balli eroici, entusiasmarono gli interpreti (vedi X.47.21-23) e il danzatore-coreografo Gaspare Ronzi (vedi X. 47.24).
24 A documentare questa esecuzione resta un "Avviso accademico per il teatro Marsigli" conservato in BCABo, Fondo Oreste Trebbi, cart. XIV, fasc. 7. Per inciso, Niccolò Paganini fece ritorno a Bologna nell'estate del 1818 e a fine dicembre del 1824.
25 Dal momento che nella monografia di Giuseppe Cosentino dedicata al teatro Marsigli, più volte citata, la trattazione relativa agli anni 1799-1803 risulta piuttosto sommaria, si potrebbe ipotizzare in questo lasso di tempo una messa in scena de La Molinara di Paisiello cui fanno riferimento tre omaggi poetici stampati su fogli di grande formato, non datati, l'uno dedicato al sig. Gigiro (nel ruolo di Pistofolo), l'altro al sig. Liniassa (nel ruolo di Colloandro) e il terzo alla primadonna, di cui si tace il nome ma si allega il ritratto (vedi XI.48.183-185). Sappiamo poi che una ulteriore ripresa de La Molinara si ebbe al Marsigli nel carnevale del 1812.
26 Per le recite dei Dilettanti di Comica al teatro Marsigli, si vedano gli avvisi in VII.23.2 e 3; VII.23.5-7; per la loro trasferta a Budrio vedi VIII.33.2.
27 Il necrologio dell'illustre commediografo e concittadino si trova stampato in prima pagina sulla "Gazzetta di Bologna", n. 24 del 1804. Con ogni probabilità Albergati era stato l'ispiratore del Piano elaborato per il Teatro Civico bolognese; preoccupato poi per il radicalizzarsi del dibattito sul teatro, aveva dato alle stampe un libretto intitolato Della Drammatica (Milano, presso Raffaele Netti, anno VI della Libertà [1798]) in cui, dopo aver ironizzato sul cattivo gusto e la retorica imperante nei teatri, difendeva la dignità degli spettacoli, la libertà per gli autori di comporre e sperimentare, l'integrità dei capolavori della drammaturgia minacciati dalle manomissioni della censura, concludendo che il teatro, oltre a servire all'educazione popolare, doveva rimanere fonte per tutti di "onesto piacere". Dopo la chiusura del Teatro Civico, Albergati aveva forse ospitato in casa sua qualche recita (vedi sonetto per la nuora Clementina Gini Albergati in X.18.13), prima di dar vita alla nuova Società di Dilettanti.
28 La documentazione sul cambio di denominazione della Società si conserva in ASBo, Archivio Prefettura di Bologna. Atti generali, tit. XXVI, anni 1803-1805. Con il nome di Filergiti, i nostri dilettanti si esponevano a metà luglio 1804, sempre al teatro Marsigli, per raccogliere fondi a favore dell'aeronauta Zambeccari (vedi VII.23.10).
29 Sull'attività dei dilettanti del Felicini in questi anni si vedano gli omaggi poetici in X.47.60 e X.47.70-72; sulla loro presenza a Budrio vedi VII.34.2. Questo teatrino, posto al primo piano di palazzo Felicini, era stato dato in affitto dall'ultima rappresentante del nobile casato ad un gruppo di dilettanti che a loro spese l'avevano restaurato e aperto al pubblico nel 1763, sperimentando una innovativa forma di autogestione. Malgrado i successivi passaggi di proprietà dell'immobile in cui aveva sede, il teatro Felicini, cui si accedeva per abbonamento, rimase attivo per un buon cinquantennio, alternando corsi di recite di buon livello a spettacoli musicali e di arte varia (cfr. MARINA CALORE, Il teatro Felicini da S. Salvatore e i suoi dilettanti, "Il Carrobbio", XIII, 1987, pp. 86-95).
30 Per gli spettacoli in casa Covelli vedi sonetti in lode di Carlo Bruera (X.47.31), di Tito Giraldi (X. 47.33) e di tutti gli accademici Filoponi (X.47.42). A testimonianza delle recite nel teatrino detto di S. Saverio vedi sonetto per Petronio Bragaglia, accademico Intrepido, in X.47.19; per quelle tenute presso l'Ospizio dei Preti in via Nosadella nel 1811, vedi X.47.61. In quest'ultimo caso i dilettanti in questione (artigiani, facchini, casalinghe) dopo essersi esibiti per un paio d'anni in via Nosadella, nel 1813 si spostarono in San Gregorio, al numero civico 712. Si ignora invece dove recitassero gli accademici Misargiaci menzionati in X.47.38.
31 Cfr. ASBo, Archivio Prefettura di Bologna. Atti generali, tit. XXVI, rub. 4, anni 1806-1814. Poiché la complessa burocrazia del tempo richiedeva che ogni spettacolo, ancorché domestico e gratuito, dovesse essere autorizzato, in periodo di carnevale presso l'ufficio del Delegato di Polizia fioccavano le richieste per ottenere il permesso di dare rappresentazioni in case private al fine di "divagare" la propria famiglia o per intrattenere piacevolmente il vicinato.
32 Sull'apertura del teatro della Concezione con un corso di recite degli accademici Filodrammaturgi nel 1809 vedi avviso in V.17.1, il sonetto in lode dei recitanti diretti da Carlo Bruera in X.47.55-56, e una tessera d'ingresso in IX.44.21. L'attività di questo locale, detto anche teatro di via Saragozza per la sua ubicazione o teatro Privat, dal cognome del proprietario, è documentata dal 1809 al 1824 e i Filodrammaturgi vi furono presenti ogni carnevale fino al 1814. Dopo aver ospitato esibizioni di vari fantasisti, di altri gruppi dilettanteschi, e di marionette, il teatrino venne definitivamente chiuso e trasformato in bottega.
33 Il Progetto a stampa (vedi fascicolo in VI.19.1), preceduto da un preambolo rivolto "Alla Municipalità di Bologna", reca in appendice l'assenso da parte della Municipalità medesima, e una Tabella con l'importo delle cambiali da sottoscrivere all'atto della prelazione di 40 palchi (distribuiti tutti nei primi tre ordini), corrispondenti alle 40 quote in cui l'ammontare dei costi era stato ripartito. Da questo documento apprendiamo inoltre che il Badini aveva commissionato la progettazione a due architetti di fama, Ercole Gasparini e Francesco Santini, e che la scelta era caduta sull'elaborato di quest'ultimo in quanto meno costoso.
34 Cfr. Progetto diretto a restituire con lustro maggiore l'incendiato teatro già Zagnoni all'antico suo uso, s.n.t. (ma Bologna, 6 aprile 1803), vedi fascicolo in VI.19.2. Il firmatario cittadino Torri dava notizia della sua iniziativa anche in un Avviso patrio comparso sulla "Gazzetta di Bologna", n. 23 del 1803. In base al progetto elaborato dal Gasparini (cfr. FABIA ZANASI, Interventi e proposte dell'architetto Ercole Gasparini nell'urbanistica bolognese d'età neoclassica, "Il Carrobbio", IV, 1979, pp. 437-454) il nuovo Zagnoni avrebbe dovuto essere ampliato rispetto all'originale mediante l'acquisto di due case contigue. Esiste un secondo progetto, forse successivo, redatto da Angelo Venturoli ("Progetto di ricostruzione del teatro Zagnoni a Bologna") per il quale si rimanda alla scheda di Deanna Lenzi n. 196, in Architettura, Scenografia, Pittura di paesaggio, catalogo critico a cura di Anna Maria Matteucci, Deanna Lenzi, Wanda Bergamini, Gian Carlo Cavalli, Roberto Grandi, Anna Ottani Cavina, Eugenio Riccomini, Bologna, Alfa, 1980, pp. 136-137.
35 Per l'occasione il Badini fece stampare un bell'opuscolo dedicato "Alla Maestà di Napoleone primo Imperatore de' Francesi e Re d'Italia", dal titolo Pianta, Facciata e Spaccato del Nuovo Teatro eretto in Bologna nella via di Santo Stefano, Bologna, Marsigli, 1805, in folio. La pregevole pubblicazione contiene una dettagliata Descrizione del teatro e sue adiacenze e tre rami illustrativi, opera di Francesco Rosaspina, ricavati dal progetto del Santini. Per il soggiorno di Napoleone a Bologna nel giugno del 1805 e il programma dei festeggiamenti predisposti si rimanda alla "Gazzetta di Bologna", nn. 49-51 del 1805, alle concise annotazioni di G. GUIDICINI, Diario cit., III, p. 57 e al saggio di UGO LENZI, Napoleone a Bologna (21-25 giugno 1805), Bologna, Zanichelli, 1980.
36 Su un totale di 99 palchi distribuiti in quattro ordini, 40 erano stati alienati in perpetuo; a questi andavano aggiunti tre palchi riservati alle autorità ed altri tre a disposizione della proprietà. Rimanevano tuttavia ancora 53 palchi il cui periodico affitto, unito a quello dei posti di platea e di loggione, avrebbe consentito un buon margine di guadagno per gli impresari. Ulteriori rendite al Badini potevano invece derivare dall'affitto del vasto caffè, degli appartamenti "di rappresentanza" e dell'albergo che avrebbe dovuto sorgere a fianco del teatro. Per quanto riguarda il nome da dare al teatro si preferì puntare su un toponimo: teatro del Corso, dunque, poiché l'edificio si affacciava su quel tratto di via santo Stefano lungo cui si teneva il 'corso' dei carri mascherati di carnevale. Per le vicende di questo teatro si rimanda a MARINA CALORE, Il teatro del Corso (1805-1944). 150 anni di vita teatrale bolognese tra aneddoti e documenti, Bologna, Lo Scarabeo, 1992.
37 Il 6 marzo 1806, data d'inizio degli spettacoli, alcuni attori della compagnia Bianchi non erano ancora arrivati a Bologna e il capocomico, scusandosi per il contrattempo, prometteva rimpiazzi. Delle 40 recite date da questa compagnia di cui facevano parte ottimi attori come Giacomo Dorati, Luigi Vestri, Giuseppe De Marini, destinati a rimanere i beniamini del pubblico per molti anni ancora, conosciamo alcuni titoli riportati dagli avvisi (vedi VI.19.4-20) e che costituiscono un interessante esempio di repertorio del tempo.
38 Cfr. Ines de Castro. Dramma per musica da rappresentarsi in Bologna nel teatro del Corso l'autunno del 1806, Bologna, Marsigli, s.a. (vedi CMBM, libr. 5684) Il libretto venne dedicato a Francesco Mosca, Commendatore del Real Ordine della Corona di Ferro e nuovo Prefetto del Dipartimento del Reno. Gli interpreti principali furono Giacomo David (vedi sonetto in X.47.35), uno dei migliori tenori del tempo e Imperatrice Sessi (vedi sonetto in X. 47.37) che in quel medesimo tempo venne aggregata all'Accademia Filarmonica di Bologna.
39 Nell'autunno 1805 il tredicenne Gioacchino Rossini aveva debuttato al teatro del Corso come cantante in Camilla o sia il sotterraneo di Ferdinando Paer, sostenendo il ruolo del figlio della protagonista. Nell'autunno del 1811 si ripresentava al Corso nella duplice veste di maestro al cembalo e compositore, con alterne fortune. Per quanto riguarda il suo rapporto con orchestrali e coristi, si può dire che fu caratterizzato da accesi battibecchi che gli procurarono una denuncia alle autorità dalle quali gli venne anche una ammonizione per scarsa puntualità nel presentarsi alle prove. Il suo spartito, L'equivoco stravagante, ebbe discreto incontro ma il libretto, scritto da Gaetano Gasparri e ritenuto troppo licenzioso, provocò la sospensione delle repliche (cfr. "Il Redattore del Reno", n. 43 del 1811). Rossini ottenne una rivalsa l'autunno successivo quando al Corso venne messo in scena con pieno successo L'inganno felice, cantato da Teresa Giorgi Belloc (vedi X.47.69) e dal giovane tenore Giovanni David, destinato ad emulare il celebre padre Giacomo.
40 Giuseppe Nadi, morto prematuramente nel giugno del 1814, non vide compiuta la sua fatica. Il Guidicini, segnalando il decesso nel suo Diario (III, p. 154), scriveva: "Fu ottimo disegnatore, massime nell'ornato. Lascia di sé memoria nelle fabbriche del palazzo Aldini al Monte e nel teatro Contavalli da S. Martino".
41 Cfr. Matilde. Dramma eroico per musica da rappresentarsi in Bologna nel nuovo teatro Contavalli l'autunno dell'anno 1814, Bologna, Tipografia Masi, s.a. (vedi CMBM, libr. 1211 e avviso in V.18.1). Nel libretto stampato per l'occasione, alla Dedica (al generale D'Ekhardt) fa seguito la Descrizione del teatro, unita alla Lettera contenente gli apprezzamenti espressi dalla Direzione degli Spettacoli dopo il collaudo della struttura. Durante la serata inaugurale, inoltre, vennero distribuiti un sonetto in lode di Antonio Contavalli (vedi X.47.83) e un fascicolo contenente composizioni poetiche in onore di Antonio Basoli cui era stata affidata la decorazione del teatro (cfr. Al merito singolarissimo del sig. Antonio Basoli onorevole membro dell'Accademia delle Belle Arti per l'apertura del nuovo teatro Contavalli da esso maestrevolmente dipinto, Bologna, tipografia Longhi, 1814), per la quale si rimanda alle schede di Deanna Lenzi nn. 213-216 in Architettura, Scenografia, Pittura di paesaggio cit., pp. 145-146.
42 Cfr. Orfeo, cantata ad una sola voce con cori. Musica del celebre dilettante signor marchese Francesco Giovanni Sampieri accademico Filarmonico, scritta espressamente per la signora Maria Marcolini in occasione della sua serata di beneficio, rappresentata nel teatro Contavalli l'autunno dell'anno 1814, Bologna, Fratelli Masi, s.a. (vedi IX.46.19). Per l'intero programma della stagione vedi avviso in V.18.2.
43 Il Guidicini, nel suo Diario più volte citato, menziona in varie occasioni il dott. Antonio Contavalli: a proposito della sua bella casa che si affacciava sulla piazza del Mercato, detta allora delle Armi (odierna piazza VIII Agosto), di diverse transazioni immobiliari, in occasione dell'apertura e riapertura (luglio 1816) del suo teatro così descritta: "È andata in scena al teatro Contavalli l'opera L'italiana in Algeri. La riapertura di questo teatro era stata sospesa dal governo ad istanza del curato di S. Martino, il quale si credeva tanto sicuro della vittoria, che ebbe a dire che il giorno della riapertura del teatro avrebbe mangiato un asino vivo". Il curato in questione non aveva fatto i conti con la determinazione di Antonio Contavalli che ricorse alla Segreteria di Stato e vinse la causa. Si narra che, a vittoria ottenuta, egli mandasse al curato un asinello da latte cotto a puntino.
44 Nel Gabinetto Disegni e Stampe della Biblioteca dell'Archiginnasio si conserva un interessante progetto dell'architetto Gasparini relativo ad un piccolo ma elaborato teatro da costruirsi nel ghetto di Bologna (cfr. F. ZANASI, Interventi e proposte dell'architetto Ercole Gasparini cit., p. 437). Dal momento che non è datato né viene specificato chi ne fosse il committente, risulta difficile dire se vi sia un nesso o meno con il teatrino di San Gabriele.
45 Dell'attività di questo teatrino, da noi ricostruita per lo più mediante la documentazione tratta dall'Archivio della Prefettura di Bologna, restano soltanto un paio di avvisi (in VII.26.1-2) e un raro libretto intitolato Il Prometeo, Ballo spettacoloso in cinque atti già dato in Milano l'anno 1813. Inventato dal sig. Salvatore Viganò, da eseguirsi con Automi nel teatro San Gabriele la primavera dell'anno 1814. Diretto da Luigi Pagani Toscano, Bologna, Longhi, s.a.
46 A Gaetano Dalla Noce vennero tributate pubbliche lodi per l'impegno volto al restauro e all'abbellimento del locale (vedi X.47.44 e 47). Completato il maquillage del Felicini, sempre nel 1807, presero avvio analoghi lavori di decorazione al Marsigli e tra i due teatri si stabilì una sorta di 'convenzione' per cui, ad esempio, le tessere di abbonamento ai palchi del Felicini erano valide in alcune occasioni anche per il Marsigli, e ai Dilettanti del Felicini venne data l'opportunità di calcare le scene del Marsigli. Anche il teatrino Legnani fu ridipinto secondo la moda nel 1810, come attesta ancora una volta un sonetto (non presente nella nostra raccolta) intitolato Al merito singolare del sig. Filippo Bottazzi che con somma perizia ed eleganza ha dipinto il teatro Legnani di Bologna, Bologna, Ramponi, 1810.
47 Françoise Marie-Antoinette Saucerotte, detta Madame Raucourt, grande attrice tragica in gioventù, aveva ottenuto nel 1806 da Napoleone l'incarico di dirigere una compagnia con il compito di divulgare il teatro francese in Italia. Preceduta da lettere credenziali diramate dal Ministero delle relazioni estere a tutte le Prefetture, durante la lunga tournée italiana toccò Torino, Genova, Milano, Brescia, Venezia, e, come si è visto, Bologna. Intenzionata anzi a far tappa a Bologna fin dal 20 giugno 1807 aveva fatto richiesta di "una sala comoda a condizioni favorevoli", ma non dovette essere facile trovare un teatro rispondente ai requisiti. Il ricco repertorio della compagnia francese, puntualmente documentato dagli avvisi (vedi VII.20.3-41 per gli spettacoli dati al Felicini e VII.22.21-22 e 26-32 per quelli dati al Marsigli), spaziava tra commedie sentimentali e di carattere, escludendo le tragedie.
48 Cfr. "Il Redattore del Reno", n. 87 del 1809. Lo stesso periodico segnala quasi tutti gli spettacoli, anche di altra natura, dati al Felicini che in tal modo assume una maggiore visibilità.
1. Il 14 settembre 1806 Francesco Maria Mosca Barzio, ex nobile pesarese, faceva ingresso a Bologna in qualità di nuovo Prefetto del Dipartimento del Reno. Si rivelò buon amministratore, energico, in grado di concentrare su di sé le molteplici funzioni che la carica comportava. Promosso di grado, lasciò la città alla fine del 1809 per insediarsi alla Direzione Generale di Polizia di Milano dove continuò a impartire istruzioni e a riorganizzare servizi.(49) Per quanto ci riguarda, fu convinto assertore dell'importanza culturale, sociale ed economica del teatro e della necessità di restituire dignità agli spettacoli: colla sua firma infatti, in data 5 novembre 1806, compariva a stampa un Regolamento teatrale destinato a restare in vigore a Bologna per quasi un quarto di secolo e che divenne ben presto noto e citato come "Regolamento Mosca".
Invero da tempo era sentita l'esigenza di possedere un quadro completo ed aggiornato della situazione degli edifici teatrali esistenti nei vari Dipartimenti, e il Ministero dell'Interno aveva avviato una indagine conoscitiva incaricando le varie Direzioni sopra gli Spettacoli, istituite in base al decreto governativo dell'8 settembre1802, di redigere dei rapporti in materia.(50)
Il Dettaglio dei Teatri di Bologna, predisposto dalla locale Direzione sopra gli Spettacoli (detta anche "Direzione dei Teatri") e approntato ai primi d'aprile del 1806, consiste in un ampio e ordinato Prospetto in cui vengono elencati i teatri "pubblici" (il teatro Pubblico o Nazionale, il teatro del Corso, il teatro Marsigli e quello di Imola), per ciascuno dei quali vengono fornite notizie ritenute essenziali (denominazione, proprietà, amministrazione, stagioni in cui agiscono, qualità degli spettacoli, palchi di pubblico diritto, amministrazioni che godono l'uso dei palchi gratuitamente) unito ad una Nota relativa a quelli "privati" nella quale si legge:
Diversi sono i privati teatri che esistono in questa comune. Primo fra questi si è quello che deve la sua denominazione dal proprietario sig. D. Cesare Taruffi. In varie epoche si sono quivi rappresentate Opere Buffe. Per quanto a noi consta d'ora in appresso non potrà ritenersi attivo, avendolo vietato espressamente il Governo. Il secondo è il teatro Felicini. In origine fu posseduto dalla famiglia di questo cognome illustre fra noi, ora appartiene alla famiglia Zani. In questo non si producono che rappresentazioni comiche da compagnie di dilettanti, sempre però gratuitamente. Parecchi sono stati i veglioni qui concessi. Non è da questo dissimile il teatro di S. Xaverio, quale per essere attaccato ad una caserma è di Ragione Nazionale. Il quarto è il teatro Legnani di proprietà degli eredi di questa famiglia la cui linea va estinguendosi. È destinato all'esercizio di fantoccini o sia marionette con intermezzi in musica. Niuna contezza possiamo darvi sopra gli altri teatri che pure esistono all'interno delle case particolari, i quali, per essere privati e non soggetti all'ispezione, difficile si renderebbe ogni preciso dettaglio.(51)
Scopo principale dell'indagine era senz'altro quello di tenere sotto controllo dei locali intensamente e variamente frequentati, quali erano appunto i teatri, mediante la sorveglianza diretta da parte della Polizia e la supervisione, velatamente censoria, da parte della Direzione sopra gli Spettacoli. Al di là di queste funzioni di controllo esercitate dagli organismi competenti, si sentiva anche la necessità di disciplinare l'anarchica vita teatrale che si era venuta creando, soprattutto in città come Bologna dove i teatri erano praticamente in funzione tutto l'anno, e di curarne i malanni più frequenti: la qualità scadente delle proposte spettacolari, le illegali occasioni di lucro, le scritture irregolari e la strisciante concorrenza, come stavano a dimostrare le programmazioni non certo esaltanti del teatro Pubblico, le continue richieste di introdurre ogni sorta di tombole, lotterie e giochi d'azzardo all'interno dei teatri, il clamoroso fallimento dell'impresario dell'opera seria del teatro del Corso. Anzi, fu proprio quest'ultimo avvenimento, nel quale il Prefetto Mosca si sentiva indirettamente coinvolto, a spingerlo ad agire con prontezza.
La sera del giorno stesso del suo arrivo a Bologna, al teatro del Corso era andato in scena il dramma Ines de Castro musicato da Nicola Zingarelli unito al ballo eroico Incoronazione di Aristodemo. Egli era stato ospite d'onore della rappresentazione e l'impresario Giuseppe Marchesi gli aveva dedicato il libretto stampato per l'occasione nel quale magnificava il frutto delle proprie fatiche: "un dramma non mai abbastanza applaudito", "un ballo eroico serio mai più rappresentato su questa scena", e ancora "la scelta di cospicui personaggi principali attori", le scene tutte nuove, il ricco vestiario, ecc. Incauto vanto, perché per una serie di imprevisti l'impresario Marchesi era fallito, lasciando un grosso debito solo in parte coperto dalla disponibilità dei cantanti che accettarono di proseguire le repliche e di versare alla cassa comune il ricavato delle serate di beneficio. Il Prefetto si trovò così coinvolto nel salvataggio in extremis dello spettacolo e dopo aver sentito le parti lese, approvato tagli e sostituzioni, essersi fatto un quadro completo della situazione,(52) pensò di predisporre uno strumento efficace, un Regolamento teatrale appunto, in grado di fissare una normativa precisa in materia onde superare inveterate consuetudini e confuse disposizioni transitorie.(53)
2. I pubblici Teatri e Spettacoli, che bene regolati influiscono sulla morale e tranquillità pubblica, singolarmente nelle grandi Comuni, formar devono una delle principali cure della prima rappresentanza del Governo. La fede pubblica deve essere in ogni incontro garantita, né i particolari interessi devono colludersi tra loro. Preso pertanto in maturo esame questo ramo in pubblica e in politica amministrazione; fatto riflesso al dovere di garantire principalmente l'interesse del Teatro Comunale; desiderando che anche in questa parte una così cospicua Città si distingua e sia di norma alle altre; pressato da quanto, per solo difetto di positivi regolamenti è ultimamente accaduto per lo spettacolo del teatro Badini al Corso, sono venuto in determinazione di prescrivere e ordinare….
Senza addentrarci nella trascrizione integrale dei 30 articoli che seguono, possiamo sintetizzarne il contenuto e gli effetti della loro applicazione.
Una trafila burocratica che non ammetteva eccezioni avrebbe assicurato il controllo dal momento che nessun teatro o sala pubblica, poteva venir concesso o affittato senza autorizzazione prefettizia (art. 1); nessun impresario o capocomico, gruppo di dilettanti, privato cittadino, avrebbe potuto dar inizio ad un corso di spettacoli senza averne avuta licenza dal Prefetto (artt. 2 e 13). Ogni domanda poi doveva essere presentata al Protocollo, istituito presso l'Ufficio di Polizia, dietro il rilascio di una ricevuta numerata recante la data di consegna e quella di una eventuale convocazione (artt. 8 e 9).
Onde evitare contestazioni si stabiliva che nella concessione delle licenze sarebbe stato favorito chi avesse presentato per primo la domanda (art. 7) e per scongiurare gli effetti rovinosi dei fallimenti, ciascun impresario o capocomico era tenuto a versare anticipatamente un "deposito di segurtà", dal quale erano esentati solo i cittadini bolognesi "possidenti" (artt. 3 e 4); ancora, perché non vi fossero strascichi legali, i teatri pubblici dovevano depositare copia dei contratti di volta in volta stipulati (artt. 10 e 19).
Fatto poi un rapido calcolo ed essendo tre i teatri pubblici cittadini, era stata fissata una norma abbastanza equa: durante tutto l'anno sarebbero stati aperti due teatri, per Quaresima e l'Avvento uno solo, durante il carnevale avrebbero agito tutti e tre contemporaneamente mai però con più di uno spettacolo in musica alla volta (art. 5). In considerazione del fatto che lo spettacolo più prestigioso era l'opera seria in musica con ballo eroico, e che solo il Comunale pareva in grado di programmare cosa tanto grandiosa da non ammettere economie, si determinò di avvantaggiare il Comunale ogniqualvolta avesse allestito l'opera seria con ballo al di fuori del periodo carnevalesco (art. 6). Il Prefetto comunque si riservava facoltà di decidere in base "al comodo del paese, delle circostanze del momento, alla natura dello spettacolo, all'interesse delle parti" (art. 11).
Si affermava che impresari e capocomici avevano diritto ad un giusto compenso per le loro fatiche e pertanto li si esentava da qualunque altra imposizione fatta salva la tassa sull'illuminazione (art. 27); un trattamento di particolare riguardo sarebbe spettato ai Comici Francesi che Napoleone si apprestava ad inviare in Italia (art. 20); con una certa benevolenza venivano anche guardati i teatri privati, autogestiti dai dilettanti, che avrebbero potuto avvicendarsi durante tutto l'anno e restare aperti contemporaneamente di carnevale (art. 12).
Ma i teatri, si sa, non erano soltanto il luogo in cui si davano spettacoli: erano previsti l'organizzazione di veglioni e l'uso dei ridotti come sale da gioco, sul cui ricavato si poteva ampiamente speculare. Sei veglioni vennero assegnati al teatro Comunale (ma era un modo come un altro per risarcire il Municipio per le spese di gestione del suo gran teatro); le rimanenti feste da ballo a pagamento vennero distribuite a chi ne avesse fatta richiesta (artt. 14-15-16-17).
Gli impenitenti frequentatori dei ridotti avrebbero invece potuto stazionarvi solo nelle ore d'apertura del teatro e comunque dietro pagamento di regolare biglietto, come se avessero assistito allo spettacolo: se preferivano i tavoli da gioco, peggio per loro (artt. 21-22-23-24). Molto restrittive d'altra parte erano le norme che consentivano l'introduzione dei giochi d'azzardo (artt. 25 e 26).
Gli ultimi articoli riguardavano la tutela della qualità e l'osservanza dell'ordine pubblico, affidata la prima alla Direzione degli Spettacoli e la seconda alle forze di polizia (artt. 28 e 29), nonché l'obbligo di affissione di una copia del Regolamento medesimo in tutti i teatri (art. 30).
Quindi, dopo aver meglio definito le competenze della Direzione sopra gli Spettacoli, precisato l'organico delle truppe di guardia per ciascun teatro in base alla capienza, fissato gli orari di inizio degli spettacoli, stagione per stagione, l'11 dicembre 1806 egli fece pubblicare pure la Nota relativa gli aventi diritto all'ingresso gratuito, in modo da chiudere con le continue contestazioni.(54)
Nulla dunque poteva esserci di più organico, ragionevole, efficiente del Regolamento con i suoi quattro corollari di cui sopra, steso del resto con cognizione di causa e alla cui applicazione il Prefetto spese tempo e fatiche. I guai cominciarono proprio quando Francesco Mosca era in procinto di lasciare Bologna, allorché vennero aperti, con finalità apertamente speculative, altri teatri pubblici (le due Arene, il San Gabriele, il Contavalli), quelli privati ripresero vigore, le formazioni dei dilettanti si misero a fare concorrenza ai professionisti e il pubblico mostrò di apprezzare generi spettacolari non propriamente classificati come 'teatrali'.(55)
3. L'apertura in via Castellata di una Arena d'aspetto dimesso e provvisorio avvenne nell'estate del 1809 senza difficoltà, quella dell'Arena del Sole, in pietra e quindi stabile, fu l'anno seguente ostacolata in vario modo, come si vedrà in seguito. Era presumibile comunque che due teatri diurni, che non rientravano per altro tra le tipologie previste dal Regolamento, si sarebbero ostacolati a vicenda e in proposito il nuovo Prefetto, barone Querini Stampalia, chiese lumi a Milano al suo predecessore Mosca. Poi fu la volta del teatro San Gabriele aperto nel 1811 come modesto locale per marionette il cui proprietario però aveva sperato che fosse equiparato ai teatri pubblici. Ma il Regolamento non menzionava teatri pubblici per marionette e il passaggio di categoria gli venne negato. Non essendo stato accontentato, egli prese a tempestare gli uffici competenti con una raffica di petizioni e minacce di ricorsi, continuando imperterrito a fare quel che gli pareva, forte del fatto che il suo locale era particolarmente gradito alla truppa.
Ma anche una corretta applicazione del Regolamento poteva dare risultati paradossali. In previsione del carnevale 1813-1814, ad esempio, sia il teatro San Gabriele sia il Marsigli presentarono richiesta d'apertura, unitamente ai contratti già stipulati. Le domande però vennero inoltrate lo stesso giorno, per il medesimo tipo di spettacolo ("drammi e tragedie"), per cui fu necessario, in applicazione degli articoli 5 e 7 del Regolamento, uno scambio di consultazioni tra la Direzione degli Spettacoli (che propendeva per avvantaggiare il Marsigli) e il Prefetto il quale infine concesse al San Gabriele l'apertura dal 25 dicembre al 24 gennaio successivo e al Marsigli dal 25 gennaio alla fine del carnevale. Mentre la decisione doveva essere ancora partorita, Angelo Marsigli, proprietario dell'omonimo teatro, minacciò di citare le autorità per danni se, per un intoppo burocratico, la scrittura fosse andata in fumo. E quando la risposta prefettizia giunse, fu il Coralli ad impuntarsi perché aveva un numero di protocollo più basso e gli sarebbe spettato il trattamento migliore. Deus ex machina arrivò il Murat con qualche migliaio di soldati al seguito e, in via eccezionale, tutti i teatri rimasero aperti contemporaneamente. Ormai rimediare una licenza attraverso le maglie del Regolamento era diventata una prova di pazienza e abilità, soprattutto durante il periodo in cui si avvicendarono un Governo Provvisorio Austriaco e una Commissione Governativa delle tre Legazioni in cerca di consensi.
Nell'autunno del '14 era stata portata a termine la fabbrica del teatro Contavalli ma se si voleva inaugurarlo (oltre tutto con un dramma serio con ballo) sarebbe stato necessario chiudere almeno uno degli altri teatri in funzione e si optò per sacrificare il San Gabriele rintuzzando alla meglio le consuete lamentele. Il nuovo Contavalli era funzionale, elegante, meritevole d'attenzione e il suo proprietario uomo benvoluto e influente. Chiese, per ripagarsi almeno in parte delle spese sostenute, che gli fosse concesso di dare due veglioni per il veniente carnevale. Senza troppo pensarci su, le autorità gli concessero due veglioni, del giovedì grasso e del martedì ultimo di carnevale, fino ad allora appannaggio del teatro del Corso, che fece valere i suoi diritti, ragion per cui si giunse al compromesso di assegnare, per quell'anno, un veglione per ciascuno ai due contendenti.
Il passaggio di Bologna al Governo Pontificio ebbe come prima conseguenza la chiusura definitiva del teatro San Gabriele e quella temporanea del teatro Contavalli il cui proprietario fu costretto a recarsi a Roma per far valere i suoi diritti e, in seguito, a rinunciare a due ambienti posti al pianterreno del suo edificio e ad una parte del portico. In secondo luogo venne elaborato un nuovo Elenco degli aventi diritto all'ingresso gratuito nei teatri,(56) in terzo luogo il calendario delle manifestazioni venne ridotto in ossequio alle festività religiose. Si ventilò anche di abolire il Regolamento del 1806 ma non se ne fece nulla. Mutò invece formalmente l'iter burocratico che dovevano fare le domande per ottenere delle licenze, rivolte ora per via gerarchica "all'Eminenza Reverendissima" del cardinal Legato, ed assunse sempre maggior peso il parere ampiamente discrezionale della Direzione degli Spettacoli che divenne determinante in alcune occasioni, come dimostra la contesa insorta nel '19 a proposito di una messa in scena della Gazza Ladra di Rossini.
L'impresario del teatro Contavalli l'aveva posta in programma per la stagione estiva, dopo averne fatto regolare richiesta; si scoperse però che il medesimo spartito figurava anche nella programmazione autunnale del teatro del Corso. In base al Regolamento non ci sarebbe stato niente da eccepire, poiché si trattava di stagioni differenti, ed erano tempi quelli in cui le opere rossiniane andavano a ruba. Ma la Direzione sopra gli Spettacoli volle egualmente esprimere il proprio parere, sfavorevole al Contavalli, favorevole al Corso, dichiarando che quest'ultimo teatro avrebbe garantito "virtuosi di fama e di reputazione stabilita". A nulla valsero le proteste di Antonio Contavalli e del suo impresario che opponevano il numero del protocollo, il contratto firmato, un allestimento già in atto, allegando persino una dichiarazione del negoziante di musica Francesco Zappi che attestava l'avvenuta consegna delle parti ai cantanti: il 28 giugno al teatro Contavalli fu ingiunto di sospendere tutto e cambiare programma.
Fino ad allora spesso in aperta concorrenza, i due teatri Contavalli e del Corso si sarebbero trovati ben presto alleati contro un nemico comune.
4. In tutti questi anni il teatro Comunale, sempre condizionato nelle scelte dall'entità della 'dote' che il Municipio doveva assegnare agli impresari, aveva alternato qualche stagione di buon livello, come quelle del 1808, 1809 e 1817, con altre di pura routine.(57) Per ovviare a una situazione di perdurante incertezza ed endemica carenza di fondi pubblici, si pensò (ma non era la prima volta) a una forma alternativa di finanziamento, da parte di una società privata senza fini di lucro che ne assumesse la gestione.(58) Temporaneamente il progetto dovette essere accantonato a causa degli urgenti restauri che la sala del Bibiena richiedeva, per pagare i quali vennero tassati albergatori, gestori di trattorie, osti, caffettieri, fabbricanti di liquori.
Per un biennio, tanto quanto durarono i lavori, il ruolo di primo teatro della città spettò al teatro del Corso il cui attuale impresario, Carlo Redi, riuscì anche ad ottenere un pubblico finanziamento per mettere in scena le tanto ambite e attese opere serie in musica con balli.(59) A titolo personale però il Redi face pervenire alla Direzione sopra gli Spettacoli un allettante Progetto (in data 2 marzo 1819) in cui proponeva se stesso come prossimo impresario del teatro Comunale, assicurando l'allestimento di una serie di spettacoli musicali veramente grandiosi. Chiedeva come contropartita o un sostanziale aumento della 'dote' oppure la libertà di scelta sia della stagione in cui mettere in scena l'opera seria con ballo attuando una rigorosa applicazione dell'art. 6 del Regolamento (ovvero di quella che con linguaggio tecnico si diceva 'privativa'), sia dei giorni in cui tenere i veglioni di carnevale. Il Municipio optò per la seconda soluzione e senza badare alle conseguenze la pose nel contratto quinquennale con cui si assicurò i servigi del Redi.
Il teatro Comunale, rinnovato ed abbellito, riprese l'attività artistica nella primavera del 1820 con due grandiose messe in scena d'opera seria (Semiramide riconosciuta di Meyerbeer e Aureliano in Palmira di Rossini), unite ai balli Il noce di Benevento e La vestale.(60) Agli altri teatri, del Corso, Contavalli e Marsigli, fu ingiunto di rimanere chiusi durante le giornate corrispondenti a tutte le repliche previste al Comunale, ma i rispettivi proprietari insorsero e fecero sentire le loro ragioni a Roma.
Beatissimo Padre,
Appoggiati alle venerande e provvide Leggi dalla Santità Vostra emanate, e garantiti da quegli inviolabili principi di giustizia, che di questo Felicissimo Stato sono la base primiera ed inalterabile, con tutta la fiducia vi umiliano le devote loro suppliche Angelo Marsigli, Patrizio di Bologna, assieme ai suoi concittadini Giuseppe Badini e Dottor Antonio Contavalli, Possessori di Teatri in questa stessa Comune, all'effetto che loro sia resa ragione sulle indebite pretese della Comunitativa Magistratura tendenti se non a togliere almeno a diminuire loro il diritto di esercitare liberamente gli accennati propri stabilimenti nei tempi, per rispetto di Religione, non vietati.(61)
La supplica inoltrata nell'aprile del 1821 al Pontefice poggiava su una questione di principio (il libero godimento della proprietà) ma conteneva altre valide argomentazioni: se il Municipio, ad esempio, col diritto della 'privativa', intendeva risparmiare sulla 'dote' da assegnare al proprio teatro, andava chiarito che Marsigli, Badini, Contavalli contribuivano non poco a formare quella 'dote' pagando le tasse; se poi si parlava di vantaggio per la cittadinanza, ben si sapeva che sarebbe stato un vantaggio limitato "alle classi doviziose"; se infine si appellava al Regolamento emanato dal passato regime, i proprietari dei teatri avevano a loro volta ragione a rivendicare l'osservanza dei contratti con quel medesimo regime stipulati.
Quest'ultimo punto stava particolarmente a cuore al Badini che accusava l'amministrazione municipale di averlo privato del diritto di tenere nel suo teatro i due veglioni che gli erano stati concessi fin dal 1802 nel documento di approvazione del suo Progetto.(62)
La Segreteria di Stato incaricò il Legato di Bologna di fare indagini, questi si rivolse proprio alla Direzione sopra gli Spettacoli per avere chiarimenti, e il 22 giugno la Direzione espresse il proprio parere osservando "come a mal proposito siano state promosse le rimostranze dei prefati Ricorrenti", e minimizzando sul danno materiale da essi subito. Consapevole tuttavia di non essere dalla parte della ragione, la stessa Direzione ordinò, a scopo intimidatorio, una ispezione tecnica dei tre riottosi teatri. Il venerando Marsigli fu dichiarato pressoché inagibile, sul Contavalli, di recente costruzione, ci fu poco da eccepire, del Corso, malgrado una malevola relazione, furono messi in evidenza solo piccoli malanni dovuti all'incuria e all'usura.(63)
Il Badini durante l'estate fece ridipingere il suo locale, ma subito appresso decise di avviare una battaglia legale in grande stile per ottenere nei confronti del suo teatro l'abolizione della 'privativa' che, a parte i danni derivanti dai giorni di forzata chiusura e dalla mancanza dei veglioni, provocava gravi difficoltà nella stesura dei contratti. Rimasto poi solo a condurre le rivendicazioni, poiché nel frattempo Angelo Marsigli aveva deciso di chiudere il suo teatro e il dottor Contavalli era morto improvvisamente nell'aprile del '23 lasciando disorientati gli eredi,(64) Badini ritenne opportuno recarsi a Roma per seguire personalmente le pratiche del ricorso.
Nel luglio del 1823 infatti il cardinal Consalvi, a capo della Segreteria di Stato, scriveva al Legato di Bologna: "Il sig. Giuseppe Badini, che da diversi mesi si trattiene in questa Capitale con non lieve suo scapito, torna ad insistere per la decisione della nota istanza". Osservava che comunque "non è giusto che altri danni si aggiungano al Badini coll'obbligarlo ad una assenza più lunga dalla sua famiglia", e rispediva tutto l'incartamento alla volta di Bologna invocando l'intermediazione dell'arcivescovo Opizzoni perché la vertenza fosse composta al più presto, senza scandalo e secondo giustizia.
Alla questione di principio in attesa di una soluzione, si era aggiunta la vertenza relativa ai veglioni e il Badini decise nel 1824 di riappropriarsi di quelli che gli spettavano. Stante il diniego dell'impresario Redi, ricorse immediatamente al tribunale civile che gli diede ragione con una sentenza esemplare, emessa con procedura d'urgenza l'11 febbraio e pubblicata il giorno 23 in base alla quale da subito il Badini doveva essere reintegrato nel suo diritto di dare i veglioni che gli competevano, pena il risarcimento dei mancati introiti. Al Municipio fu inutile un ricorso in appello poiché anche la seconda volta perdette la causa.(65) Ma essendo nel frattempo scaduto il contratto con il Redi, si trovò anche la 'magica' formula giuridica invalidante la 'privativa': essa era semplicemente inapplicabile al teatro del Corso in quanto costruito anteriormente all'entrata in vigore del Regolamento del 1806 e in base ad "accordi governativi che non prevedono, in quanto tali, eccezione alcuna".
5. Nel 1826 al Municipio non restava che pagare, presto o tardi, il risarcimento dei danni materiali e morali arrecati al Badini, nel cui conteggio complessivo venivano ad assommarsi quelli subiti per mancati guadagni dal 1820 al 1825 con gli interessi gravanti sul denaro preso a prestito per evitare l'ipoteca sul teatro, fino raggiungere la cifra di 6.041 scudi romani. Il Badini tuttavia, poco fiducioso di ottenere tutto e subito, pareva intenzionato a vendere la sua proprietà, e in tal senso aveva già interpellato i 40 palchettisti e formulato una richiesta ammontante a 18 mila scudi da pagarsi in tre rate fruttifere entro il 1829. Ma la proposta, messa a partito in Consiglio Comunale, venne respinta "con voti contrari dodici e undici favorevoli".
In seguito la medesima proposta (10 febbraio 1827), formulata in altri termini, venne rilanciata: l'acquisto non si sarebbe limitato al solo teatro ma avrebbe interessato le così dette "adiacenze" collegate al corpo centrale della fabbrica da una serie di servitù (la bottega del caffè, il negozio di musica della ditta Cipriani, l'abitazione privata del Badini e altri quattro appartamenti), per un ammontare di 26 mila scudi calcolati in base alla stima fatta dall'ingegner Tubertini sullo stato dell'immobile e sulla rendita delle affittanze.(66)
A questo punto avvenne il colpo di scena. Mentre i Consiglieri si mostravano ben disposti a portare a termine la faccenda e già pensavano di usare in futuro il provento degli affitti per coprire la 'dote' del teatro Comunale e, in prospettiva, quella del teatro del Corso, il Legato card. Albani, che in un primo tempo si era mostrato favorevole, espresse parere negativo affermando che i beni immobiliari erano ottimi investimenti per i privati ma non per un'azienda pubblica che non aveva altri fondi da investire se non i proventi delle imposte, e che i contribuenti non desideravano vedere il loro denaro trasformato in teatri.
Nella seduta del Consiglio dei Savi del 5 dicembre 1828, invece di discutere di compravendite, si cercò dunque di studiare il modo per procrastinare il risarcimento dei danni al Badini. Alla morte del quale, avvenuta nel 1832, il figlio Gaetano si trovò infatti ad ereditare un patrimonio tuttora oberato dai debiti e dovette ricorrere ancora una volta a vie legali per ottenere quanto gli spettava..
Salva la vertenza relativa ai veglioni, che fu di pubblico dominio, tutto il resto, suppliche e ricorsi, azioni legali e trattative, venne condotto con la massima discrezione onde evitare scandali, e rimase pertanto sepolto negli archivi. Tra il teatro Comunale e quello del Corso non ci fu comunque più concorrenza poiché il primo si assunse il compito di allestire esclusivamente spettacoli musicali e il secondo, pur libero di dare qualche stagione d'opera, puntò tutto sul teatro recitato.
Nel frattempo il nuovo Legato card. Bernetti ritenne opportuno porre un freno ad una attività teatrale fattasi troppo vivace cominciando col limitare i tempi d'apertura delle arene. Fu emanata poi una Notificazione per disciplinare il comportamento degli spettatori, compilata una Tabella che fissava il contributo che ciascun teatro pubblico era tenuto a versare agli istituti benefici cittadini, e un'altra che stabiliva un limite numerico per i teatri pubblici compresi quelli per marionette. Vennero infine impartite le Istruzioni pei Signori Ispettori ai Pubblici Spettacoli (67) che ulteriormente rafforzavano le competenze della Direzione sopra gli Spettacoli, che ora prendeva l'appellativo di "Nobile" e i cui membri dovevano far parte del Consiglio dei Savi. E fu ancora una volta questo organismo ad ostacolare la nascita di nuovi teatri come quello costruito da Antonio Brunetti in uno stabile di via Cartoleria Vecchia.
Invero nell'ex Collegio dei Nobili di via Cartoleria, intitolato a S. Francesco Saverio, fin dai primi del '700 esisteva un elegante teatrino,(68) rimasto in funzione ad uso dei dilettanti anche dopo la chiusura del Collegio e il passaggio al Demanio di tutti i beni appartenuti ai Barnabiti. In seguito lo stabile era stato frazionato in più appartamenti e fatto oggetto di vari passaggi di proprietà, senza che il teatrino fosse smantellato. Malandato ma ancora praticabile lo trovò nel 1822 l'ultimo acquirente, il sig. Brunetti appunto, che pensò di trarre un qualche vantaggio. E dal momento che in quegli anni erano in voga gli spettacoli di marionette, a marionettisti lo offerse in affitto e al loro seguito si fecero avanti i soliti dilettanti sempre in cerca di spazi ove esercitarsi.(69)
Il Brunetti, che era ingegnere, tentò di compiere un salto di qualità, ampliando e ristrutturando radicalmente il locale per metterlo in condizione d'essere dichiarato 'venale', con facoltà di imporre il pagamento di un biglietto di ingresso per assistere ai suoi spettacoli.
I lavori avviati nella primavera del 1830 si protrassero fino alla fine dell'anno e il loro ammontare superò di gran lunga il contante a disposizione (per il finanziamento, come di consueto, era stata costituita una Società di Caratanti), ma il risultato fu assai gradevole e lo spettacolo inaugurale trovò spazio tra la cronaca teatral-mondana cittadina.
Colla sera delli 15 gennaio da una Società di giovani Dilettanti Bolognesi col titolo di Filodrammi, si diede apertura ad un Teatro privato costruito per opera e a spese del sig. ing. Antonio Brunetti, in un suo fabbricato posto in via Cartoleria vecchia al n. 313. Numeroso fu il concorso e tutti ebbero ad ammirare l'eleganza del teatro che quella sera era illuminato da copioso numero di ceri. Il teatro presenta una forma rettangolare dove di prospetto al palcoscenico vi sono 14 palchetti distribuiti in tre ordini, 4 dei quali servono d'ingresso ad altrettante ringhiere che nei due ordini superiori girano sui laterali della sala allo stesso livello dei palchi. L'interno dei palchi stessi, li parapetti, le ringhiere e il soffitto del teatro, sono dipinti con buon gusto ed eleganza, fregiati da cornici dorate che rendono l'insieme veramente magnifico. Il Palcoscenico è decorato con molte tele, opera dei più famosi pennelli, le quali agiscono con ben architettato meccanismo.(70)
Dopo aver lodato l'abilità del nuovo gruppo di dilettanti e il loro repertorio, l'estensore dell'articolo concludeva: "Ma più di tutto sia lode ed onore al sig. Brunetti che ha donato alla patria un novello ornamento. Egli si è acquistato a buon diritto la riconoscenza dei suoi concittadini, che veramente è dovuta a chi coll'ingegno e le sue facoltà apre il campo a nobili esercitazioni ed utili trattenimenti".
6. Purtroppo Antonio Brunetti aveva scelto un momento poco opportuno per tentare l'avventura del proprietario di teatro. È vero che il Legato Bernetti nel febbraio del 1831era stato costretto a lasciare la città, ma restava al presente un vuoto di potere paralizzante. Brunetti comunque, forte dei buoni giudizi riportati e della qualità delle finiture di cui aveva dotato il locale, chiese "grazia di esercitare il teatro ad uso di Comici, e Musici, col pagamento del biglietto" e che fosse effettuato un sopralluogo da parte del tecnico del Comune e di un membro della Nobile Direzione sopra gli Spettacoli, considerando ciò una premessa necessaria per ottenere la qualifica di teatro pubblico. Ma la Nobile Direzione non ne volle sapere e, dopo aver osservato che la posizione del locale era infelice, dichiarò che i teatri pubblici bolognesi erano già in numero sufficiente.
Ricominciarono così le recite dei dilettanti, di solito ben recensite dalla stampa cittadina e ciò forse infuse coraggio al Brunetti che nel luglio del '32 chiese quanto meno di poter dare nella corrente stagione una serie di "rappresentazioni di opere buffe a pagamento". Spuntò un temporaneo assenso ma solo perché contemporaneamente mancavano spettacoli musicali e del resto la concessione fu limitata a due giorni d'apertura la settimana.
Negli anni seguenti riprese l'alternanza tra marionettisti (i quali, previa domanda, ottenevano di volta in volta un permesso temporaneo di dare spettacoli a pagamento) e dilettanti (che si esibivano gratis), fino al 1846 quando fu possibile aggirare l'ostacolo. Secondo una recente disposizione i teatri abilitati a dare spettacoli di marionette a pagamento infatti erano tre: il Nosadella, il S. Gregorio e il teatro Antico Corso delle Maschere in via Mascarella. Dal momento che quest'ultimo, aperto nel 1831, aveva definitivamente chiuso i battenti, il Brunetti ottenne di prenderne il posto. Non era una vera escalation ma sempre meglio che niente, tanto più che gli spettacoli marionettistici si erano evoluti, sia mettendo in scena le così dette "marionette in persona" e le "narcisate", sia eseguendo operine in musica create apposta, come quelle scritte ed interpretate dall'estroso Paolo Diamanti, il cui Simone burlato (71) riscosse al Brunetti nel 1846 grande successo a livello popolare ma suscitò anche delle proteste, tradotte infine in una denuncia partita dal vicino teatro del Corso (ma qualche parte la dovette avere anche il teatrino di via Nosadella): "Sembra che abusivamente il proprietario del teatro di San Xaverio si permette di esercitarlo venalmente e non con le sole marionette, per lo che si consiglia la Nobile Direzione a richiamare il proprietario del suddetto alla stretta osservanza delle norme legatizie". Non risulta che vennero presi seri provvedimenti al riguardo, ma è certo che il livello degli spettacoli proposti da questo teatro scadde progressivamente col passare degli anni: stando ai giornali si potevano vedere recitare "compagnie comiche di terza classe", e danzare sgraziati balli "affidati a povere giovinette della nostra città espressamente da zelanti maestre istruite". Anche la bella sala nella quale erano stati investiti capitali ed energie deperiva di anno in anno.
Dapprincipio parve una magra eredità quando, alla morte di Antonio Brunetti, la gestione passò alla vedova Anna Tinti, che nel 1855 supplicava inutilmente "di far agire il teatro a pagamento" per sostentare la famiglia. In soccorso le venne il nipote Emilio, che aveva una autentica passione per il teatro e di spettacoli se ne intendeva. In attesa di tempi migliori dunque, cominciò ad organizzare audizioni musicali, portando alla ribalta giovani promettenti e facendosi apprezzare tra i competenti.
L'andamento della guerra tra franco-piemontesi ed austriaci risultò infine determinante per il destino del teatro Brunetti poiché nel 1859 la Giunta Provvisoria di Governo concesse finalmente il passaggio a teatro pubblico e il permesso di rappresentare ancora qualche opera (la Gemma di Vergy di Donizetti e Il Trovatore verdiano nel 1860), prima di avviare necessari lavori di restauro, che durarono un paio d'anni ma che ebbero come risultato il Teatro Nuovo Brunetti, un "teatro-arena" (grazie al lucernario mobile di copertura) unico nel suo genere, dotato di impianto di riscaldamento a termosifoni, di impianto di illuminazione a gas e di altre tecnologie avanzate, "fornito di due ampie gallerie sostenute da svelte colonnette in ferro fuso, cui sopraggira un vasto loggione con sì ben studiate proporzioni che da ogni punto gli spettatori veder possono intero il palcoscenico e quasi l'intera platea".(72)
Naturalmente il Regolamento del 1806 nel frattempo era stato abolito.
NOTE:
49 Cfr. ANGELO VARNI, Bologna napoleonica cit., pp. 264-266. Restando in tema teatrale, si ricorda il dettagliato Elenco delle rappresentazioni permesse ed escluse (e successive Appendici), sorta di vademecum per la censura del tempo, predisposto per volere di Francesco Mosca dalla Direzione Generale di Polizia nel 1810 e trasmesso a tutte le Prefetture.
50 Cfr. Articoli costitutivi la Direzione sopra i Teatri. Apprendiamo dal Guidicini (Diario cit., III, p. 10) che in data 18 ottobre 1802 "Il cittadino ex senatore Aldrovandi è nominato direttore degli Spettacoli di Bologna". Della medesima commissione risultano far parte inizialmente otto membri (Pietro Bacchelli, Massimiliano Gini, Cesare Lambertini, Vincenzo Martinelli, Giacomo Rossi, Angelo Venturoli, Calisto e Davide Zanotti), presto ridotti a cinque. Nel 1804 al dimissionario Carlo Filippo Aldrovandi si sostituì, in qualità di Presidente, Cesare Lambertini che rimase in carica per tre lustri; la carica venne poi ricoperta da Astorre Ercolani e infine da Pietro Conti Castelli. L'attività di questa commissione era intensa, seppur piacevole: i suoi membri dovevano a turno presenziare alle prove generali di tutti gli spettacoli di un certo rilievo, assistere a tutte le rappresentazioni, repliche comprese, esprimere pareri, fornire chiarimenti, ecc.
51 ASBo, Archivio Prefettura di Bologna. Atti generali, tit. XXVI, rub. 1, 26 aprile 1806: Dettaglio dei Teatri di Bologna. Nel Prospetto riguardante i teatri pubblici bolognesi si trova inserito anche quello di Imola, distrutto da un incendio nel 1797, provvisoriamente sistemato in una sala del palazzo Comunale in attesa di essere ricostruito sull'area della ex chiesa di S. Francesco. È probabile che nel medesimo contesto venissero fatte indagini anche sui teatri delle Viceprefetture limitrofe poiché tra gli incartamenti si trovano dati riguardanti i teatri di Cento.
52 In data 5 novembre 1806 la Direzione sopra gli Spettacoli faceva pervenire al Prefetto un Dettagliato resoconto del fallimento dell'impresa Marchesi da cui si apprende tra l'altro che l'impresario, resosi irreperibile, sarebbe stato giudicato dal "tribunale competente".
53 Cfr. Regolamento teatrale per la Comune di Bologna, Bologna, Stamperia Sassi, 15 novembre 1806. Contestualmente al Regolamento venne fissato l'organico delle truppe di vigilanza ai teatri (al Comunale 15 soldati, un caporale, un sergente, un ufficiale; al Corso 12 soldati, un caporale, un sergente, un ufficiale; al Marsigli 9 soldati, un caporale e un ufficiale). Da notare che il servizio di vigilanza era obbligatorio ma non gratuito e gravava sui proprietari o sui gestori dei teatri.
54 Cfr. Tabella delle ore prefisse per l'incominciamento degli Spettacoli Notturni. Gli orari variavano a seconda della stagione (Inverno, Primavera-Autunno, Estate) e del tipo di spettacolo (Opera sera con ballo grande, Opera seria con ballo di mezzo carattere, Opera seria senza ballo, Opera buffa con ballo, Opera buffa senza ballo, Commedia). Tassativamente i teatri dovevano chiudere un'ora dopo la fine degli spettacoli. Vennero emanate disposizioni sull'illuminazione delle sale e sul comportamento da tenere sia da parte del pubblico (moderazione negli applausi), sia da parte degli attori (possibilità di presentarsi una sola volta in scena a ringraziare indipendentemente dalla quantità dei consensi). Successive disposizioni transitorie si ebbero anche sull'uso della maschera durante i veglioni di carnevale, mentre nell'aprile 1809 veniva fatto divieto di introdurre cani in teatro, specificando che "Il Portinaro e la Maschera della Porta ne sono responsabili e si procederà contro i trasgressori con misure di Polizia". Arrivò infine il famigerato Elenco ovvero Ordine per l'essenzioni dal pagamento all'ingresso dei teatri, croce e delizia per tutti proprietari dei teatri, che raggruppava gli aventi diritto all'ingresso gratuito per uffici o enti di appartenenza: per la prefettura (il Prefetto, il Segretario generale, il Capoportone di Prefettura, "nelle sole sere di pubbliche funzioni"); per la municipalità (il Podestà, i Savi, il Segretario e il Primo portiere, "solo nelle sere di pubbliche funzioni"), per la polizia (il Capo di polizia, un commissario, un'ordinanza di polizia e due biglietti per "confidenti", per ciascun teatro); per la Direzione dei teatri (i Direttori, il loro Segretario, un medico e un chirurgo); per il Comando militare (il Generale comandante e i suoi aiutanti, il Comandate di piazza e l'Aiutante maggiore); per la Gendarmeria (il Capitano comandante, più due biglietti per ciascun teatro a disposizione dei graduati); per la Guardia nazionale (il Comandante, due Aiutanti, il Capo battaglione di turno, e l'Ufficiale d'ispezione).
55 Rientravano tra gli spettacoli "teatrali" quelli dati da impresari e capocomici, erano invece considerati "divertimenti" quelli offerti da altre categorie di animatori suddivisi convenzionalmente in "saltimbanchi", "ciarlatani" (tra questi ultimi erano compresi anche i marionettisti), "saltatori", per i quali era sufficiente fare richiesta di sosta temporanea (la durata dipendeva dal gradimento mostrato dal pubblico) e di dare spettacoli a pagamento.
56 Un'Ordinanza legatizia dell'aprile 1817, tendente a ripristinare "l'antica consuetudine", stabilì che ogni teatro pubblico dovesse concedere 3 palchi alle autorità: per il Legato, per la Direzione sopra gli Spettacoli, per il Comando di Polizia. Dopo una vivace trattativa si concordò che un quarto palco, per il Comandante di Piazza, venisse pagato dal Municipio. Ma non era tanto il numero dei palchi 'riservati' ad apparire gravoso quanto il numero delle persone aventi diritto all'ingresso gratis (la "Famiglia" del Legato contava 16 persone, quella dell'Arcivescovo ben 25). Si aggiunse anche un nuovo balzello con l'obbligo di versare il ricavato di una serata alla Casa di Ricovero. Per quanto riguarda il calendario degli spettacoli, oltre al tassativo rispetto del riposo settimanale del venerdì, si impose particolare cautela per l'Avvento e per la Quaresima (solo Oratori o Drammi sacri). Quando però nel 1825, anno giubilare, si prospettò la chiusura di tutti i teatri, dopo una breve trattativa, ci si limitò a raccomandare "particolare sorveglianza sulla moralità e decenza degli spettacoli".
57 Notevole rilievo ebbe, ad esempio, la stagione estiva del 1809 in cui venne dato un Trajano in Dacia (con musica del Niccolini) e la Artemisia di Cimarosa, interpretati dal tenore Nicola Tacchinardi (vedi X.47.46), dal sopranista G.B. Velluti (vedi X.47.48 e XI.48.188) e da una splendida Isabella Colbran, aggregata fin dal 1807 all'Accademia Filarmonica, che fu oggetto di innumerevoli festeggiamenti (vedi X.47.47 e XI.48.189-191).
58 Cfr. Progetto per due spettacoli in musica con ballo in Bologna, il primo a carnevale dall'anno 1818 al 1819, il secondo a primavera dell'anno 1819 suddetto (vedi IV.14.28) Analoghe iniziative si erano avute già molti anni addietro con la costituzione di "Associazioni di Caratanti", nel 1770, nel 1780 e nel 1786, quando si progettò una pianificazione dell'attività dei tre teatri pubblici cittadini (Comunale, Zagnoni, Marsigli), di durata decennale; più di recente, nel 1817, una "società di nobili e ricchi signori" aveva finanziato un eccellente allestimento del dramma serio La morte di Mitridate unitamente al ballo eroico Gutemberga (vedi IV.14.27).
59 Il biennio 1818-1819 fu contrassegnato al teatro del Corso da una serie di eventi artistici eccezionali. Si cominciò a carnevale del 1818 con l'esecuzione del Don Giovanni "dramma semiserio" di Mozart mai sentito a Bologna (vedi VI.19.44), seguito dal Matrimonio segreto di Cimarosa. A giugno Niccolò Paganini, ormai all'apice della carriera, diede due affollatissime accademie e in estate andò in scena il Ciro in Babilonia di Rossini. Nel 1819 si segnalarono a carnevale le recite della compagnia Bazzi (vedi X.47.90-92), a primavera l'opera seria I baccanali di Roma (vedi VI.19.55) con ballo eroico (Buondelmonte), seguita da due nuovi spartiti: La principessa di Navarra del bolognese Giovanni Tadolini e Blondello ossia Riccardo Cuor di Leone di Felice Radicati (vedi VI.19.56).
60 Cfr. Semiramide riconosciuta. Dramma per musica da rappresentarsi nel gran teatro della Comune di Bologna la primavera dell'anno 1820, Bologna, Stampe del Sassi, s.a. (vedi CMBM, libr. 3142; vedi inoltre IV.14.30) e Aureliano in Palmira. Dramma serio da rappresentarsi nel gran Teatro della Comune di Bologna la primavera dell'anno 1820, Bologna, Sassi, s.a. (vedi CMBM, libr. 4671). Il contratto con Carlo Redi (al quale vennero assegnati 6.300 scudi in 'dote') prevedeva due opere serie a primavera che furono appunto la Semiramide riconosciuta musicata dal Meyerbeer, unita al ballo eroico La Vestale e in subordine L'Aureliano in Palmira di Rossini col ballo allegorico Il noce di Benevento. Gli interpreti, Claudio Bonoldi e Carolina Bassi (vedi sonetto in X.47.102) furono giudicati validi, soddisfacenti le coreografie e la prima danzatrice Antonia Pallerini (vedi IV.14.33), e piacque assai il nuovo sipario (vedi IV.14.33). Le due esecuzioni ebbero vasta eco e suscitarono polemiche tra i cultori del melodramma che si trovarono divisi tra 'romantici', ammiratori del 'tedesco' Meyerbeer, e 'classicisti' sostenitori della musica di Rossini. Anche le stagioni seguenti quella del 1820 furono ricche di eventi musicali, basti pensare all'imponente allestimento del Mosè in Egitto di Rossini nella primavera del '22, in occasione del quale furono dispensati sonetti in lode sia dell'impresario Carlo Redi (vedi XI.48.111) che del macchinista Filippo Ferrari (vedi X.47.108). I rapporti tra il Municipio e il Redi si deteriorarono nel 1825 allorché quest'ultimo venne indagato per presunte speculazioni illecite sui proventi dei veglioni che egli aveva subappaltato.
61 ASBo, Archivio Legazione Apostolica. Atti generali, tit. XXVI, 1821, fasc. Proprietari de' teatri Marsigli, Badini e Contavalli. Contrastata privativa del teatro Comunale.
62 Nel contratto stipulato nel 1802 tra Badini e la Municipalità era stata contemplata la possibilità di assegnare due dei sei veglioni carnevaleschi, fino ad allora in appannaggio esclusivo del Comunale, all'erigendo teatro; la medesima facoltà era implicita nel Regolamento del 1806, senza che nell'un caso come nell'altro venissero fissate delle date. La consuetudine, fin dall'inizio, aveva visto assegnati al teatro del Corso i veglioni del giovedì grasso e del martedì ultimo di carnevale. Nel 1815, per accontentare la richiesta di Antonio Contavalli che intendeva avvantaggiare il suo nuovo teatro, il teatro del Corso fu costretto a rinunciare ad uno dei suoi due veglioni e altrettanto accadde l'anno seguente, questa volta a vantaggio del Comunale in difficoltà. Tutto poi parve tornare alla normalità (al Comunale i veglioni si tennero anche durate i restauri), fino a che, nella Quaresima del 1820, non entrò in vigore il contratto con l'impresario Carlo Redi che per prima cosa fece sapere di essere interessato proprio ai due veglioni, del giovedì grasso e dell'ultimo di carnevale. Ebbe così inizio un braccio di ferro che avrebbe dovuto finire nel 1824 quando la sentenza del tribunale diede ragione al teatro del Corso, che infatti si affrettò a stampare manifesti in proposito. Ma gli annunciati veglioni dovettero essere annullati perché il Municipio fece immediato ricorso alla sentenza. Il Giubileo del '25 privò ambo i teatri degli ambiti veglioni e solo con il 1826 le cose ripresero per il loro verso (vedi Avvisi in IX.43.7.1-6).
63 ASBo, Archivio Legazione Apostolica. Atti generali, tit. XXVI, a. 1821, vedi fascicolo intitolato Teatri del Corso, Marsigli e Contavalli: ripari in essi occorrenti. Nel Processo verbale della visita fatta al teatro Marsigli, redatto congiuntamente dall'ingegnere comunale Tubertini e dal macchinista Ferrari, dopo la constatazione del malagevole accesso, delle scale scricchiolanti, del pavimento della sala rabberciato, del palcoscenico angusto, della graticciata poco robusta, della carenza di locali per gli attrezzi, ecc., si può leggere come sintesi questa constatazione: "Tutto è pericolo, tutto ispira giusto timore". Angelo Marsigli, che ne era consapevole, non chiese la controperizia (come invece fece il Badini) ma, per sua fortuna, non fece in tempo a vedere la fine del suo teatro; l'erede, Raffaele Marsigli, si rifiutò di sborsare la somma necessaria per il restauro e lasciò che tutto andasse in malora. Ulteriore documentazione in proposito si conserva in ASBo, Archivio Marsigli. Strumenti e scritture, b. 315, anni 1820-22.
64 Anche in questo caso fu la morte improvvisa del dott. Contavalli, 15 aprile 1823, a provocare il tracollo del teatro. Lasciava erede la figlia minorenne, sotto tutela della madre, e il Redi ebbe facile gioco nel convincere le due donne ad affidargli l'impresa onde monopolizzare l'attività di due teatri vicini, ma l'espediente durò poco perché allo scadere del contratto col Comunale egli dovette accantonare le proprie ambizioni e il teatro Contavalli finì per essere rilevato da un gruppo di dilettanti che ormai vi erano di casa, gli accademici Concordi (cfr. ORESTE TREBBI, Il teatro Contavalli di Bologna. Cronaca riassuntiva. Seconda edizione corretta ed ampliata, "Strenna delle colonie scolastiche bolognesi", Bologna, Zanichelli, 1939, pp. 81-185).
65 Cfr. IX.46.20: Al Nome di Dio. Governo Pontificio nella causa vertente al secondo turno del Tribunale Civile residente in Bologna (a stampa in data 23 febbraio 1824).
66 Cfr. fascicolo intitolato Teatro Badini detto del Corso. Progetto d'acquisto per parte del Comune in ASBo, Archivio Legazione Apostolica. Atti generali, tit. XXVI, a. 1828.
67 Cfr. V.15.4 (Notificazione) e V.15.3 (Istruzioni pei Signori Cavalieri Ispettori ai Pubblici Spettacoli di Bologna, Bologna, Tipografia Sassi, 1830). Nell'agosto del 1831 venne stilata la Tabella indicante i diversi pecuniari contributi che derivare debbono alla Pia Azienda di Ricovero dall'esercizio dei pubblici spettacoli che fissava quanto ciascun teatro dovesse versare in base al tipo di spettacolo dato. Già in data 28 settembre 1829, il Legato cardinal Tommaso Bernetti "all'effetto che niuno possa allegare ignoranza delle disposizioni governative dirette al buon ordine e alla convivenza da osservarsi dalle persone che interverranno ai pubblici spettacoli", aveva ribadito i compiti della Direzione sopra gli Spettacoli, ridotto ai soli addetti ai lavori il libero accesso al palcoscenico, disposto che gli spettatori di platea dovessero restare seduti al loro posto dall'inizio alla fine, vietato le repliche di arie, i fischi, gli urli, il battere bastoni sul pavimento e il portare con sé pipe accese (vedi V.15.2). Le medesime disposizioni vennero confermate dal Pro Legato nella Notifica del 3 ottobre 1833.
68 Seguendo una pratica diffusa nelle istituzioni educative, anche nel Collegio dei Nobili di Bologna dalla fine del XVII secolo si tennero esecuzioni musicali e rappresentazioni (recite dei convittori per carnevale e accademie di fine anno) per le quali si utilizzava un'ampia sala che venne sistemata a teatro dal Torregiani nel 1714, fornita di palchi per gli ospiti di riguardo, balconata con ringhiera per i convittori e arcoscenico inquadrante il palco.
69 Tra le formazioni di dilettanti che usufruirono del teatro Brunetti ricordiamo i Filoleti diretti da Antonio Belloni, celebre attore che di recente aveva abbandonato le scene (vedi III.13.1), i Filodrammi diretti da Pietro Paradisi, una non meglio precisata Unione dei Dilettanti (vedi III.13.2) ed infine i Solerti.
70 Cfr. "Teatri, Arti e Letteratura", n. 358 del 27 febbraio 1831, pp. 170-171.
71 Cfr. Simone burlato o sia la sposa di legno. Operetta in due atti per musica da rappresentarsi nel teatro Brunetti la primavera del 1846, composta da Paolo Diamanti, Bologna, Tipografia Sassi, s.a. (vedi CMBM, libr. 1353).
72 Cfr. "L'Arpa", XII, n. 27 del 18 febbraio 1865, p. 106. Per l'intera vicenda si rimanda al saggio della scrivente: Il teatro Brunetti di Bologna. Dai nobili convittori alla divina Eleonora Duse, "Il Carrobbio", XVI, 1990, pp. 88-95.
1. Quando nell'estate del 1803 l'aeronauta Francesco Zambeccari annunciò d'essere pronto a tentare la sua prima ascensione, venne costruita alla Montagnola una 'arena' sufficientemente ampia per contenere sia il globo da predisporre al volo sia il numeroso pubblico (pagante) desideroso di assistere ai preparativi. La partenza, fissata per il 4 settembre, fu invece differita, la mongolfiera venne spostata "nella vuota chiesa delle Acque, fuori Porta S. Mamolo", e dai "Prati dell'Annunziata", dopo una lunga attesa ("in causa di vari accidenti sopravvenuti e che non potevano prevedersi"), si levò in cielo la sera del 5 ottobre .(73)
Per rifarsi dei mancati introiti e per sfruttare la struttura già costruita, tra ottobre e novembre in Montagnola si organizzarono con alterno successo corse di cavalli con fantini, un "palio nei sacchi" e una "caccia di tori" conclusasi con un gran parapiglia, la fuoruscita del bestiame, il danneggiamento del recinto e degli spalti e la fuga (per sottrarsi all'arresto) dell'impresario Baroni, ritenuto responsabile dell'accaduto. Subito si fecero avanti i cittadini Camillo Nicoli, Carlo Salina, Giuseppe Dotti e Nicola Brighenti che, riuniti in società, si offrirono di rilevare la malconcia arena assicurandone il ripristino e promettendo "di nulla trascurare per rendere brillanti gli spettacoli stessi non meno che di pubblica soddisfazione".(74) Ottennero l'assenso del Prefetto e della Municipalità, diedero mano ai lavori di restauro e nella primavera del 1804 cominciarono ad organizzare i consueti spettacoli.
Il più intraprendente dei quattro soci, il cittadino Brighenti, venuto poi a conoscenza della pubblicazione di un decreto della Consulta di Stato che indiceva solenni festeggiamenti per il genetliaco di Napoleone, immaginò di trasformare il rustico steccato in una "Arena Anfiteatrale" entro cui realizzare una rievocazione storico-allegorica e sottopose al vaglio delle autorità il suo progetto. In sintesi, egli intendeva allestire per il venturo 15 agosto una grandiosa azione pantomimica ispirata all'episodio degli Orazi e dei Curiazi, quello medesimo portato in auge nei maggiori teatri dalla tragedia in musica di Cimarosa e dal ballo eroico di Gaetano Gioia.
Il progetto del Brighenti non venne realizzato, ma ci è giunto completo in tutte le sue parti: con l'elenco dei personaggi e delle comparse necessari (quasi duecento persone in costume), l'Argomento, il Programma dettagliato della pantomima, contenente tra l'altro indicazioni per l'esecuzione di sinfonie e inni, e la descrizione della scenografia,(75) corredata da due disegni, l'uno delicatamente acquerellato raffigurante l'antiquario prospetto che doveva servire da sfondo all'azione e l'altro a china sintetizzante la pianta dell'arena con la distribuzione dei figuranti e degli elementi decorativi previsti.
L'anno seguente Napoleone venne di persona a Bologna, visitò la Montagnola, non prese in considerazione l'arena e raccomandò invece che tutta l'area venisse al più presto trasformata in un passeggio alla moda. Il cittadino Brighenti tuttavia non accantonò l'idea di costruire, presto o tardi, una Arena Anfiteatrale. Fin dal 1801 era diventato proprietario di una parte dell'ex complesso monastico delle Canonichesse Lateranensi dette di S. Lorenzo, posta sull'incrocio tra le vie Castiglione e Castellata. Dopo aver destinato la chiesa conventuale ad uso commerciale (come deposito di legnami, fabbrica di cere e quindi vetreria), pensò di installare nella vasta parte ortiva retrostante qualcosa di analogo a quell'anfiteatro che, con poca fortuna, aveva tentato di mettere in piedi alla Montagnola.(76) Non dovette incontrare ostacoli nella realizzazione poiché in data 12 giugno 1809 ottenne il permesso di aprire al pubblico una arena interamente costruita in legname che pomposamente chiamò Anfiteatro S. Lorenzo. Previa pubblicazione di un "Avviso Particolare", esso venne inaugurato il giorno 11 luglio e gli spettacoli proseguirono fino ad ottobre inoltrato. Sappiamo che nei primi tempi vi recitò la società comica diretta da Luigi Ronzoni e Francesco Menichelli e che in seguito subentrò la compagnia Rossi che seralmente si esibiva al teatro del Corso.(77) Nel frattempo però, dalla parte opposta della città, erano stati avviati i lavori per la costruzione di un'altra arena.
Anche la congregazione delle Domenicane di S. Maria Maddalena era stata soppressa nel giugno 1798 e l'area su cui era situato il monastero e che occupava un intero isolato compreso tra le vie del Borgo di S. Giuseppe, di Galliera, dei Falegnami, della Maddalena, venne suddivisa in più lotti per essere alienata. Uno di essi, consistente in gran parte del chiostro e un'ampia porzione di prato, nel 1802 toccò a tal Pietro Bonini, di professione "coramaro". Non è detto che costui fin dall'inizio intendesse trasformare il suo acquisto in luogo teatrale, certo la vicinanza con i giardini pubblici, assai frequentati, fu determinante nella decisione. Si ignora quando venne commissionato il progetto (che non ci è giunto), quando cominciarono i lavori o quanto durarono esattamente. Sta di fatto che il 19 maggio 1810 Pietro Bonini indirizzava al Prefetto del Dipartimento del Reno una lettera in cui dichiarava di aver eretto a proprie spese una "arena atta per l'esercizio delle Comiche rappresentazioni", puntualizzando che si trattava "di una Fabbrica in oggi del tutto nuova, ideata alla foggia delle Arene degli Antichi, adorna di Gradinate e Ringhiere, costruita tutta di buoni materiali in calce e mattoni", in procinto di essere decorata "di Pitture eseguite dai più valenti Pittori ed Artisti", per la quale chiedeva l'apertura al pubblico.(78)
Fiducioso di ottenere subito la licenza, il Bonini aveva già pronto un nome bene augurante (Arena del Sole) da dare al suo locale, ma il permesso si fece attendere più del previsto per le perplessità espresse dalla Direzione degli Spettacoli e in seguito a causa delle proteste del proprietario dell'Arena S. Lorenzo che temeva che due strutture tra loro analoghe si sarebbero fatte concorrenza. Dopo aver stabilito che esse avrebbero agito a giorni alterni, il Prefetto concesse il 3 luglio la sospirata licenza, giusto in tempo perché il Bonini, mediante una Circolare a stampa, avvertisse la cittadinanza dell'imminente inaugurazione.(79)
L'attività dell'Arena del Sole dunque prese avvio il 5 luglio 1810 con un lungo corso di recite della compagnia diretta da Bortolo Zuccato, ma entro un mese venne tolto il vincolo delle aperture alternate forse perché tra le due arene, parimenti poco frequentate, non si era registrata la temuta concorrenza, anzi, per richiamare l'interesse del pubblico il Bonini pensò di ricorrere ad una "riffa" (lotteria) abbinata al numero del biglietto e il Brighenti di dare nel suo locale dei veglioni a pagamento, ma si videro entrambi negare il permesso.(80)
Dopo un'annata al di sotto delle aspettative, per l'estate del 1811 i due proprietari si fecero più accorti: all'Arena del Sole furono ingaggiate due delle compagnie più popolari del momento, la Venier e la Bazzi, seguite dalla Previtali, mentre all'Arena S. Lorenzo si misero in scena un paio drammi giocosi, I due prigionieri con musiche di Pucitta e Il finto sordo del Farinelli, ottenendo, malgrado l'abborracciata compagnia di canto, un insperato successo tale da spingere l'estensore de "Il Redattore del Reno" ad una serie di considerazioni:
Prende piede la nuova usanza dei diurni spettacoli. Il teatro parea divertimento destinato al sollevamento delle cure giornaliere. Ora per oggetto di speculazione deve piacere anche di giorno benché privo di tutte le illusioni che pur debbono considerarsi in questo genere di spettacolo. Non è sembrato sufficiente il teatro Comunale. Si è qui dato principio anche al teatro dell'opera in musica. Per un primo tentativo la cosa poteva esser peggio, si dice. Di fatti la prima donna sig.ra Adelaide Moyran sostituita all'indisposta, e chi sa fino a quando, sig.ra Moriconi, piace e specialmente nel duetto del 2° atto. Il primo uomo sig. Rizzardi sostiene la sua parte con decoro e il sig. Ceccarini primo buffo si difende. Tutt'insieme non si può divertire meglio a buon mercato per due ore circa. Ma l'illusione delle scene? Oh questa conviene dimenticare.(81)
2. Le arene infine avevano raggiunto il loro obiettivo: risparmiando sulle spese di illuminazione, di allestimento e di ingaggio degli artisti, erano in grado di offrire a prezzi quanto mai contenuti un onesto divertimento a coloro (ed erano tanti) che fino ad allora non avevano potuto accostarsi ai teatri, e di ricavarne un discreto profitto.
Poi, mentre tutto procedeva al meglio, l'Arena S. Lorenzo, facile esca per il fuoco, venne distrutta (7 luglio 1813) dall'incendio scoppiato nella vicina vetreria impiantata all'interno dell'ex chiesa conventuale, lasciando libero il campo all'Arena del Sole che in pochi anni riuscì a conciliare il gradimento del pubblico, gli interessi delle primarie compagnie e il proprio tornaconto, come scriveva Gaetano Fiori (82) sul suo periodico ("Insomma, bisogna convenire che l'Arena del Sole di Bologna è uno Stabilimento dei più graditi al pubblico bolognese e dei più profittevoli ai Capi Comici"), complimentandosi con il Bonini ("Sia ciò di lode al Proprietario che seppe ideare un non solo gradito Stabilimento ma anche di forte risorsa ai Comici, che il più delle volte languiscono nei notturni teatri privi di concorso"). Ma il monopolio delle recite estive diurne non durò a lungo perché l'arena di via Castiglione risorse dalle ceneri nel 1826, opportunamente ribattezzata "Arena della Fenice". Non era ancora completata quando venne inaugurata in tutta fretta il 14 agosto, (83) giusto in tempo per ospitare un corso di recite della compagnia Ciabetti che dopo una magra stagione primaverile sperava di appianare i debiti. Giuseppe Feoli, Giovanni Landi, Antonio Pacchierelli, Luigi Zanetti furono gli acclamati interpreti di drammoni popolari i cui titoli costituiscono da soli tutto un programma. (84) Dopo un buon mese di attività, l'Arena della Fenice chiuse per portare a termine i lavori incompiuti. Durante l'inverno venne costituita una società (85) col compito di concludere il consolidamento delle strutture, curare l'abbellimento del contesto che l'ospitava, gestirla
Trascurata affatto l'antica rozza e angustissima costruzione, venne dall'opposta parte in vaga e più ampia forma innalzata. La sua posizione è dilettevolissima, per trovarsi nella parte più salubre della città, per aversi ad essa l'ingresso mediante i viali di un orto che mettono al recinto della medesima, e per essere lo stesso recinto circondato da verdura e da alberi da frutta. L'Arena in questo anno si è poi dai proprietari non solo abbellita e corredata da scenari nuovi, camerini e di quanto altro può occorrere al servigio di un teatro diurno, ma ben anche ampliata con grandiose ali a gradinata erette al di là della Ringhiera, così che trovasi in oggi capace il locale stesso di contenere nel suo interno circa due mila spettatori.(86)
La riapertura venne fissata al 16 aprile 1827 (non a caso in concomitanza con quella dell'Arena del Sole) con le esibizioni di due compagnie di ginnasti, di Marco Averino e di Giovanni Bono, unite assieme. Grazie ad un vantaggioso accordo pattuito con l'impresario del teatro del Corso, seguirono poi le recite di alcune compagnie di buon livello: la Romagnoli Bon, la Marchionni e la Mascherpa.(87)
Parimenti piacevole e variata fu la programmazione stagionale del 1828, avviata anticipatamente dai cavallerizzi di Alessandro Guerra e proseguita con le recite della compagnia Romagnoli-Bon e di quella diretta da Tommaso Zocchi. Le piogge frequenti non consentirono di fare altrettanto nell'estate del 1829 in cui si segnalano comunque recite della compagnia Vedova e spettacoli circensi di Madame Tournaire "direttrice del Circo Imperiale dell'Accademia di Equitazione di Pietroburgo".(88) Se poi il perdurante maltempo di una pessima annata danneggiò sensibilmente l'arena, la scarsa propensione del nuovo Legato card. Bernetti nei confronti degli spettacoli, specie per quelli "popolari", le inferse il colpo più duro intimandone la chiusura (all'Arena del Sole venne concessa un'apertura limitata a pochi giorni la settimana). Il provvedimento all'ultimo momento venne sospeso ma all'Arena della Fenice fu consentito di dare esclusivamente spettacoli equestri. Malgrado ciò dopo la metà d'agosto del 1830 non si hanno più notizie su quest'arena che scompare per sempre dal novero dei teatri bolognesi.
3. Coerente con quanto aveva promesso il suo artefice e proprietario Pietro Bonini ("Ideata alla foggia delle Arene degli Antichi"), l'Arena del Sole si presentava come una libera interpretazione degli anfiteatri greco-romani. Priva di copertura centrale, aveva cavea ellittica e sei file di gradoni, una 'orchestra' che fungeva da platea ed un loggiato superiore con classicheggianti decorazioni. Era però dotata di un ampio palcoscenico attrezzato, con boccascena fisso, sipario e quinte laterali, ottimo per le recite che rimasero sempre il punto di forza della sua programmazione. L'arena bolognese dunque, prototipo e modello per i tanti teatri diurni che presero a sorgere in diverse città d'Italia, fu la più longeva di tutte e la più amata, come testimonia la ricchissima aneddotica ad essa legata.(89)
Al di là del suggestivo richiamo antiquario, i teatri diurni ottocenteschi, detti comunemente 'arene', dovevano rispondere a nuove esigenze che si erano venute delineando, prima tra tutte quella di venire incontro ad un pubblico composto da lavoratori dipendenti, che faticavano tutto l'anno ma ritenevano loro diritto concedersi di tanto in tanto il piacere di andare a teatro senza che ciò incidesse sui pesanti ritmi lavorativi o intaccasse i magri bilanci. A questa categoria di potenziali spettatori l'Arena del Sole adattò orari, prezzi e repertori.
In piena estate gli spettacoli cominciavano alle 17 e terminavano al tramonto, mentre per il pomeriggio della domenica erano previste due recite consecutive, tutte filate e senza intervalli, dalle 15 alle 19. Solo in primavera e in autunno l'apertura veniva anticipata alle 15 per ovvie ragioni di illuminazione. Un unico limite a tanto attivismo proveniva dalle condizioni meteorologiche che però influivano meno di quanto ci si potrebbe immaginare: solo una pioggia battente poco prima dell'inizio dello spettacolo poteva determinarne la sospensione. In caso contrario il pubblico non mollava e preferiva ripararsi sotto l'ombrello pur di non perdere il denaro speso nell'acquisto del biglietto.
Il costo dei biglietti (di Ingresso, a Sedere, d'Orchestra, di Ringhiera) era davvero molto contenuto (90) e anche nel corso degli anni subì solo lievi ritocchi. Non prevedeva posti numerati e chi prima arrivava meglio stava. Con poca spesa comunque intere generazioni di fedelissimi utenti ebbero la possibilità di godere un po' di tutto: dai classici ai successi del momento, dai drammi ispirati a fatti di cronaca alle produzioni bolognesi,(91) senza dimenticare le esibizioni dei circhi equestri con cui si aprivano e chiudevano le stagioni.(92) In pratica, nell'arco dei pochi mesi estivi veniva replicata su quel palcoscenico gran parte delle produzioni date durante l'inverno al teatro del Corso e al Contavalli, con riguardo particolare per le azioni spettacolose dai titoli bizzarri e per i drammi romanzeschi (tendenti al truculento, a giudicare da certi titoli), patetici, storici, ecc., che i capocomici avevano l'accortezza di presentare con toni da imbonitori, magnificando la ricchezza del vestiario, la novità delle scene e tutte le meraviglie che all'ingenuo spettatore sarebbe stato dato di vedere.(93)
Quando Antonio Tabanelli e Francesco Berti, già soci del Brighenti nella direzione dell'Arena della Fenice, assunsero la conduzione dell'Arena del Sole, gli ostacoli frapposti dal card. Bernetti nei confronti dei teatri diurni erano stati in pratica rimossi, l'insurrezione dei primi mesi del '31 era rientrata, ma sussistevano timori per l'ordine pubblico. Per ottenere disposizioni chiare, durature e non penalizzanti, essi rivolsero al Prolegato conte Alessandro Scarselli una lunga e ben congegnata lettera, datata 21 aprile 1832, nella quale sostenevano, tra l'altro, l'utilità sociale e politica delle arene:
È già gran tempo che, bandito dai teatri quanto d'immorale, di turpe, d'irreligioso vi era stato introdotto dagli antichi istrioni, vengono oggi riguardati per una scuola di buon costume, scuola tanto più preferibile in quanto le azioni in essi rappresentate, accadendo sotto i sensi degli spettatori, valgono ad istruirli assai meglio di teorie talora noiose, e non di rado sterili per certa classe di persone. Con modico aggravio le Arene procurano un onesto ed utile trattenimento a questa stessa classe di persone che, non potendo per la spesa e per l'ora frequentare i teatri notturni, si distoglie con questo mezzo dalle bettole e dal gioco, vere cause della rovina delle famiglie e funeste sorgenti di pressoché tutti i misfatti. Fu perciò che i governi protessero sempre ed incoraggiarono i pubblici spettacoli, guidati dalla massima che fino a tanto che il popolo rimane sotto i suoi occhi non disordina né delinque; e il dire che gli operai si disamorano dal lavoro per le Arene con danno delle famiglie, è un voler sostenere cosa dai fatti smentita giacché, oltre la loro brevità, i trattenimenti diurni hanno luogo in ore in cui gli operai, stanchi dalle fatiche della giornata, passerebbero forse nella crapula e nel vizio.
Certo il pubblico di riferimento dell'Arena del Sole rimase sempre 'popolare' ma in senso lato. Ai "facchini", "bule" (belle popolane dai facili costumi, come chiosa Alessandro Cervellati), sigaraie e lavandaie, che costituivano la parte più folcloristica dell'uditorio, si andarono aggiungendo ampie fasce della borghesia, studenti ed intellettuali, attratti dall'atmosfera informale, essenziale, coinvolgente (e in questo senso 'popolare') che caratterizzava le recite diurne, e incuriositi dalla singolarità di quel pubblico socialmente così eterogeneo, ma attento, partecipe.
Come si sa, nell'estate del '48 "toccò anche a Bologna il battesimo delle Armi", per dirla con il cronista Enrico Bottrigari: il giorno 8 agosto i combattimenti si concentrarono nell'area della Montagnola, a poca distanza dall'Arena che imperterrita fino all'ultimo aveva dato spettacoli, e i ceti popolari si batterono coraggiosamente. Il 28 agosto, esattamente a venti giorni dall'episodio d'armi, la Compagnia Etrusca diretta da Gaetano Rosa annunciava la messa in scena di un dramma "popolare" steso di getto sull'onda dell'entusiasmo da Agamennone Zappoli: La memoranda vittoria dell'8 Agosto alla Montagnola ovvero il trionfo del popolo bolognese in cui i consueti spettatori dell'Arena poterono vedere riprodotti sulla scena gli eventi ai quali avevano assistito o partecipato. Prevedendo anzi l'effetto che la rappresentazione avrebbe avuto sul pubblico, il manifesto stampato per l'occasione raccomandava calma e moderazione.(94)
Negli anni seguenti gli spettacoli continuarono con lo stesso ritmo incalzante (95) fino alla chiusura forzata degli anni 1887-1888, imposta dalla costruzione dell'asse stradale (via dell'Indipendenza) che doveva collegare il centro cittadino con la stazione ferroviaria. Per allinearsi alla nuova arteria, l'Arena del Sole dovette rinunciare al prato che le stava davanti e rifare il muro di cinta (in seguito sostituito con un enfatico porticato). Si colse l'occasione per compiere sostanziali mutamenti anche all'interno, allungando la platea, serrando l'intera struttura entro muri perimetrali e predisponendo una definitiva copertura.
Con una punta di nostalgia Alfredo Testoni, sintetizzando ciò che fu l'Arena del Sole non solo in ambito locale ma anche nel panorama teatrale italiano, scriveva:
L'Arena del Sole è il teatro di Bologna in cui si è svolta completa la produzione drammatica italiana ed estera non solo, ma è il teatro che ha visto passare sul suo palcoscenico semplice, rozzo, disadorno, i migliori attori di prosa, dagli antichi ai più moderni, conservando sempre la sua fisionomia popolare fino a che non si pensò di imbottire gli scranni di legno con del panno rosso, di dare a nolo non soffici cuscini per le gradinate e di riparare dalla pioggia la platea, prima con un largo e rozzo tendone e poi con un'elegante copertura di ferro.(96)
Tuttavia proprio grazie agli ammodernamenti, l'Arena varcò il secolo e proseguì a dare spettacoli (alternando alla prosa il varietà, l'operetta e pure le proiezioni cinematografiche) per un altro buon quarantennio.(97)
4. Il rigoglioso parco pubblico della Montagnola, cui Jacopo Taruffi aveva dedicato nel 1780 un poemetto,(98) non piacque a Napoleone in visita a Bologna nel 1805: mancava di simmetria, eleganza, funzionalità. Seguendo le sue direttive invece, nel volgare di pochi anni, venne trasformato in un ameno passeggio alla moda. Con l'avvento della 'restaurazione' la nuova amministrazione comunale, in cerca di consenso popolare, pur ammettendo di non essere in grado di sostenere la spesa, si mostrò disponibile a completare l'opera di ammodernamento del sito mediante la costruzione di una struttura idonea ad ospitare il gioco del pallone col bracciale, una pratica sportiva molto seguita le cui appassionanti partite si erano finora disputate in recinti precari creando notevoli disagi.(99)
"Per rendere soddisfatte le brame pressoché universali di ogni ceto di persone", nel gennaio del 1820 il Municipio decise di ricorrere ad una pubblica sottoscrizione. In cambio offriva a titolo gratuito l'area contigua al pubblico passeggio, un tempo occupata dalla chiesa di S. Giovanni Decollato, e incaricava l'ingegnere capo Giuseppe Tubertini di fare rilievi e progetto.
Il progetto redatto dal Tubertini a maggio era pronto, venne esposto pubblicamente e piacque a tutti perché era funzionale, grandioso ed insieme elegante grazie al lato lungo, rivolto verso il giardino, modulato da semicolonne d'ordine dorico. Ma ci si rese conto che per realizzarlo sarebbe stato necessario acquisire dei terreni contigui, attualmente in possesso a privati. Si calcolò anzi che il costo finale dell'opera, comprensivo della costruzione del manufatto e dei nuovi acquisti, sarebbe ammontato a 13 mila scudi romani.(100) I lavori comunque vennero avviati ad agosto ma fu necessario rilanciare la campagna delle "sovvenzioni volontarie" e, per rendere più allettante la raccolta dei fondi, si ricorse alla formula della lotteria: a costruzione ultimata, tutti i contribuenti avrebbero concorso all'estrazione di un premio consistente nella rispettabile cifra di 1.000 scudi.
Il 23 maggio 1822 alle ore 6 pomeridiane, "nella Piazza adiacente ai Giardini Pubblici e alla presenza di numeroso pubblico accorso", avvenne l'attesa estrazione e fu un'operazione complessa perché i singoli nominativi erano stati numerati e poi distribuiti in cento liste. Si estrasse dunque una prima volta il n. 54, una seconda volta il n. 7, ragion per cui vincitore risultò il n. 7 della cinquantaquattresima lista. Si scoperse allora, tra la sorpresa generale, che quel numero apparteneva al Comune di Bologna che aveva versato la propria quota alla sovvenzione volontaria, tanto per dare il buon esempio e con essa aveva ottenuto il diritto a partecipare all'estrazione.(101)
Intanto tutto era pronto per la disputa delle prime partite fissata per domenica 25 maggio: il vasto locale cinto per tre lati da gradinate, il nuovo regolamento, i più noti campioni del momento, Frattini, Chiusarelli, Martini, acclamati dai rispettivi sostenitori. Ma un improvviso acquazzone impedì il completamento degli incontri programmati che vennero rimandati alla domenica successiva.(102)
L'Arena del Giuoco del Pallone o Sferisterio, autentico vanto cittadino, si rivelò ben presto un onere non da poco per il Municipio che ne era proprietario e che vedeva sfumare i profitti raccolti nei pochi mesi di competizioni, in continui lavori di manutenzione. Si pensò pertanto di aumentare gli introiti allungando il periodo d'apertura (da aprile ad ottobre inoltrato) e in seguito anche l'orario, di utilizzare il locale per tenervi esposizioni d'animali esotici, esibizioni di cavallerizzi (ricorrente la presenza del circo equestre Guillaume), di noti prestigiatori come il bolognese Luigi Sasselli e di giocolieri come l'olandese Ludovico Viool; si decise infine di concederla in gestione ad impresari (103) uno dei quali fu proprio Carlo Redi, già abile e discusso impresario del teatro Comunale negli anni '20. Per merito suo nella primavera del 1833 venne ingaggiata la compagnia equestre dei fratelli Chiarini, in estate si disputarono divertenti "corse di fantini su ciuchi", la "corsa del trinchetto", una "disfida del gioco del maglio bolognese" ed una "giostra della secchia piena d'acqua". Si ammirò anche qui l'abilità del noto ventriloquo Giovanni Faugier e si videro levare a più riprese i bizzarri globi aerostatici di proprietà di Mariano Senepa.(104)
Dopo aver alternato per cinque anni partite (nelle varianti del 'cordino a terra' e 'cordino in aria') e "spettacoli straordinari", nel luglio del 1838 l'Arena del Gioco del Pallone sperimentò l'allestimento dell'opera in musica con ballo, in versione parodistica naturalmente.
La distruzione dei masnadieri, operetta in due atti scritta parzialmente in vernacolo, musicata ed interpretata da Paolo Diamanti (che vi sostenne il ruolo della vecchia fattucchiera Susanna, deus ex machina della vicenda), noto al pubblico dei teatri popolari con il nome di Narciso dei Marionetti, ebbe strepitoso incontro. Un buon mese durarono le repliche e le serate di beneficio per i principali interpreti, cui fecero seguito la rappresentazione del ballo Le astuzie d'amore del coreografo Giacomo Montallegri ed un secondo spartito intitolato La turca fedele.(105)
Pur avendo registrato un successo memorabile, l'esperimento non venne ripetuto negli anni immediatamente successivi e Paolo Diamanti tornò a divertire gli affezionati frequentatori dei teatri della Nosadella e di via Cartoleria Vecchia. Intercalate ai cicli di partite continuarono invece le esibizioni dei circhi equestri finché, nell'estate del '48, in un clima politico fattosi effervescente e con il popolo che affollava le piazze, anche l'Arena del Pallone, col nome di "Nuova Arena", ospitò qualche spettacolo a sfondo patriottico, prima di diventare essa stessa inconsapevole testimone della battaglia per la cacciata dello straniero.
5. Negli anni precedenti l'entrata in funzione delle arene, le troupes di cavallerizzi (in seguito dette "circhi equestri") di passaggio per Bologna, poterono disporre per le loro esibizioni del Maneggio pubblico situato sul lato sinistro della Selciata di S. Francesco. Il vasto locale, certo funzionale allo scopo ma spoglio e in cattivo stato di manutenzione, nell'autunno del 1806 venne pomposamente ribattezzato "anfiteatro" e "decorato e illuminato all'uso di Parigi" per accogliere il circo equestre Tournaire che per primo vi si insediò, seguito, nel settembre del 1807 da quello condotto da Luigi Guillaume.(106)
Il pubblico, attratto da martellanti campagne pubblicitarie, mostrò subito di apprezzare i vorticosi spettacoli dati da queste compagnie itineranti, d'altissimo livello per altro, in grado di proporre una vasta gamma di attrazioni, e un grande successo riscosse il rinnovato circo Tournaire durante la sua lunga permanenza nell'inverno 1809-1810.
Una volta costruite le arene, spazi ideali per le esibizioni circensi, le compagnie equestri disertarono il vetusto Maneggio comunale che solo sporadicamente venne aperto per accogliere i "serragli di belve vive" che spesso i circhi equestri conducevano al seguito;(107) poi si ritenne più conveniente smantellare la fatiscente struttura e vendere l'area al miglior offerente. Per soddisfare tuttavia le pressanti richieste, venne adibito ad uso di cavallerizza un altro locale nella vicina via Barbaziana, dove si insediò nel 1828 il circo diretto da Luigi Desorme che per alcuni mesi entusiasmò gli spettatori con una serie di fantasiose coreografie. Ulteriore sistemazione di fortuna nel "locale Malvezzi da S. Sigismondo" trovò nel novembre del '31 il "gran circo di cavalli" della compagnia Lepicq dopo la chiusura stagionale dell'Arena del Sole.(108)
La presenza dei circhi equestri nelle arene bolognesi durante la Quaresima e in autunno divenne dunque una consuetudine, con notevole vantaggio per i proprietari delle stesse arene che in tal modo poterono prolungare i tempi di apertura dei loro locali dove, anno dopo anno, sfilarono al gran completo le migliori formazioni. Oltre alle già citate compagnie Tournaire e Guillaume, le più longeve, si segnala la presenza di quelle condotte da Antonio Chiarini, Giovanni Ravel, Luigi Desorme, Mons. Kenebel, Marco Averino, Giovanni Bono, Cristoforo de Bach, Gennaro Lepicq, Alessandro Guerra, ecc.
Anche i maggiori teatri 'notturni', il Comunale e quello del Corso soprattutto, si mostrarono ben disposti ad ospitare di quando in quando questi impareggiabili fantasisti (giocolieri, funamboli ed equilibristi oltre che cavallerizzi), che garantivano sempre un gran concorso di spettatori. Del resto, in occasione delle 'serate eccezionali' fuori abbonamento, nei teatri si poteva assistere ad esibizioni d'ogni genere da parte di prestigiatori, ventriloqui, dei così detti 'poeti estemporanei', molto in voga nella prima metà dell'Ottocento, e ancora di inventori o possessori di apparecchi ottici sempre più perfezionati e di sedicenti professori di fisica e meccanica.(109) Invero, antesignano in questo campo era stato il teatro Felicini che fin dal 1781 aveva proposto un esempio di "vedute d'ombre", che nel 1809 aveva ospitato la "vera fantasmagoria", nel 1813 lo "spettacolo uranografico dei fenomeni dell'universo" di Carlo Rouy, nel 1815 il "teatro pittoresco meccanico con figure musicali" dello Sachatzeck e il "teatro meccanico" dei fratelli Valmagini.(110)
Finora si è accennato solo a 'serragli' ben forniti di begli esemplari di specie pregiate, condotti al seguito delle compagnie equestri ed esposti dietro pagamento alla pubblica curiosità, cui venivano date sistemazioni in spazi riparati o allo scoperto, sufficienti però a contenere recinti, gabbie, inservienti e spettatori: nei pressi della Montagnola, sul Prato di S. Francesco, in qualche cavallerizza pubblica o privata.(111) Ma c'erano anche 'serragli' costituiti da poche gabbie di animali ammaestrati (cani sapienti, scimmie e orsi addomesticati) o reputati rari (come il "pellicano di pelle bianca" di tal Nicola Morselli nel 1811), appartenenti a singoli proprietari che proprio dall'esposizione delle loro povere bestie traevano sostentamento. Accadde così che nella calda estate del 1818 approdò in Piazza Maggiore, spaesata vittima del progresso, una foca e la sua patetica vicenda finì sulle colonne del periodico cittadino. Riferisce infatti la "Gazzetta di Bologna" che "Il Mostro Marino chiamato Focca, ossia Tigre marina, che da alcuni giorni è ostensibile nella Piazza del Nettuno con tanta soddisfazione degli spettatori, è del genere femminino, e trovasi pregnata. Nella notte dal 13 al 14 luglio ha infatti messo in luce un feto del peso di libbre 30 circa, il quale non è sopravvissuto che poche ore. Per cura del proprietario sarà imbalsamato in modo che non perda punto della sua forma naturale".(112)
Questi conduttori ambulanti di domestici serragli, assieme ai funamboli, marionettisti, proprietari di camere ottiche, ecc., erano gli eredi della grande famiglia dei 'ciarlatani' che per secoli aveva occupato le piazze e i mercati.(113) Il nuovo regime tuttavia, poco amante degli assembramenti, prese a regolamentare la loro presenza mediante il rilascio di permessi temporanei di sosta e concesse loro di operare solo all'interno di una serie di 'sale di esposizione' disseminate per il centro tra via delle Asse, Mercato di Mezzo e Borgo Salamo, che potevano facilmente essere tenute sotto controllo.
Nel 1814 il Giudice di Pace del Primo Circondario di Bologna, che aveva sede nei pressi della piazzetta della Canepa si lamentava per "il frastuono continuo di tamburi e altri strumenti e grida" provocato dai "ciurmadori" che occupavano la vicina Sala delle Accuse. I fastidiosi schiamazzi degli imbonitori presto cessarono sostituiti da altri mezzi più moderni di richiamo (vistosi avvisi a stampa, opuscoli illustrativi, annunci sulla "Gazzetta") e il popolare locale continuò ad esibire per pochi baiocchi le sue meraviglie, dalle marionette agli "Androidi" dei Drotz padre e figlio "professori di meccanica svizzeri", dal cane ammaestrato che giocava a tresette, alla strana coppia formata da una gigantessa e da un nano.(114) Anche nella Sala della Locanda del Leon d'Oro si videro interessanti fenomeni di natura, quali il giovinetto soprannominato "l'albino vivente", "l'uomo anatomico" di magrezza impressionante, una giovane nata senza braccia, e tre indiani d'America.(115)
Vennero poi destinati a sale espositive pubbliche anche locali facenti parte di residenze di pregio, nei palazzi Fantuzzi, Casali, Pepoli e in casa Bottoni. Tra queste, la Sala di casa Bottoni si distinse per le accademie degli improvvisatori e per interessanti esperimenti di fisica e meccanica, quella di palazzo Pepoli vecchio si specializzò in esposizioni di "panorami", "cosmorami", maquettes e modellini di città.(116)
6. Un discorso a parte meritano gli spettacoli di marionette, già in auge nel corso del Settecento ed ancora più apprezzati nella prima metà dell'Ottocento. Le marionette in questione erano pupazzi di legno dal volto finemente intagliato e delicatamente dipinto, di varie dimensioni a seconda della destinazione, con articolazioni tutte snodate, guardaroba elegante e acconciature appropriate. Sorrette da una sottile barretta di ferro applicata con un gancio al centro della testa, venivano manovrate dall'alto, tramite molteplici fili collegati ad apposite crociere di legno, e fatte muovere, parlare, cantare e danzare dai marionettisti sistemati su un 'ponte' e celati alla vista degli astanti. Malgrado questi precisi connotati, le marionette sono state spesso confuse con i più 'plebei' burattini che si vedevano all'aperto nei casotti portatili.(117)
Dapprima le raffinate marionette da filo furono utilizzate in aristocratici diporti per lo più domestici, in seguito vennero accolte nei teatri pubblici grazie all'abilità e all'intraprendenza dei marionettisti. Erano costoro artisti girovaghi riuniti in piccole compagnie a conduzione famigliare, proprietarie di un consistente numero di pupazzi, costumi, fondali, quinte mobili, copioni, spartiti, ecc., con cui erano in grado di riprodurre in scala ridotta e a prezzi modici, il meglio del repertorio dato nei grandi teatri, passando non solo dai canovacci della commedia dell'Arte ai drammi avventurosi e sentimentali, ma anche alle azioni spettacolose, ai balli pantomimici, agli intermezzi in musica, e ciò col solo sussidio di una orchestrina e di qualche cantante nascosto dietro le quinte.
Nei teatrini del contado i marionettisti trovarono buona accoglienza perché all'occorrenza potevano supplire alle carenze di una programmazione altrimenti assai limitata;(118) in città costituivano invece una piacevole alternativa ai consueti divertimenti del carnevale. Per quanto riguarda Bologna, dopo il 1760 i migliori marionettisti ebbero a disposizione il teatro Legnani dove, a quanto pare, non mancò mai un significativo concorso di pubblico.(119) Rimasti poi privi del loro tradizionale spazio, invaso dai gruppi di attori dilettanti, dovettero per un decennio accontentarsi di sedi provvisorie e occasionali: la Sala delle Accuse e quella delle Pescherie, presso la Locanda del Pavone e l'Osteria delle Due Torri in Strada Maggiore, oppure usufruire di dimore private come quella di Stanislao Cuzzani in via delle Moline e di Gaspare Poggi (120) in Borgo Paglia (odierna via Belle Arti).
Non a torto dunque, vista la richiesta, Pellegrino Coralli nel 1810 chiese la facoltà di aprire il suo teatrino di San Gabriele per darlo in affitto ai marionettisti di passaggio. Sul suo esempio, subito appresso, vennero predisposti altri due locali con analoga destinazione: uno sistemato all'interno dell'ex monastero di S. Maria degli Angeli in via Nosadella, l'altro nella chiesa soppressa di San Tommaso del Mercato. In quest'ultimo caso tuttavia, quando tutto era pronto per l'apertura, il conduttore venne diffidato dall'utilizzarlo per spettacoli pubblici poiché in situ si trovavano ancora altari ed oggetti di culto.(121) Destarono infine non poche perplessità sia le richieste di collocare un teatrino provvisorio sul prato dell'Arena del Sole (nel 1813 e 1815), sia quella di dare un corso di recite di marionette al teatro Marsigli nell'estate del 1819.(122)
Migliore fortuna ebbero invece un secondo locale, posto sempre in via Nosadella e ricavato dalla chiesa conventuale intitolata a Santa Maria Egiziaca, e quello di via del Poggiale, che aveva fatto parte dell'ex convento di San Gregorio. Mentre alterna sorte toccò, come già si è detto, al teatrino di San Saverio, ebbe vita breve ma contrassegnata da grandi successi, l'elegante Teatro Antico Corso delle Maschere, di cui si sa solo che era situato in via della Mascarella e di cui si ignora la causa dell'improvvisa chiusura avvenuta dopo il 1836.(123)
Ritornando ora ai marionettisti, possiamo dire che con una certa frequenza nei primi decenni del XIX secolo ricorrono i nomi dei bolognesi Girolamo Ramenghi, Giuseppe Medici, Domenico Uccelli, Antonio Morandi e Angelo Ruvinetti.(124) Dagli anni '20 in poi si spartirono il monopolio di questo tipo di trattenimento il bresciano Pietro Maggi, il romano Ireneo Nocchi, il modenese Ludovico Monti e il bolognese Onofrio Samoggia.
Invero il Regolamento del 1806, all'atto della stesura non aveva contemplato l'esistenza di 'teatri di marionette'; col passare del tempo però si dovette correre ai ripari, autorizzando il regolare esercizio di tre locali (il teatro di via Nosadella, quello di via del Poggiale e il Teatro Antico Corso delle Maschere), che vennero detti di "terza classe", cui venne concesso di dare spettacoli in prima serata. Tra questi il teatro della Nosadella fu il più longevo ed anche il più amato dai bolognesi per i quali "Nosadella" finì per essere sinonimo di "marionette", a vedere le quali ci si recava muniti di sostanziose merende ("alla Nosadella si mangiano salsicce e braciole di ottima qualità").
Già in funzione nel 1818, durante il carnevale del 1820 il teatro della Nosadella venne preso in affitto dal marionettista Samoggia che rappresentava "tragedie con ballo eroico" con tanto successo da meritarsi una recensione in piena regola sulle pagine della "Gazzetta di Bologna".(125) Ancora nel 1823 si segnala in esso la presenza del marionettista Antonio Grandi, bravissimo a rappresentare commedie con maschere,(126) ma i maggiori successi dovevano venire in seguito: nel '32 con l'allestimento del dramma buffo intitolato La nuova Pianella perduta appositamente composto dal basso buffo Carlo Cappelletti, e durante l'intero 1843, cominciando a carnevale con la messa in scena dello scherzo comico tutto in vernacolo L'armur dla piazza d'giourn e d'la sira, composto e cantato da Paolo Diamanti, cui volle assistere anche Rossini, e finendo in autunno con il 'seguito', intitolato La lit in piazza e la pas in person o sia l'amour prutett dal giust.(127)
Se il teatro di via Nosadella si presentava, almeno nei primi tempi, come un locale decente, quello di via del Poggiale appariva come un "rozzo accostamento di tavolati". Ma era per così dire specializzato nella rappresentazione dei grandi balli e di conseguenza sempre "frequentatissimo", soprattutto durante le gestioni di Pietro Maggi e di Ireneo Nocchi. Intorno agli anni '40 lo prese in affitto Onofrio Samoggia che lo fece restaurare e lo chiamò teatro Civico; si associò poi a Leonardo Scorzoni, un ex attore dilettante, inventore di Persuttino, la prima "marionetta in persona", che interagiva con le marionette da filo improvvisando dialoghi vagamente surreali.(128) Negli anni '50 tuttavia gli spettacoli di marionette erano ormai in declino e il nuovo affittuario del teatrino, il marionettista-impresario Ludovico Monti chiese, invano, il permesso di cambiar genere di spettacolo ma non gli fu concesso. Il locale pertanto decadde, rimase sfitto per qualche tempo finché nel 1858 non venne acquistato dal parroco di San Gregorio che lo destinò a laboratorio artigianale.
NOTE:
73 Cfr. G. GUIDICINI, Diario cit., III, pp. 26, 27 e 31. Per ulteriori particolari sul primo esperimento di Francesco Zambeccari si rimanda a RAIMONDO AMBROSINI, L'aereonautica a Bologna. Appunti di cronica, Bologna, Tip. Paolo. Neri, 1912 e GIORGIO EVENGELISTI, Bologna nella storia del volo, Firenze, Olimpia Ed., 1994. A dire il vero, qualche provvisoria "arena" (consistente in un duplice steccato munito di gradinate) sulla fine del XVIII secolo si era pur vista nell'area della Montagnola, in occasione delle "Cacce di Tori", più o meno "all'uso di Spagna", giudicate allora manifestazioni appassionanti, in grado di attirare grandi folle e di procurare cospicui guadagni agli impresari.
74 Il resoconto dei disordini verificatisi il 4 ottobre 1803 alla Montagnola e del fallito arresto dell'impresario Ferdinando Bordoni (che si era aggiudicato l'appalto della Montagnola fin dal 1799), si conserva in ASBo, Archivio Prefettura di Bologna. Atti generali, tit. XXVI, 1803-1805. Nel medesimo fascicolo si trova la seguente petizione rivolta al Prefetto del Dipartimento del Reno nel dicembre del 1803: "Li citt. Camillo Nicoli, Carlo Salina, Giuseppe Dotti e Nicola Brighenti, siccome sono in trattativa per fare l'acquisto dell'Arena o sia Anfiteatro già eretto nella pubblica Montagnola di Bologna per oggetto di attuare dei pubblici spettacoli cessato l'inverno per fino a tutto settembre 1804, così per essere sicuri nella stipulazione dell'acquisto, ne chieggono il preventivo permesso, esponendosi il prospetto di quello che presenteranno al pubblico. Li spettacoli in proposta sono Passi di Fantini, Caccia di Bovi, Moro in regata, nonché altri, cui la prudente antichità esponeva in dolce allettamento ai Popoli Repubblicani, potendone fare ricordanza onorevole di tali feste". Successivamente, in data 21 febbraio, i quattro soci presentavano al delegato di polizia un "Progetto d'acquisto dell'Anfiteatro della Montagnola".
75 "La scena si finge nello spiazzo intermesso alli due Campi nemici, destinato a questo combattimento. L'Arena Anfiteatrale a questo oggetto è perfettamente livellata: circondata essa da quel doppio steccato che presentemente l'adorna, limita opportunamente lo spazio campale e dà maestà all'azione della pugna. In prospetto all'ingresso dell'Anfiteatro è eretta in qualche eminenza un'Ara ornata degli Emblemi corrispondenti alla deità di Giove. Molte tende, guarnizioni di penne e di festoni sono parte della scena e danno all'Anfiteatro il più aggradevole colpo d'occhio". Per l'intero incartamento, in data 2 agosto 1804, vedi ASBo, Archivio Prefettura di Bologna. Atti generali cit.
76 Cfr. G. GUIDICINI, Cose notabili cit., I, p. 279: "Questo monastero fu soppresso il 29 gennaio 1799. Il locale servì a ricovero di mendicanti e di miserabili di poco buon nome. Nella vendita fatta di detto convento li 18 agosto 1801, a rogito di Luigi Aldini, figurano per cessionari del marchese Angelo Marsigli, il conte Prospero Ranuzzi e Carlo Ramponi. Nel medesimo anno passò la proprietà a Luigi Becchetti e poco dopo a Nicola Vittorio Brighenti il quale eresse nell'orto un teatro diurno di legno detto l'Arena di S. Lorenzo dove, nell'estate del 1809 si rappresentarono commedie anche sacre, con molto successo. Da questo esempio derivò il teatro stabile diurno nel convento della Maddalena presso il Mercato, indi la replica di un altro di legno in questo locale nel 1827". Possiamo aggiungere che si accedeva all'arena dal civico 396 di via Castiglione e che nel locale dell'ex portineria del convento era stata sistemata una comoda caffetteria.
77 Questo Avviso particolare, di cui si è conservata la bozza di stampa (vedi I.2.2), ci informa sui prezzi dei biglietti e sull'ora d'inizio degli spettacoli (le 5 pomeridiane in luglio ed agosto, le 3 nel periodo autunnale). Poco si sa invece sulla frequenza e natura degli spettacoli stessi, non solo perché mancano ulteriori avvisi, ma anche perché la stampa periodica riporta laconicamente solo due titoli: Adelasia in Italia, vecchio drammone del padre Ringhieri (recitato dalla compagnia Menichelli) e Matilde regina di Scozia, messa in scena dalla compagnia Rossi.
78 Cfr. G. GUIDICINI, Cose notabili cit, II, p. 195 e III, p. 158; Teatri storici in Emilia e Romagna, a cura di Simonetta M. Bondoni, Bologna, ISB, 1982, scheda 39, p. 211. Per il difficile esordio dell'Arena del Sole si rimanda alla monografia di GIUSEPPE COSENTINO, L'Arena del Sole, Bologna, Garagnani, 1903. Gli incartamenti relativi al tormentato iter burocratico che precedette la sua apertura sono conservati in ASBo, Archivio Prefettura di Bologna. Atti generali, tit. XXVI, 1810. Il progetto di Carlo Aspari (cfr. Architettura, scenografia e pittura di paesaggio, catalogo critico cit., scheda 209, p. 142) non ci è pervenuto e mancano anche descrizioni di un certo spessore sull'assetto originario dell'Arena del Sole. Unico documento utile risulta essere l'incisione dal titolo L'Arena del Sole per gli spettacoli diurni di Bologna, di C. Savini su disegno di G. Ferri, edita nel 1825 (vedi BCABo, GDS, Coll. Gozzadini, cart. 48).
79 Nella Circolare datata 4 luglio 1810 il Bonini così si rivolgeva ai concittadini: "Finalmente ho la compiacenza di essere al termine, dopo infiniti pensieri e dispendio, di produrre a questo Rispettabile Pubblico un'opera che credo degna dell'aggradimento dei miei Concittadini: parlo dell'arena che si riconoscerà sotto il titolo di Arena del Sole. Giovedì prossimo 5 luglio sarà questa attivata e prodotta in faccia al pubblico, corredata di graziosi scenarj e dipinti, eseguiti dai più accreditati Artisti che ci dona la nostra Città. Il sig. Bortolo Zuccato con la sua Comica Compagnia, fornita di ottimi Attori e di nobili decorazioni, produrrà le sue Comiche Rappresentazioni. Mi resta solo a desiderare un generale aggradimento ed un copioso concorso, onde combinare in tal modo e soddisfazione ai miei pensieri, e compenso all'incontrata vistosa spesa". Espressioni di lode gli vennero tributate, subito appresso, dall'estensore de "Il Redattore del Reno" (in data 7 luglio 1810), che ammirava l'elegante struttura, capace di combinare reminiscenze classiche con "il gusto moderno" e l'eccezionale capienza, valutata in 2 mila posti, menzionando per la prima volta l'architetto, il milanese Carlo Aspari, quale autore del "disegno" e soprintendente ai lavori.
80 Al Bonini venne risposto che l'estrazione avrebbe protratto l'orario di chiusura fissato tassativamente alle sette di sera, al Brighenti si fece notare che i veglioni pubblici erano concessi solo in tempo di carnevale. A più riprese inoltre il Brighenti tentò senza successo di ottenere la privativa decennale sugli spettacoli diurni e sovvenzioni per sistemare meglio il suo locale.
81 Cfr. "Il Redattore del Reno", nn. 34 e 35, del 1811. La compagnia diretta da Antonio Previtali (vedi VII.29.1), ingaggiata dall'Arena del Sole, che contava al suo interno oltre agli attori recitanti anche un complesso di strumentisti e cantanti "buffi" specializzati in farse in musica, servì a rintuzzare la concorrenza.
82 Cfr. "Cenni storici intorno alle lettere, invenzioni, arti, commercio e spettacoli teatrali dell'anno 1824", parte II, n. 31. Questo fortunato periodico appena fondato da Gaetano Fiori, mutò presto il farraginoso titolo in quello più calzante di "Teatro, Arti e Letteratura". Il rovinoso incendio che distrusse l'Arena S. Lorenzo e spaventò un intero quartiere era scoppiato all'interno della "Nuova Fabbrica di Vetro e Cristalli ad uso di Boemia" impiantata nei locali dell'ex chiesa di S. Lorenzo. La compagnia Cavicchi-Gajani (vedi 1.2.1), impegnata in quei giorni all'Arena rimase dunque senza lavoro.
83 In realtà, come si ricava dai documenti d'archivio, Nicola Brighenti, passato in un decennio da 'cittadino' a 'cavaliere', fin dal 1824 era stato costretto a dare in pegno la sua proprietà colla clausola di poterla riscattare entro un triennio dietro il versamento di tre mila scudi romani in contanti. Nel 1826 pertanto risultava essere "affittuario" del terreno su cui stava erigendo l'arena senza il consenso del legittimo proprietario che infatti aveva sporto denuncia. Ma le autorità avevano finto di non sapere nulla di quanto accaduto, accogliendo l'istanza di aprire l'arena presentata dal Brighenti il 19 luglio e concedendo l'autorizzazione il 22 luglio senza nemmeno attendere i risultati del collaudo.
84 Il capocomico Francesco Ciabetti, reduce da un mezzo fiasco riportato al teatro del Corso, e che aveva caldeggiato l'iniziativa del Brighenti, rimase all'Arena della Fenice per un buon mese (vedi i titoli delle sue rappresentazioni negli avvisi I.8.1-10).
85 Incalzato dalla minaccia di una demolizione forzata, il Brighenti mise in piedi una società di cui facevano parte il dott. Antonio Tabanelli, Gasparo Aria e Francesco Berti (quest'ultimo coll'incarico di "agente teatrale") con cui riuscì a raccogliere la somma necessaria al riscatto che venne versata alla Cassa Camerale nell'aprile del 1827. L'intero incartamento riguardante la controversia legale qui riassunta si trova in ASBo, Archivio Legazione Pontificia. Atti generali, tit. XXVI, 1827.
86 Il passo è tratto da un articolo dedicato all'Arena della Fenice pubblicato dal periodico "Teatri, Arti e Letteratura", t. VII, n. 162, pp. 134-135. Sappiamo inoltre che la cavea dell'arena venne ampliata, decorata con una certa eleganza e fornita di un loggiato superiore.
87 Questo tipo di accordo, possibile grazie allo sfasamento degli orari d'apertura tra due teatri situati a poca distanza l'uno dall'altro, era vantaggioso agli impresari (che facevano un unico contratto), alle compagnie (che potevano integrare i guadagni) e al pubblico "popolare" che aveva modo di assistere a spettacoli di buon livello e vedere sulla scena attori di fama. Così accadde nell'estate del 1827 e 1828, allorché si susseguirono le compagnie Romagnoli-Bon (vedi III.8.11- 16 e III.8.21), Marchionni (vedi III.8.17) e Mascherpa.
88 Per tutto il tempo della sua permanenza, madame Tournaire (vedi III.8.24-26), oltre a dare spettacoli all'Arena della Fenice, espose il proprio "Serraglio di Belve vive" nella Selciata di S. Francesco.
89 Gli architetti neoclassici progettarono spesso anfiteatri e arene ma ben pochi vennero realizzati. Le arene che in seguito presero a sorgere in Toscana (Firenze, Livorno, Pisa) si ispirarono tutte al modello dell'Arena del Sole bolognese. Altrettanto intendeva fare nel contado bolognese tale Giacomo Lugatti che nel 1822 annunciava di essere in procinto di costruire nel comune di Castel S. Pietro una arena diurna per la quale, l'anno seguente, chiedeva non solo la licenza di apertura ma anche un sussidio pubblico per le ingenti spese sostenute. Purtroppo i documenti d'archivio da noi consultati in proposito non chiariscono come andò a finire la vicenda. Per quanto riguarda gli aneddoti relativi all'Arena del Sole, a quanti riferiti da G. COSENTINO, L'Arena del Sole cit., altri se ne aggiungono negli scritti di Giuseppe Costetti, Alfredo Testoni, Oreste Trebbi, Alessandro Cervellati, ecc.
90 Nei primi anni di vita dell'Arena del Sole il prezzo dei biglietti andava dai 17,5 centesimi per ingresso e posto a sedere sulla gradinata di pietra (fino ad esaurimento dello spazio), ai 26 centesimi per le panche di legno della cosi detta "orchestra", ai 35 centesimi per le seggiole in paglia della "ringhiera" o galleria coperta.
91 Una parziale cronologia degli spettacoli o quanto meno delle compagnie comiche che si alternarono sul palco dell'Arena del Sole si può trovare nella già citata monografia del Cosentino; nelle nostre segnalazioni ci limiteremo pertanto al materiale che fa parte della presente raccolta. Attirano l'attenzione alcuni titoli legati a avvenimenti di attualità come La caduta di Messolungi il giorno 26 aprile 1826 (II.6.23) e Il coscritto bolognese in patria (II.6.50); altri di argomento bolognese, come L'origine della torre degli Asinelli (II.6.35), Gli avvenimenti delle famiglie bolognesi Galluzzi e Carbonesi riconciliate da Antonio Lambertazzi (primo dramma storico-patrio di una lunga serie) e il ritorno sulle scene de Il famoso ladro del Monte di Bologna.
93 Uno dei primi esempi di "azioni spettacolose" è costituito proprio da Corradina d'Este al torneo o l'eroe del Rubicone data dalla compagnia Zuccato nel luglio del 1810, ma l'elenco dei titoli bizzarri prosegue fino agli anni '30, mescolando soggetti di fantasia come La sconfitta dei Cananei al monte Tabor (II.6.41) e Il trionfo di Genoveffa duchessa di Traven e del Bramante ossia la sconfitta del feroce conte Golo (II.6.42), con altri pseudostorici, quali Giovanna d'Arco liberatrice di Carlo VII re di Francia ossia la Pulcella d'Orleans, tratta dal ballo omonimo (vedi II.6.29) e Gustavo Terzo nipote di Carlo XII re di Svezia alla battaglia sul Kimer ossia L'eroina armata in campo di difesa del suo sovrano (II.6.104). Altrettanto numerosi sono i drammi patetici come L'ombra del vivo ossia l'orfanella della Svizzera (II.6.57), La rigattiera di Milano ossia il matrimonio in istrada combinato dalla generosità di un fratello (II.6.84), Carlotta Wanford ossia la giustizia del duca Wincester (II.6.56) o Le disgraziate avventure di Maria Verneuille ossia la povera fanciulla (II.6.99). Negli anni '40 la predilezione popolare si rivolse ai drammi storici d'argomento patrio e si fece più stretto il nesso tra rappresentazione teatrale e situazione politica del momento (cfr. il saggio della scrivente Dalle premesse giacobine alla rivoluzione del 1848, in Risorgimento e teatro a Bologna (1800-1849), a cura di Mirtide Gavelli e Fiorenza Tarozzi, Bologna, Patron, 1998).
94 La lettera firmata da "I conduttori dell'Arena del Sole", Antonio Tabanelli e Francesco Berti, si conserva in ASBo, Archivio Legazione Apostolica. Atti generali, tit. XXVI, anno 1832. Il manifesto originale annunciante la recita del "dramma popolare" di Zappoli, riprodotto in G. COSENTINO, L'Arena del Sole cit., p. 92, si trova presso il Civico Museo del Risorgimento. Per il patriota drammaturgo Agamennone Zappoli si rinvia alla scheda biografica a cura di M. CALORE, in Risorgimento e teatro cit., pp. 75-78.
95 La proprietà dell'Arena del Sole rimase nelle mani degli eredi Bonini fino al 1875 quando il locale venne acquistato da Petronio Carletti (già conduttore del teatro del Corso) che ne assunse personalmente la direzione. Alla sua morte l'Arena entrò a far parte del patrimonio dell'Opera Pia di San Giuseppe (cfr. Un centro dello spettacolo: il recupero dell'Arena del Sole, a cura del Comune di Bologna, Assessorato alla programmazione casa e assetto urbano, Bologna, Graficoop, 1980).
96 Cfr. ALFREDO TESTONI, Ricordi di teatro, Bologna, Zanichelli, 1925, pp. 40-41.
97 Si vedano in proposito La commemorazione del primo centenario dell'Arena del Sole, in "Il Piccolo Faust", n. 32, 3 aprile 1910, pp. 1-2; e ALESSANDRO CERVELLATI, I 140 anni del teatro più popolare di Bologna, in Bologna al microscopio, II, Bologna, Edizioni Aldine, 1950, pp. 87-98.
98 Cfr. JACOPO TARUFFI, La Montagnola di Bologna, Bologna, S. Tommaso d'Aquino, 1780. Nel poemetto scritto alla conclusione dei lavori voluti dal Legato Buoncompagni Ludovisi, l'autore, illustrando le attrattive e l'utilità sociale del parco pubblico bolognese, coglie il pretesto per tessere le lodi di alcuni membri dell'aristocrazia illuminata del tempo, primo tra tutti il marchese Francesco Albergati, cui il componimento è dedicato. Per le trasformazioni subite nel corso dei secoli da questo sito si rimanda a PATRIZIO PATRIZI, La Montagnola di Bologna, Bologna, Società Compositori, 1898; per la sua funzione sociale a GIANCARLO BERNABEI, La Montagnola. Storia di un popolo, Bologna, Patron, 1986.
99 Sulla radicata tradizione del gioco del pallone a Bologna si veda C. RICCI, I teatri di Bologna cit., Appendice IV, pp. 672-681. Ulteriori notizie, tratte sempre dalle cronache, in LODOVICO FRATI, Il Settecento a Bologna, Bologna, Atesa, 1979 (2° edizione anastatica), pp. 95-100. Durante tutto il Settecento e fino alla costruzione dello Sferisterio le partite, sempre a pagamento, si tennero entro recinti in legno sistemati nella piazza del Mercato.
100 Documenti relativi alla costruzione dell'Arena del Gioco del Pallone con una copia del progetto originario redatto da G. Tubertini, ingegnere capo dell'Ufficio tecnico comunale, si conservano in BCABo, Fondo Malvezzi de' Medici, cart. 147, fasc. 9. Per la Lettera circolare proponente la "sottoscrizione volontaria" in data 21 gennaio 1820, vedi 1.5.1.
101 Cfr. "Gazzetta di Bologna", nn. 38, 42, 44 del maggio 1822.
102 Nella Canzone per la solenne apertura della grandiosa Arena del Gioco del Pallone (vedi 1.3.2), leggiamo tra l'altro: "Ora a novel decoro / Degli ampi tuoi giardini / A cui già onore divini / le Muse tributar / Vasto recinto ammirasi / D'alte colonne e mura / Che i pregi di natura / Coll'arte superò. / In questa Arena nobile / il forte atleta, e prode / riscuote onori e lode / dal popol spettator". In effetti le prime partite furono salutate da una eccezionale produzione di sonetti spesso accompagnati da litografie ritraenti i campioni più popolari (vedi 1.3.4-6). In concomitanza con l'inaugurazione dell'Arena venne stampato un Regolamento, sintetizzato in 14 paragrafi, col titolo di Capitoli del gioco del pallone da osservarsi in Bologna (vedi 1.3.1). Per avere basilari informazioni sugli aspetti tecnici del gioco del pallone col bracciale, oggi completamente in disuso, si veda il catalogo della mostra intitolata Alle origini dello sport. Il gioco del pallone prima del calcio, a cura del Museo Civico del Risorgimento, Bologna, 21 ottobre-17 dicembre 1995, [s.n.t., 1995].
103 Cfr. Delibera comunale del 27 luglio 1830, con cui si stabiliva che l'Arena del Pallone poteva essere data in affitto anche per altri tipi di spettacolo che non fossero "sportivi". Il ricavato sarebbe servito per pagare la manutenzione e l'abbellimento dell'area circostante.
104 Tra il luglio e l'agosto del 1833 si segnala a più riprese l'intrattenimento offerto dal romano Mariano Pietro Senepa, sedicente "chimico", proprietario di palloni aerostatici di "nuova invenzione americana" rivestiti di cuoio e gonfiati a gas idrogeno, che assumevano varie fogge: a forma d'uomo, di cavallo, di pesce, di cane e di amorino (vedi 1.4.27 e 30).
105 Cfr. La distruzione dei masnadieri. Operetta in due atti composta da Paolo Diamanti per soprannome Narciso de' Marionetti, rappresentata a Bologna nell'Arena del Pallone l'estate del 1838, s.l., per le stampe del Fabri, s.a. (vedi CMBM, libr. 7306). Paolo Diamanti, in gioventù cantante, poi corista al Comunale e al Corso, infine copista di musica, era in quegli anni impegnato anche al teatro Nosadella come improvvisatore di "narcisate" (cfr. CARLO G. SARTI, Teatro dialettale bolognese, Bologna, Tip. Zamorini e Albertazzi, 1894, pp. 174-176). Alle rappresentazioni de I Masnadieri (vedi 1.4.35 e 47) si alternarono le 'beneficiate' a favore degli interpreti con relative composizioni poetiche (vedi 1.4. 40, 1.4.41, 1.4.44-45), fecero seguito il ballo del Montallegri (1.4.42), e l'esecuzione del secondo spartito in programma (1.4.37). Dopo questo primo esperimento, le opere buffe ricomparvero all'Arena del Pallone negli anni '50 del secolo, in concomitanza con l'apertura serale del locale ribattezzato 'politeama'.
106 Secondo il Guidicini (Cose notabili cit., IV, p. 339 sgg.) la Cavallerizza della "Seliciata S. Francesco" (odierna piazza Malpighi) venne costruita a ridosso delle vecchie mura nel 1612 a spese del Reggimento. L'edificio fu rinnovato nel 1734 ad opera del Dotti (vedi scheda 23, p. 131 in ANNA MARIA MATTEUCCI, Carlo Francesco Dotti e l'architettura bolognese del Settecento, Bologna, Alfa, 1968), ma già a fine secolo mostrava segni di degrado tali da essere "appuntellato e anche in parte scoperto". Venne steso un progetto di restauro ma alla fine si preferì venderlo nel 1824 alla famiglia Rusconi, proprietaria del vicino palazzo Dondini. A ricordo dei primi spettacoli dati in questo locale dalle compagnie Tournaire e Guillaume restano alcuni avvisi in VIII.31.3.1-4 e VIII.31.3.5.
107 Cfr. avviso in VIII.31. 3. 6; si veda anche "Gazzetta di Bologna", n. 3 del 1810: "È ritornato in questa città il Circo di Equitazione Tournaire con la sua truppa aumentata di molti buoni soggetti d'ambo i sessi. Il rinnovamento di questo spettacolo interessante, ripieno di novità e variato da graziose scene comiche, da tablò e manovre di equitazione e volteggio, niente lascia da bramare". La successiva presenza di "serragli" al Maneggio pubblico viene segnalata sempre dalla "Gazzetta di Bologna" nel 1815 e 1816. In questo secondo caso si trattò del serraglio di Domenico Chiesa (vedi VIII. 31.3.7-9), che proponeva 45 animali feroci o rari, dei quali forniva un dettagliato elenco in cui, tra la jena del paese degli Ottentotti. l'orso canadese, l'istrice, il mandrillo, il pellicano dell'isola di Cipro, figuravano anche "due corpi umani inseparabili".
108 Il "locale di via Barbaziana" (odierna via C. Battisti) potrebbe forse identificarsi con la chiesa sconsacrata di S. Barbaziano acquistata dal Comune del 1813. Apprendiamo ancora dalla "Gazzetta di Bologna" (n. 101 del 1826 e n. 9 del 1828) che questo locale ospitò il "Grande Reale Serraglio arrivato da Vienna", quindi i cavallerizzi guidati dai Desorme padre e figlio (vedi VIII.31.1-3) e che quest'ultimo, per tutta la durata del soggiorno, impartì lezioni di equitazione e volteggio. Per quanto riguarda il "locale Malvezzi da S. Sigismondo", che ospitò gli spettacoli del Lepicq (vedi VIII.30.1.7), potrebbe trattarsi dell'antica cavallerizza della Ca' Grande dei Malvezzi in via Belmeloro.
109 Nell'impossibilità di segnalare tutti gli spettacoli d'arte varia dati nei teatri bolognesi, ci limiteremo a segnalare alcuni tra quelli documentati nella presente raccolta. Al Comunale nel 1807 Francesco Bienvenu mostrò "esperienze fisiche" (vedi IV.14.19), l'anno seguente si videro gli "esperimenti" di Giuseppe Lionetti il "vero uomo incombustibile" (vedi IV.14.17), nel 1814 dei "balli a cavallo" e cani ammaestrati (vedi IV.14.24), nel 1827 fu la volta delle "forze ginnastiche" del Mathevet (vedi IV.14.58) e ancora nel 1831 si ammirarono le "ricreazioni meccaniche" di Carlo Pianca (vedi IV.14.121). Se al teatro del Corso sfilarono cani ammaestrati e animali africani (vedi VI.19.72), numerose scimmie e un lama del Nuovo Mondo (vedi VI.19.206), al Contavalli nel 1822 si esibì Felice Brazzetti in giochi fisici e meccanici (vedi V.18.35) e tra il 1823-24 poterono essere messi a confronto i ventriloqui Sauber e Faugier (vedi V.18.40-42). Per non essere da meno, anche il Marsigli mostrò i "fenomeni" di ottica e idraulica di Giuseppe de Rossi (vedi VII.23.45). Per gli improvvisatori, onnipresenti nel primo quarantennio dell'Ottocento in tutte le sale pubbliche o private, basti citare i più noti tra quanti si esibirono a Bologna: Jacopo e Francesco Baldinotti, Solimano Erbosetti, Guido Baldi, Leopoldo Fidanza, Gaspare Matteo Leonesi, Antonio Bindocci, Giovanni Sgricci e l'inarrivabile Rosa Taddei, che tenne banco al teatro del Corso per quattro mesi (vedi avvisi in VI.19.234-240).
110 Si vedano avvisi e manifesti illustrativi in VII.20.42 e 68; VII.20.46; VII.20.47-56 e 58, e la "Gazzetta di Bologna", n. 45 del 1809, s.v. Illusioni ottiche.
111 Sul "prato di S. Francesco", nei pressi dell'omonima chiesa, si sistemò nel 1828, ad esempio, il serraglio di madame Tournaire "direttrice del Circo Imperiale dell'Accademia di equitazione in Pietroburgo", che vantava come attrattiva un elefante addomesticato e un rinoceronte, e nel 1838 si ammirò il "Gran Serraglio di belve vive" di Benedetto Advinent, domatore di professione, che prometteva di far assistere al "nuovo grandioso spettacolo del bagno del grande orso bianco" e al pasto delle belve "con pollastri e piccioni vivi". Nelle Scuderie Barbazza con accesso da via del Cane, tra il 1826 e il 1828 diedero spettacoli continuati il gran serraglio del sig. Giovanni Rossi (vedi VIII.32.12) e quello del sig. Gautier.
112 Cfr. "Gazzetta di Bologna", n. 53 del 1819.
113 In proposito si vedano le pagine di documentazione tratta dalle cronache, su esposizioni di animali esotici, esibizioni di funamboli e "ballarini da corda" in C. RICCI, I teatri di Bologna cit., Appendice IV, pp. 681-896.
114 Venne chiamato Sala delle Accuse il locale ricavato all'interno dell'ex Arte dei Merciai, situata appunto in via delle Accuse, nei pressi del Voltone del Podestà. Questa sala fu per decenni adibita a spettacoli popolari ed esposizioni d'ogni genere (vedi avvisi in VIII.30.10.1-3). Sugli "Androidi" dei Drotz si veda in "Teatri, Arti e Letteratura", n. 238 del 1828, s.v. Meccanica.
115 La Sala della Locanda del Leon d'Oro, in via Orefici, sede di popolari feste da ballo durante il carnevale, sembra fosse specializzata nell'esposizione di esseri umani con caratteristiche fisiche abnormi (vedi VIII.30.6.1-3 e 4).
116 Anche la Sala di palazzo Pepoli vecchio, con accesso dal Volto Sampieri, venne usata di norma per feste da ballo carnevalesche frequentate dalla borghesia. Occasionalmente ospitò 'accademie' (del sopranista cav. Sampieri, degli improvvisatori Clappié (VIII.30.4.3) e Anfrisio (VIII.30.4.1). La Sala Bottoni in via S. Stefano n. 90, si trovava all'interno dell'ex palazzo Rossi Turrini, inglobato nella costruzione dell'attiguo teatro del Corso, ma poi venduto al possidente ferrarese Giovanni Bottoni. Anche in questo caso la sala, riccamente affrescata, servì per eleganti veglioni (vedi IX.43.1-5), oltre ad essere adibita ad esposizioni, spettacoli (vedi III.9.1 e 2-3), ed incontri di scherma, quelli stessi che in precedenza si erano tenuti nell'atrio del teatro del Corso (vedi VI.19.62-63).
117 Cfr. C. RICCI, I teatri di Bologna cit., Appendice IV, pp. 665-671; ALESSANDRO CERVELLATI, Fagiolino & C. Storia dei burattini e dei burattinai bolognesi, Bologna, Arti Grafiche dell'Istituto Aldini Valeriani, 1964; e due saggi più recenti, rispettivamente di ROBERTO LEYDI, Burattini e marionette nel XVIII secolo (Venezia e Bologna) e di REMO MELLONI, Le marionette a Bologna nel XVIII secolo, in Il teatrino Rissone. Marionette, scene, costumi, attrezzeria e repertorio di un teatrino dell'Ottocento, Modena, Panini, 1985, pp. 19-24 e 25-28. Una certa confusione è dovuta al fatto che nei documenti i vocaboli "bambocci", "marionette", "burattini" vengono spesso usati come fossero sinonimi.
118 Dalla seconda metà del XVIII secolo la presenza di compagnie di marionettisti di professione divenne una consuetudine per i piccoli teatri del contado bolognese, modenese, ecc., che oltre alle recite dei dilettanti locali poco altro avevano da offrire. Qui le marionette sostituivano talora le troppo costose opere in musica o le compagnie comiche non sempre disponibili.
119 Cfr. G. GUIDICINI, Cose notabili cit., III, p. 98. Il così detto teatro Legnani era stato ricavato, per volontà del conte Girolamo Legnani, da un locale annesso al palazzo, posto al pianterreno e con accesso indipendente su via S. Mamolo al civico 35. Sempre a detta del Guidicini fu un "teatrino per burattini nel quale di carnevale si recitò per molti anni commedie estemporanee con intermezzi per musica", e in effetti il cronista Domenico Maria Galeati lo menziona spesso del suo Diario, dal 1769 in poi, citando talora i titoli degli intermezzi in musica, appositamente composti, che vi si diedero, e per alcuni dei quali venne stampato il libretto, come ad esempio per L'Alchimista per amore. Intermezzo a quattro voci posto in musica dal sig. Carlo Spontoni bolognese, da rappresentarsi nella sala annessa al palazzo del nobile sig. conte senatore Girolamo Legnani Ferri il carnevale dell'anno 1785, Bologna, Stamperia S. Tommaso d'Aquino, s.a. (vedi CMBM, libr. 9023). Su spettacoli, non datati, di marionette al teatro Legnani vedi avvisi in VIII.30.11.6-7).
120 Per il teatrino da marionette di casa Poggi sappiamo che Antonio Basoli nel 1809 dipinse la volta del soffitto e le lunette. La bella sala di Borgo Paglia, una volta smessi gli spettacoli marionettistici, venne usata per tenervi veglioni carnevaleschi a pagamento.
121 G. Guidicini nel suo Diario, cit., III, p.158, segnalava ai primi di gennaio del 1814: "S'è inaugurato un teatro nella chiesa di S. Tommaso del Mercato". La chiesa, posta all'angolo tra via Malcontenti e Mercato di Mezzo in effetti era stata soppressa fin dal 1806 e data in affitto, ma gli spettacoli previsti non poterono aver luogo, e il locale tornò ad essere adibito a deposito.
123 Il così detto Teatro Antico Corso delle Maschere era in via Mascarella e da questa strada in un certo senso traeva il nome: la tradizione popolare voleva infatti che qui avesse luogo nei tempi andati uno dei corsi carnevaleschi mascherati bolognesi. A quanto risulta fu locale d'una certa eleganza, dotato di palchetti, in funzione dagli anni '30 ma le prime notizie su di esso si traggono da una lunga recensione comparsa su "Teatri, Arti e Letteratura" in data 12 marzo 1835, a proposito di una messa in scena della Norma di Bellini "spettacolo mai rappresentato con marionette" (al Comunale l'opera era stata data per la prima volta nel 1833), che venne replicata per 4 sere, nella quale "più di 50 figure in perfetto costume agivano, oltre di che più memorabile rendevano questo trattenimento i cori in musica e i vari pezzi cantati da valenti soggetti". Lo spettacolo venne completato da balli pantomimici, si avvalse "di una nuova macchina di fantasmagoria" e anche di un nuovo tipo di marionette "all'uso di Napoli", fatte cioè con la stessa tecnica delle figure usate per i presepi napoletani.
124 Il bolognese Angelo Ruvinetti, già attivo sulla fine del XVIII secolo, fu conduttore di una modesta compagnia con cui percorreva il contado bolognese (lo troviamo a più riprese nei teatri di Medicina, Crevalcore, Pieve di Cento, ecc.), durante i periodi in cui a Bologna non si davano spettacoli marionettistici. In città trovò ospitalità in casa Cuzzani alle Moline, quindi al San Gabriele e infine, ormai avanti con gli anni, al San Saverio.
125 Per i primi anni di attività del teatro Nosadella vedi avvisi in VII.24.1-2 del 1819. Vista l'affluenza di pubblico, il redattore della "Gazzetta di Bologna" durante il carnevale del 1820 doveva convenire che anche gli spettacoli di marionette, finora ignorati, meritavano attenzione, soprattutto quelli dati al teatro Nosadella "onorato più volte da persone intelligenti e colte", dove agiva Onofrio Samoggia. Questi fu in effetti uno dei più rinomati ed abili marionettisti-impresari del secolo, autore di molteplici canovacci, impegnato in frequenti tournées. A Bologna lo troviamo per un paio d'anni al Nosadella, quindi nel teatrino di via del Poggiale, al S. Saverio ed ancora in via del Poggiale.
126 Intorno al marionettista Antonio Grandi vedi sonetto in XI.48.105; per l'opera buffa del 1832 si veda il libretto a stampa La nuova pianella perduta. Dramma buffo per musica da rappresentarsi in Bologna nei teatri Antico Corso delle Maschere e Nosadella la primavera dell'anno 1832, Bologna, Tipografia delle Muse, s.a. (CMBM, libr. 728).
127 Cfr. L'armur dla piazza d'giorn e d'la sira. Scherz del Narzis Pavel Diamant, esegué in t'al teater dla Nosadella al carneval del 1843, Bologna, Tiocchi, s.a. (CMBM, libr. 7569) e La lit in piazza e la pas in person o sia l'amour prutett dal giust, seguito degli Armur dla piazza scritto da Paolo Diamanti per la sua serata di beneficio il lunedì 13 novembre 1843 (CMBM, libr. 7568). L'episodio riguardante Rossini viene riferito da "Teatri, Arti e Letteratura" in data 4 febbraio 1843, ove si legge tra l'altro che "l'immortale Rossini, voglioso di sentire un po' di musica, ha formato una Società per passare una delle ultime serate di carnevale ai burattini della Nosadella". Un successo strepitoso infine si registrò, sempre al Nosadella, nel 1846 con la rappresentazione marionettistico-meccanica intitolata L'inaugurazione della strada ferrata della Laguna Veneta nella quale si vedevano "correre i vagoni".
128 Sulle "Narcisate" e sulla maschera di "Persuttein", si rimanda ancora una volta a CARLO G. SARTI, Il teatro dialettale cit., pp. 166-170.
1. Come è noto, l'Accademia Filarmonica di Bologna venne istituita nel 1666 per volontà del conte Vincenzo Maria Carrati. Al pari delle altre accademie del tempo ebbe una impresa (raffigurante un piccolo organo), un motto (Unitate Melos), un patrono spirituale (S. Antonio da Padova) e uno statuto (le "regole Capitolari") che fissava le finalità (mantenere alto il livello compositivo ed esecutivo della musica ecclesiastica), le modalità di distribuzione delle cariche interne (Principe, Consiglieri, Censori, ecc.) e di accesso, previo esame di merito, per coloro che aspiravano a farvi parte. Ebbe fin da principio connotati corporativo-assistenziali in quanto costituita esclusivamente da musicisti, suddivisi in tre classi: Cantori, Suonatori, Compositori, ripartiti, a loro volta in "numerari", cioè residenti a Bologna ed eleggibili alle varie cariche, e "soprannumerari" o non bolognesi. Ad essi l'Accademia offriva, oltre all'onorifico titolo di accademico Filarmonico, anche una serie di vantaggi pratici quali un attestato di competenza musicale, utile per accedere agli organici delle cappelle musicali ecclesiastiche in genere ed indispensabile per entrare in quelle delle chiese bolognesi, la garanzia di poter contare sulla solidarietà dei co-accademici, e la possibilità di usufruire, previa regolare contribuzione, dei benefici previsti dalla Cassa del Sussidio (in caso di inabilità o indigenza) e da quella del Suffragio (in caso di morte).
Alla morte del fondatore, avvenuta nel 1675, l'Accademia ricevette in eredità una rendita vitalizia ed una sede stabile, consistente in un paio di ambienti posti al pianterreno di palazzo Carrati in via Cartoleria Nuova (odierna via Guerrazzi), con i relativi arredi ed una discreta dotazione di strumenti musicali.(129) Da allora (e fino ad anni recenti) entro quella sede si svolsero l'attività formativa e le prove pratiche necessarie al conseguimento del titolo, si tennero riunioni, si conservarono gli incartamenti, si arbitrarono controversie teorico-musicali, e si diedero, ma in via eccezionale, anche esecuzioni aperte al pubblico.
Ogni anno invece, in occasione della festività del patrono S. Antonio da Padova, si celebrarono pubbliche funzioni solenni nella chiesa di S. Giovanni in Monte cui presenziarono sempre le autorità, gli ospiti illustri di passaggio e gran parte della cittadinanza. Durante queste celebrazioni, di cui resta una vivace testimonianza nelle pagine del musicologo inglese Charles Burney, venivano eseguite musiche (una Messa e un Vespro) appositamente composte dai più rinomati tra gli accademici.(130)
Nel corso del XVIII secolo, l'Accademia Filarmonica più volte ritoccò i suoi Statuti (1721, 1741, 1773) per adeguarli alle esigenze del tempo, conquistò privilegi, venne turbata da contrasti interni causati da inevitabili gelosie professionali, non ultimo quello riguardante la presenza del padre Giovambattista Martini. Fu comunque la personalità di questo insigne studioso, erudito, critico e raccoglitore infaticabile di cimeli musicali, a conferire grande lustro e risonanza internazionale alla Filarmonica che, al pari dell'Accademia delle Scienze e della Clementina, contribuì al primato culturale della Bologna settecentesca.(131)
Dalla seconda metà del secolo poi andò aumentando il numero dei musicisti di nazionalità straniera (il caso più noto riguarda il giovane Mozart), dei "nobili dilettanti", e di prestigiosi "accademici d'onore" aggregati all'Accademia. Vi trovarono infine spazio, seppur marginale, anche le donne musiciste, venne meno quel totale disinteresse, fino ad allora predominante, nei confronti dell'attività teatral-musicale, prese avvio, in altri termini, una progressiva 'laicizzazione' musicale e la tendenza era destinata ad accentuarsi nel secolo seguente.(132) La Filarmonica infatti fu l'unica accademia bolognese che riuscì a superare il passaggio dall'antico al nuovo regime quasi indenne, grazie al concorso di favorevoli circostanze, molteplici trattative e l'autorevole sostegno del conte Giovanni Aldini,(133) fratello del Segretario di Stato Antonio Aldini.
In sintesi, essa avrebbe dovuto costituire la 'sezione musicale' di un Istituto Nazionale delle Scienze e delle Arti, con sede nell'ex convento agostiniano di S. Giacomo Maggiore dove, in effetti, tra il 1797 e il 1799 fu collocato il cospicuo patrimonio librario, documentario e di strumenti, proveniente dalle congregazioni religiose soppresse, compresa la celebre biblioteca già di padre Martini. In seguito alla mutata situazione politica, il grandioso progetto tuttavia venne ridimensionato e il Municipio decise di istituire a proprie spese una scuola di musica pubblica, ovvero il Liceo filarmonico, inaugurato il 30 novembre 1804 e primo in Italia. Come concordato, i primi docenti furono tutti accademici filarmonici ma l'Accademia, per parte sua, oppose strenua resistenza alla fusione tra le due istituzioni temendo (forse giustamente) di perdere identità, privilegi e rendite, ma pagando a caro prezzo la sua anacronistica pretesa di indipendenza.
Il Liceo filarmonico e l'Accademia rimasero pertanto entità distinte, anche se interagenti: al primo spettò il compito propedeutico di formare nuove leve di musicisti, alla seconda di scegliere i migliori e distribuire titoli onorifici pur sempre graditi. Durante il periodo in cui resse il precario equilibrio tra le due istituzioni, tuttavia, la "Gran Sala del Liceo" fu il luogo deputato ad eventi musicali e mondani d'eccezione quali l'avvio dei festeggiamenti per Napoleone e consorte in visita alla città,(134) l'esecuzione dell'oratorio della Passione di Stanislao Mattei nell'aprile del 1806, la serata d'onore per Isabella Colbran nel 1807, e l'esecuzione successiva (da parte dell'accademia dei Concordi) di due complessi oratori di F. J. Haydn, La Creazione del mondo nel 1808 e Le quattro Stagioni nel 1811, fino ad allora mai sentiti a Bologna.(135)
Anche in seguito, malgrado i sotterranei contrasti, che non si placarono con il ritorno di Bologna alla Santa Sede (dopo il 1815, anzi, la direzione del Liceo passò sotto la municipale Assunteria di Pubblica Istruzione), continuò a ripetersi il rito annuale delle 'Funzioni Solenni' celebrate in S. Giovanni in Monte dai Filarmonici ed entrate far parte delle consuetudini cittadine, e pari rilievo cultural-mondano ebbero i periodici saggi finali e le premiazione degli allievi tenuti nella sala del Liceo filarmonico.(136)
2. A detta dei contemporanei, l'Accademia Polinniaca, radunatasi intorno a Maria Brizzi Giorgi e quella chiamata dei Concordi diretta da Tommaso Marchesi, ebbero un ruolo importante nel rinnovamento del gusto musicale. Dell'una e dell'altra si sa poco, a cominciare dalla durata, dagli intenti e dalle connessioni con l'accademia Filarmonica. Ambedue comunque arricchirono per alcuni anni la vita musicale bolognese con le loro frequenti esecuzioni, più o meno aperte al pubblico, discretamente documentate per altro mediante avvisi, programmi di sala, libretti, partiture, e quasi sempre segnalate, e con parole d'encomio, dalla stampa periodica locale.
Altrettanto poco indagate finora sono state le personalità, pur di notevole spessore, dei loro due animatori, della pianista e compositrice Maria Brizzi Giorgi, già figura di spicco durante il triennio giacobino,(137) e di Tommaso Marchesi, accademico Filarmonico di vecchia data e più volte eletto Principe, maestro al cembalo per decenni nei teatri cittadini e in seguito apprezzato docente.
Il cenacolo musicale noto col nome di 'accademia' o 'società' Polinniaca, costituito grazie alla liberalità del conte Carlo Caprara, Gran Scudiero del Regno, ebbe sede in casa di Maria Brizzi Giorgi. Qui si tennero alcune accademie vocali e strumentali, ad una delle quali nel 1806, prese parte, in qualità di cantante, Gioacchino Rossini, a fianco del suo maestro Matteo Babini e di Domenico Vaccani.(138) Sempre nella "sala" di casa Giorgi, cui si accedeva per invito, si eseguirono i due oratori che impegnarono l'Accademia Polinniaca negli anni successivi: La Passione di Paisiello nell'aprile del 1807 e l'oratorio intitolato Giona in Ninive, espressamente composto da Domenico Marulli nel 1808.(139) Alla Giorgi poi fu affidato l'incarico ufficiale di comporre cantate occasionali e di organizzare intrattenimenti musicali per il Viceré, ospite sovente di casa Caprara. La precoce morte di Maria Giorgi, avvenuta nel gennaio del 1812, decretò la fine dell'Accademia Polinniaca.(140)
Anche l'Accademia dei Concordi, scelta compagine orchestrale istruita e diretta da Tommaso Marchesi, ebbe un protettore illustre nella persona del marchese Massimiliano Angelelli e si fece conoscere mediante una serie di concerti, dati a palazzo Orsi, che fu la sua prima sede.(141) Ottenne quindi l'autorizzazione a far uso della "Gran Sala" del Liceo filarmonico, per esecuzioni di notevole impegno come l'inedita "composizione veramente sublime", secondo la "Gazzetta di Bologna", intitolata La battaglia di Jena, per forte-piano, orchestra e voci soliste, composta dall'ufficiale francese Michele Braun, membro della Legion d'Onore (142) e l'oratorio della Creazione di Haydn, fino ad allora mai eseguito come si è detto, entrambe avvenute entro il 1808. Nei due anni seguenti essa produsse una serie di accademie vocali e strumentali molto apprezzate e nel 1811 l'oratorio delle Stagioni in occasione della nascita del figlio dell'Imperatore.(143)
L'apertura al pubblico di nuovi spazi per la musica divenne entro breve tempo un'esigenza sentita da più parti, e ritenuta assai utile soprattutto per i giovani artisti appena diplomati al Liceo filarmonico e per i nuovi compositori desiderosi tutti di farsi conoscere. In tal senso, a poco potevano servire le sale private gentilmente messe a disposizione, ma alle quali si accedeva solo per invito, come quella del marchese Sampieri, compositore dilettante di talento, che nel 1809 aprì la propria casa per ospitare qualche concerto,(144) sperimentando così le sue doti di efficiente organizzatore di trattenimenti musicali che lo portarono ad essere per più di un quarantennio "direttore della musica" presso la Società del Casino di Bologna.
Anche due teatrini che avevano fatto il loro tempo ed erano ormai prossimi alla chiusura, il Felicini e il Legnani, servirono come sale da concerto, gestite tra il 1818 e il 1820 da un ristretto gruppo di orchestrali diretti da Luigi Bortolotti, che prese il nome di Accademia degli Armonici e successivamente degli Apollo-Armonici.(145)
In effetti, con la chiusura non solo del Felicini e del Legani ma anche del Marsigli e del teatrino di via Saragozza dopo gli anni '20, per tanti gruppi di dilettanti come per altrettanti giovani cantanti e musicisti venne meno la possibilità di affrontare la prova del pubblico. Per tutti costoro fu provvidenziale l'iniziativa del sig. Emilio Loup, uno dei più ricchi e intraprendenti possidenti del tempo, svizzero di nascita ma bolognese d'adozione e residente nell'ex palazzo senatorio dei Calderini, prospiciente l'omonima piazza.(146) È probabile che in una delle due grandi sale di rappresentanza del palazzo esistesse ancora traccia di un teatrino gentilizio, che il signor Loup fece riattare per accogliere provvisoriamente l'Accademia Filodrammatica.(147) A causa della definitiva chiusura del Marsigli, in cui era solito esibirsi, e della temporanea indisponibilità del teatro Contavalli, il gruppo più quotato d'attori dilettanti bolognesi aveva infatti rischiato di non poter dare il consueto corso di rappresentazioni previsto per il carnevale 1823-1824, se non si fosse provveduto alla tempestiva costruzione "d'un nuovo elegantissimo privato teatro nel palazzo Ghisilieri, ora Loup, onde non defraudare l'aspettativa del Pubblico Bolognese".(148)
L'esperienza, pur limitata ad un paio di mesi, fu gratificante e l'iniziativa ebbe un seguito. Nei primi mesi del 1827 nel palazzo Loup presero avvio i lavori di costruzione di una vera e propria sala teatrale perfettamente attrezzata; contemporaneamente Emilio Loup raccolse intorno a sé un consistente numero di 'sottoscrittori' e costituì, come si usava, una 'società' che avrebbe dovuto sostenere e gestire il teatro e fruire dei suoi spettacoli.
Che poi il teatro Loup non dovesse essere considerato alla stregua di un 'teatrino domestico' ma come sede di una istituzione di pubblica utilità, lo si ricava dalla lettera di presentazione (in data 3 dicembre 1827) rivolta al Legato con cui si chiedeva l'apertura del locale, previo sopralluogo che ne verificasse la solidità della struttura.
Avendo il sig. Emilio Loup costrutto nel suo palazzo già Ghisilieri un teatro per suo uso privato, è stato altresì cortese da accordare l'uso pel prossimo carnevale 1828 ad una Società di circa cinquanta individui i quali, mediante un tenue compenso per le spese indispensabili, si proporrebbero di tenerlo esercitato con soli dilettanti a declamare scelte commedie italiane, e ad eseguire una opera in musica. Seconderebbero per tal guisa le intenzioni del Proprietario, il quale ha avuto in animo, con la bene intesa e decorosa sua fabbrica, di presentare un mezzo a Giovani dilettanti di perfezionare sempre più nella comica declamazione, e agli Studiosi di Canto, per pratico esercizio che utilissimo si rende affine di diventare perfetti artisti. I primi sono gli stessi che, attualmente protetti da V.E., sono conosciuti col nome di Accademici Filodrammatici, gli altri che eseguirebbero l'Opera in musica, sono trascelti fra quelli che hanno compiuto in questa città il corso di studi di canto. L'orchestra stessa, meno che per due o tre strumenti, sarà tutta sostenuta da suonatori dilettanti.(149)
Subito vennero messe in funzione le due 'scuole di perfezionamento' gratuite, quella di recitazione diretta da Carlo Bruera (150) e quella di musica e portamento scenico affidata alla competenza di Tommaso Marchesi, per preparare gli spettacoli d'apertura.
3. Il teatro Loup venne inaugurato la sera del 30 dicembre 1827, alla presenza del Legato card. Albani e di tutte le autorità, con una recita (del Boemondo di Camillo Federici) da parte dei Filodrammatici, cui fece seguito, il 4 gennaio del 1828, la messa in scena de Il matrimonio segreto di Cimarosa. L'evento ebbe notevole rilievo sulle pagine dei giornali e il redattore di "Teatri, Arti e Letteratura" fornì ai suoi lettori una sommaria descrizione del locale, che risulta quanto mai preziosa, stante la scomparsa del manufatto:
Di figura quadrilunga, di palchetti e ringhiere adorna, è stata dipinta la sala di questo Teatro con ogni leggiadria dell'arte dai signori Badiali e Zaccherini; ed il palcoscenico, modello dei più chiari Teatri d'Italia, ha scene che mostrano il perfetto gusto in tale dipintura delli ben noti signori Ferri, Martelli e Berti.
Da altra fonte si apprende inoltre che il "comodo palcoscenico" ebbe un sipario dipinto da Napoleone Angiolini raffigurante "Il giuramento di Guglielmo Tell per liberare la patria".(151)
Anche negli anni immediatamente seguenti si alternarono recite e opere in musica e va detto subito che furono queste ultime (Giulietta e Romeo di Vaccaj e Semiramide di Rossini nel 1829, Tancredi sempre di Rossini nell'anno seguente) a suscitare maggiore interesse da parte del pubblico (152) e soprattutto l'attenzione dei critici poiché costituirono un eccellente banco di prova per il debutto di giovani talenti (Luigi Pedrazzi, Carolina Ghedini, Marianna Brighenti, Anna Fanti, ecc.) che poterono contare, il più delle volte, su immediate scritture nel teatro professionale.
I moti dei primi mesi del '31, e la generale mobilitazione che li caratterizzò, consentirono solo una fugace apertura del teatro mentre l'appuntamento con l'opera venne spostato all'anno seguente. Il 18 gennaio 1832 infatti "gli amatori del teatro corsero in folla al teatro Loup alla rappresentazione della Cenerentola data a favore degli emigranti". Nei mesi precedenti tutti i teatri cittadini, dal Comunale al Corso al Brunetti, avevano ospitato spettacoli di vario genere finalizzati alla raccolta di fondi per aiutare coloro che erano stati costretti all'esilio. A questa generosa gara, cui avevano partecipato tanti artisti che si erano prestati gratuitamente, si unì anche il teatro Loup con una rappresentazione straordinaria appunto della Cenerentola di Rossini nella quale si esibirono, a fianco degli esordienti, due quotati interpreti come il basso Zucchelli e il contralto Clementina Betti degli Antonj.
Anche l'orchestra giovanile (che prese il nome di Società Filarmonica Felsinea), posta sotto la direzione di Giuseppe Manetti, aveva acquistato in pochi anni sicurezza e affiatamento impegnandosi in intermezzi strumentali e in qualche 'accademia'.(153) Sempre meno rilievo assunsero invece le recite a causa della concorrenza di due altre formazioni agguerrite, dei Concordi che agivano stabilmente al teatro Contavalli e dei Solerti abitualmente ospiti del Brunetti.
Gli allestimenti d'opera invece proseguirono con una certa regolarità: durante la Quaresima del 1834 fu la volta di un esilarante Ser Marcantonio, dramma giocoso di Pavesi rielaborato dall'irresistibile basso buffo, e compositore, Carlo Cappelletti, in cui si rivelarono le buone doti di Giacinta Canonici mentre nel 1835, con la messa in scena de Il turco in Italia, si distinse Rita Gabussi. Poi, dopo tanti spartiti noti, l'onore delle scene toccò a una novità assoluta: il dramma lirico Elisa all'Alpi, su libretto di Quirico Baratta, posto espressamente in musica da Carlo Badini. Non risulta che né il compositore né il librettista abbiano avuto particolare fortuna, per cui sia nella primavera del 1837 come nell'autunno del '38 si fece ritorno a collaudati successi quali il melodramma giocoso Il nuovo Figaro di Luigi Ricci e la farsa rossiniana intitolata L'inganno felice. A questo punto la serie degli allestimenti operistici tuttavia si interrompe, forse a causa dell'apertura di un altro elegante ed elitario teatrino presso la Società del Casino, o piuttosto per i troppi e gravosi impegni ufficiali assunti dal Manetti, sulle cui spalle ormai gravava tutto l'impegno del settore musicale del teatro Loup, dopo il ritiro del Marchesi. Fu proprio il Manetti ad utilizzare comunque il palcoscenico del teatrino privato nel 1845 per dare un pubblico saggio della preparazione raggiunta dai giovani violinisti suoi allievi, primo tra tutti Carlo Verardi.
Un altro saggio, magari meno prestigioso, fu quello dato dalle adolescenti allieve di Amalia Dauché Longhi "educatrice di fanciulle" e del maestro di ballo Giuseppe Lucca nel 1847.(154) È poi necessario attendere vari anni prima di trovare, nel dicembre del 1855, uno spettacolo di un certo impegno con la messa in scena della Gabriella di Vergy di Donizetti, interpretata dagli allievi della scuola di canto di Luigi Zamboni. Infine nel 1858, anno della morte di Emilio Loup, il suo teatro chiuse definitivamente i battenti.
4. Il nome di Francesco Giovanni Sampieri ricorre di frequente nelle cronache musical-mondane della prima metà del XIX secolo, come promettente compositore in gioventù, in seguito, e per un buon quarantennio, in qualità di 'Direttore della Musica' presso la Società del Casino di Bologna, al cui prestigio contribuì in modo determinante. Nobile, ricco, colto ed elegante, Sampieri può essere considerato un esponente di spicco di quel dilettantismo ottocentesco di buon livello, che pure ebbe tanti meriti nella diffusione della cultura musicale.(155)
Non aveva ancora vent'anni e già si era conquistato un certo credito nell'ambito cittadino, quando vennero gettate le basi per la costituzione di una nuova Società del Casino, ed è probabile che egli partecipasse alla stesura del regolamento.(156)
Lo Statuto, elaborato sul finire del 1809, contemplava infatti al capitolo II (Dei concerti e accademie di musica), la nomina di un Direttore responsabile del settore, affiancato da sette soci di seconda classe ("professori e dilettanti di musica") e da cinque signore ("intelligenti di musica"), cui sarebbe spettato il compito di organizzare ogni giorno festivo un concerto, e tra i mesi di novembre e giugno almeno quattro grandi accademie con accompagnamento di orchestra.(157)
Sampieri naturalmente venne eletto 'Direttore della Musica' all'unanimità e non appena si entrò in possesso della nuova sede societaria, collocata al piano nobile di palazzo Lambertini in Strada Santo Stefano, diede avvio ai concerti domenicali. Essi non si discostavano forse dalle esibizioni dilettantesche che imperversavano nei salotti privati, ma divennero comunque una piacevole consuetudine. A questi si aggiunsero le 'grandi accademie' con la partecipazione di professionisti (cantanti o virtuosi di qualche strumento), supportati da dilettanti o allievi meritevoli delle scuole di musica, accompagnati dal piano o dall'orchestra, nonché l'esecuzione di composizioni a carattere celebrativo, come la cantata intitolata La nascita del Re di Roma, per voci soliste, doppio coro e orchestra, data il 5 luglio 1811, o auto promozionali se vogliamo, in quanto musicate dal Sampieri stesso, come le cantate Deucalione, del 1813, e Fille, Licori e Clori, del 1814.(158)
La periodicità e frequenza di questi appuntamenti musicali venne confermata dallo Statuto steso nel 1823 in occasione del trasferimento della sede del Casino al primo piano di palazzo Bolognini Amorini in piazza S. Stefano. In esso si concedeva inoltre sempre più ampio margine di discrezionalità al Direttore della Musica sia nella programmazione che nelle scelte, la facoltà di nominare due collaboratori di fiducia abilitati a sostituirlo durante sue eventuali assenze (furono Antonio Zoboli e il marchese Gaetano Conti Castelli) e di un direttore d'orchestra esterno alla società e ben retribuito (nell'incarico venne riconfermato Tommaso Marchesi). Restava inteso che sia i professionisti che gli strumentisti dell'orchestra sarebbero stati compensati per le loro prestazioni.(159)
Già in precedenza, per più di un biennio, Tommaso Marchesi era stato chiamato a sostituire l'assente Sampieri, e a lui si dovettero le grandiose esecuzioni di oratori di Haydn, la prima consistente in una ripresa de La creazione del Mondo nel 1819, la seconda nell'esecuzione, in prima assoluta per Bologna, de Le sette parole di Cristo sulla Croce nel 1821.(160)
Non sarà certo il caso di elencare programmi ed esecutori delle accademie di routine affidate a volonterosi dilettanti o a solisti più o meno noti, ma vale la pena ricordare che dal 1824 sfilarono al Casino, sempre su invito del Sampieri, tutte le celebrità nazionali e internazionali del bel canto: Giovanni David, Domenico Donzelli, Enrichetta Meric Lalande, Antonio Poggi, Giulia Grisi, Cesare Badiali, Giuditta Pasta, Carolina Ungher, Erminia Frezzolini, ecc., sempre festeggiati ed accolti spesso con omaggi poetici e medaglie-ricordo.
E si applaudirono con pari entusiasmo virtuosi di vari strumenti, come i violinisti Rolla, Sighicelli ed Emiliani, il violoncellista Parisini, il mandolinista Vimercati, l'oboista Centroni, fino ad arrivare alla fugace apparizione dell'incomparabile Franz Listz nel dicembre del 1838. Particolare rilievo ebbero inoltre le successive esibizioni (dal 1832 al 1835) di Maria Malibran, sempre pronta a dedicare una serata al Casino ad ogni suo soggiorno in città.(161)
Fin dal 1829 Sampieri aveva pensato di sostituire di tanto in tanto le consuete accademie, consistenti in esecuzioni di brani staccati e oltre a tutto ben noti, con esecuzioni di spartiti operistici completi, possibilmente inediti, da darsi in forma di concerto. Fu così che si udì per la prima volta a Bologna nel 1829 il Mosé di Rossini nella versione parigina (ma il libretto venne tradotto in italiano per l'occasione) e nel 1836 il rossiniano Guglielmo Tell, ancora vietato nei teatri dalla censura papalina a causa del 'libertario' libretto.(162)
Già nel 1834 nella sala grande adibita ai balli e ai concerti era stato sistemato un succinto teatrino che venne sperimentato per la prima volta con una serie di "trattenimenti filodrammatici", che costituirono un evento eccezionale in quanto le recite non rientravano tra le attività promosse dalla Società del Casino.(163) Solo nel 1841 si giunse però alla realizzazione "nei magnifici appartamenti della società del Casino di una nuova grande sala riservata agli spettacoli musicali, più elegante per decorazione e per effetto armonico, di quella comunemente usata come sala da ballo", come enfaticamente annunciava il redattore di "Teatri, Arti e Letteratura". Il bel teatrino dunque venne inaugurato nel giugno dello stesso anno con la messa in scena della Giovanna di Napoli di Donizetti, cantata dai celebri principi Poniatowski attorniati da dilettanti. Chiuse la serata "una festa da ballo riccamente servita, offrendo ai Principi i loro ritratti e facendosi dalla Banda Militare, quivi chiamata, intonare un pezzo di musica di composizione del principe Maestro".(164) I principi melomani fecero ritorno nel 1843 per cantare nella Linda di Chamounix, sempre di Donizetti, e il successo fu anche superiore alla volta precedente, perché lo spartito era ancora inedito per Bologna.
Fu tuttavia l'ultimo evento musicale degno di nota all'interno della Società del Casino: negli anni che seguirono, politicamente sempre più complessi e difficili, diradarono gli inviti e proseguirono solo le consuete accademie. Ancora nel 1850 Sampieri venne riconfermato Direttore della Musica; subito appresso ritenne opportuno trasferirsi a Parigi, precedendo di poco l'ordine di scioglimento della Società del Casino.
5. Il bolognese Luigi Ploner fu un bravo attore dilettante e un prolifico drammaturgo, anche se di modesta levatura. Ebbe però mano felice nello scrivere farse ed atti unici con trame semplici, dialogare vivace, ambientazione realistica.(165) Uno dei suoi atti unici si intitola Gran serata di beneficio ed ha per argomento il fanatismo, assai diffuso tra i frequentatori dei teatri d'opera, nei confronti delle dive del bel canto. L'azione si svolge infatti all'interno di un teatro, rimbalza anzi tra due palchetti contigui i cui occupanti sono in attesa di celebrare il trionfo della 'seratante' prediletta, armati di bouquets di fiori profumati e di "mazzi di stampa a diverse dimensioni: canzoni, epigrafi, sonetti" (come specifica la didascalia originale), con cui inondare, alla fine dello spettacolo, il palcoscenico.
Sia la tradizione delle 'beneficiate', sia quella degli omaggi poetici, sono da gran tempo scomparse dai nostri teatri, ma hanno lasciato di sé ampia testimonianza.(166) La consuetudine delle 'serate di beneficio', coi suoi rituali riprodotti efficacemente dal Ploner, vantava lontane origini legata com'era al mondo della Commedia dell'Arte ma, oltre a costituire un riconoscimento di eccellenza, aveva risvolti più prosaici. Ogni artista di qualche merito infatti, nel corso di una stagione di recite, per contratto aveva diritto ad una serata il cui ricavato, dedotte tutte le spese, gli spettava. In quanto 'titolare della serata' gli era data poi facoltà di scegliersi, all'interno del corrente repertorio, le parti o i brani che meglio avrebbero fatto risaltare le sue doti.
Anche gli 'applausi poetici', componimenti in versi rivolti ad artisti di teatro e dispensati in occasione di spettacoli particolarmente ben riusciti, avevano origini antiche dal momento che la loro comparsa risale al XVII secolo e coincide con l'affermazione dei teatri pubblici. Lasciati manoscritti oppure dati alle stampe per lo più sotto forma di fogli volanti, pieghevoli, o talora riuniti a formare piccole raccolte, essi occupano un consistente settore della poesia encomiastica per così dire di consumo (anche se nessuno ha mai tentato un seppur parziale censimento). Di valore letterario per lo più irrilevante, monotonamente infarciti di metafore, iperboli e di stucchevoli riferimenti al mondo classico buoni per tutte le occasioni, questi componimenti possono essere però di grande interesse documentario, grazie ai dati forniti nelle intestazioni: risultano utili per ricostruire i curricoli dei singoli artisti e la cronologia degli spettacoli rappresentati nei vari teatri di città come di provincia, oltre che per conoscere gli orientamenti e le predilezioni del pubblico.
Nel XVII secolo per tessere le lodi dei mitici protagonisti della scena si fa ricorso in prevalenza alle raccolte poetiche 'monotematiche' prodotte in ambiti accademici (167) e i fogli volanti sono ancora rari, ma nel corso del Settecento la produzione di questi ultimi cresce in modo considerevole poiché, ai sonetti dedicati a virtuosi dell'opera in musica (prime donne e castrati), a ballerini, ad attori di professione (sempre in netta minoranza), si aggiungono i componimenti diretti ai dilettanti, nella stesura dei quali anzi troviamo impegnati tutti i Pastori d'Arcadia.(168)
La produzione aumenta a dismisura entro la prima metà dell'Ottocento, procedendo di pari passo con l'aumento del numero degli spettatori, delle tipologie spettacolari e dei luoghi teatrali, quindi lentamente diminuisce (169) fino a scomparire.
Il contenuto degli attuali cartoni comprendenti i così detti 'applausi poetici', ove sono confluiti prevalentemente materiali della prima metà dell'Ottocento, è ben rappresentativo al riguardo. Il nucleo più consistente, come sempre, è costituito dai galanti omaggi poetici rivolti alle prime donne cantanti, autentiche dive del palcoscenico, che superano di gran lunga i colleghi tenori pur ben piazzati. Anche i balli registrano un buon livello di gradimento e i sonetti premiano equamente coreografi e ballerine, in attesa queste ultime di diventare, intorno alla metà del XIX secolo, oggetto di autentico fanatismo.(170)
Per quanto riguarda gli attori di professione si nota invece una lieve inversione di tendenza in quanto gli uomini, cui spettano gli ambiti ruoli di eroi tragici, superano al momento le attrici tra le quali, anche prima del predominio scenico esercitato da Adelaide Ristori, si trovano pure acclamate interpreti come la Marchionni e la Bazzi.(171) Nell'ambito del teatro recitato tuttavia la maggior parte degli omaggi poetici è rivolta alle prestazioni dei dilettanti, in funzione di sostegno e di incoraggiamento per le loro fatiche non altrimenti compensate e come premio per il buon livello di preparazione raggiunto: le lodi infatti vengono giustamente distribuite tra tutti i componenti delle varie formazioni, ai loro direttori, o ai singoli recitanti.
La produzione di sonetti encomiastici, infine, coinvolge anche tutti coloro che a vario titolo fanno parte del mondo dello spettacolo, dai proprietari dei teatri ai decoratori di interni, Basoli in testa, dagli impresari ai macchinisti, e si allarga democraticamente ai cavallerizzi e ai marionettisti, senza dimenticare gli amatissimi giocatori di pallone, ai quali non mancarono sostenitori dotati di estro poetico.
6. La gentile consuetudine di comporre, stampare e diffondere omaggi poetici rivolti agli artisti prediletti, non conobbe limiti né confini, e si ripeté puntualmente in tutti i teatri pubblici e privati, grandi o piccoli che fossero. Anche nella presente raccolta pertanto si trovano alcuni 'applausi poetici' che non si riferiscono a spettacoli dati a Bologna. La gran parte di questi tuttavia è dedicata a cantanti bolognesi di nascita dei quali, anche da lontano e con comprensibile orgoglio municipale, si seguivano le varie tappe della brillante carriera conservandone gli attestati (è questo il caso di alcuni componimenti per Carolina Passerini, Emilia Boldrini, Antonio Tamburini, ecc.). Altri sono diretti ai protagonisti di eventi musicali di particolare rilievo avvenuti in aree limitrofe, come dovettero essere nel 1812 l'inaugurazione dell'attesissimo e sfortunato Nuovo Teatro di Imola con il dramma eroico I riti di Efeso del Farinelli (172) o l'ottima esecuzione della Sonnambula di Bellini data a Pieve di Cento nel novembre del 1844, che si meritò una lusinghiera recensione su "Teatri, Arti e Letteratura", oppure quella della Lucia di Lammermoor al teatro Maiocchi di Cento nel '45 con la partecipazione di un nutrito cast vocale bolognese.(173)
Non mancano del resto, anche tra gli avvisi, documenti che si riferiscono all'attività dei piccoli teatri del contando che di quelli cittadini costituirono il corollario, grazie ai vicendevoli rapporti da sempre intrattenuti tramite le accademie che li gestirono e grazie anche all'autorevole interessamento delle famiglie nobili (Pepoli, Marsigli, Hercolani, ecc.) che avevano vasti possedimenti e tenute nei dintorni. Valga per tutti l'esempio dei contatti intercorsi tra la Comunità di Medicina e il marchese Francesco Albergati che consentirono a quest'ultimo di fare uso a fini per così dire personali, tra il 1781 e il 1787, di quel teatrino, ma che servirono anche ad alzare sensibilmente il livello qualitativo degli spettacoli medicinesi.(174)
Volendo accennare dunque brevemente ai teatri in funzione nel contado fin dai primi decenni del Settecento, è quasi doveroso ricordare la piacevole esperienza toccata a Charles de Brosses che, giunto a Bologna nel settembre del 1739, trovò i teatri cittadini inattivi mentre la 'bella società' (per la quale "il primo e più essenziale fra tutti i doveri è quello di andare tre volte alla settimana all'opera"), impegnata nel rito del 'villeggiare', aveva trasferito in campagna il trattenimento prediletto dell'opera in
L'opera non sta qui - osservava con malizia il viaggiatore francese - non ci andrebbe nessuno, sarebbe troppo borghese; invece siccome si trova in un villaggio a quattro leghe da Bologna, fa fino esservi assidui. Sa Iddio se cavalieri e damigelle potrebbero fare a meno d'attaccare quattro cavalli di posta ad una berlina e di volare fin là da tutte le città vicine, come ad un appuntamento […]. Per essere un'opera di campagna, è più che decente.
Più che l'opera seria (Odio vinto dalla gelosia) allora in programma, egli apprezzò la brillante esecuzione della farsa pergolesiana de La serva padrona usata come intermezzo tra gli atti, a tal punto che si diede da fare per procurarsi lo spartito originale da portare con sé in Francia.(175)
Il 'teatro di campagna' cui si accenna nel passo, pur senza direttamente menzionarlo, è quello di S. Giovanni in Persiceto, uno dei pochi invero, assieme a quello di Cento, in grado di mettere in piedi costosi allestimenti di opera in musica in occasione della fiera settembrina (anche se a rischiare in questi casi furono gli intraprendenti impresari e non le singole comunità). Ma a prescindere da questo particolare non di poco conto,(176) va detto che contemporaneamente erano attivi cinque teatri ubicati in linea d'aria a pochi chilometri di distanza l'uno dall'altro (a Cento, Pieve di Cento, S. Giovanni in Persiceto, Crevalcore, S. Agata Bolognese), cui facevano da contraltare nella pianura di nord-est quelli di Medicina, Budrio, Castel S. Pietro, e in montagna quello di Porretta.
Tutti di proprietà più o meno comunale e di fondazione tardo secentesca, nel corso del Settecento essi vennero rinnovati secondo canoni estetici analoghi (con l'adozione cioè del modello bibbienesco), uniformati nella scelta dei repertori (costituiti ora in prevalenza da tragedie francesi tradotte e commedie goldoniane), e fatti oggetto di cure sollecite da parte delle amministrazioni comunali ma anche di interminabili contese tra quanti aspiravano ad avervi accesso, possibilmente gratuito.
Tutti infine furono affidati in gestione alle locali accademie (dei Candidi Uniti, Indifferenti Risoluti, Illustrati, Illuminati e Citaristi, ecc.), che direttamente curavano le recite dilettantesche che si davano a carnevale, e che avevano facoltà, per il resto dell'anno, di organizzare trasferte, accettare o respingere le richieste provenienti da impresari, capocomici o marionettisti di passaggio, come è possibile constatare dai documenti conservati nei rispettivi archivi storici comunali e dalla lettura delle cronache locali.(177)
Con l'arrivo dei Francesi le accademie vennero sciolte, ma furono subito rimpiazzate da altrettante 'Unioni di Dilettanti' che intensificarono anzi gli scambi con i gruppi di filodrammatici di città 178 ed assunsero il compito di animatrici della vita teatrale locale, avendo come ambizione massima e obiettivo comune l'allestimento in proprio dell'opera.
Contemporaneamente al rinnovato impulso che animò i teatrini 'storici' del contado nei primi decenni dell'Ottocento, ogni borgata, anche la più defilata, volle dotarsi di un locale da adibire a teatro, da Molinella a Castelguelfo, da Poggio Renatico a S. Giorgio di Piano, da Minerbio a Baricella, dilatando ulteriormente gli orizzonti della fruizione teatrale.
NOTE:
129 Cfr. NESTORE MORINI, L'Accademia Filarmonica di Bologna (1666-1966). Fondazione e vicende storiche, Bologna, Tanari, 1967; LAURA CALLEGARI HILL, L'Accademia Filarmonica di Bologna (1666-1800). Statuti, indici degli aggregati e catalogo generale degli esperimenti d'esame nell'Archivio, con introduzione storica, Bologna, AMIS, 1991; OSVALDO GAMBASSI, L'Accademia Filarmonica di Bologna. Fondazione, statuti e aggregazioni, Firenze, Olschki, 1992; Accademia Filarmonica di Bologna, a cura di Romano Vettori, Bologna, Alfastudio, 2001. All'atto della fondazione risultavano aggregati cinquanta autorevoli musicisti (maestri di cappella, docenti, virtuosi di vari strumenti), che acclamarono come primo 'Principe' il conte Vincenzo M. Carrati, il quale volle, con disposizione testamentaria, che, dopo di lui, in seno all'Accademia fosse sempre presente un rappresentante della sua famiglia.
130 Cfr. CHARLES BURNEY, Viaggio musicale in Italia, a cura di Enrico Fubini, Torino, EDT, 1987, pp. 196-199. Durante il soggiorno a Bologna, dal 21 al 30 agosto 1770, il Burney ebbe colloqui con il padre Martini e con il Farinello (ma anche con Laura Bassi Veratti), incontrò casualmente il giovane Mozart, fu per una sera al teatro Comunale, assistette alla festa della Porchetta e alla "funzione solenne" in onore di S. Antonio da Padova, di cui lasciò un'ampia descrizione della quale riportiamo i passi salienti: "Il 30 agosto ha luogo, mattina e sera, la pubblica esecuzione annuale nella chiesa di S. Giovanni in Monte […]. L'orchestra era assai numerosa, composta di circa cento esecutori, tra voci e strumenti. Vi sono nella chiesa due grandi organi, uno ad ogni lato del coro, ed oltre a questi, ne fu aggiunto per l'occasione uno più piccolo di fronte, proprio alle spalle del compositore e dei cantanti. Gli esecutori stavano in una galleria che formava un semicerchio intorno al coro […]. Erano presenti a questa esecuzione tutti i critici di Bologna e delle città vicine, e la chiesa era straordinariamente affollata. Nel complesso godetti assai di questo concerto; la varietà dello stile e il valore delle musiche erano tali da fare onore non soltanto alla filarmonica ma alla società stessa di Bologna che in ogni tempo è stata feconda di ingegni ed ha prodotto un gran numero di uomini di talento in tutte le arti".
131 Cfr. Collezionismo e storiografia musicale nel Settecento. La quadreria e la biblioteca di padre Martini, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1984.
132 Prima donna ad essere aggregata all'Accademia Filarmonica fu nel 1773 la viennese Marianna Martinez in qualità di compositrice, seguita nel 1779 dalla romana Maria Rosa Coccia. Tra il 1789 e il 1800 al novero si aggiunsero Benedetta Ercolani Zagnoni (vedi sonetto in X.47.2), Francesca Montalti Flaviani, Teresa Albergati Checchi, Anna Ponziani, Genoveffa Canevazzi Grenier, tutte dilettanti di canto o di strumenti. Per quanto riguarda i cantanti di professione, oltre all'antesignano Carlo Broschi detto il Farinello, entro la fine del secolo vennero fatti accademici Girolamo Crescentini (1789) e Giacomo David (1790). Sulle tendenze generali, i criteri iniziali e gli orientamenti successivi nelle aggregazioni si veda L. CALLEGARI HILL, L'Accademia Filarmonica cit., pp. 77-89.
133 In riconoscimento dei suoi meriti, nel 1804 Giovanni Aldini venne nominato accademico Filarmonico d'onore. Le vicende di questo periodo sono esposte, non sempre in modo obbiettivo ed approfondito, da N. MORINI, L'Accademia Filarmonica cit., pp. 122-128; 133-137; 141-143 e da PIETRO SANTI, Municipio bolognese, teatro Comunale, Liceo Filarmonico, in Due secoli di vita musicale. Storia del teatro Comunale, a cura di L. Trezzini, Bologna, Alfa, 1966, I, pp. 156-189.
134 Dalla "Gazzetta di Bologna" (n. 50 del 21 giugno 1805) apprendiamo che per l'arrivo dell'Imperatrice a Bologna era stata predisposta al Liceo filarmonico l'esecuzione di una "splendida Cantata" su testo di Paolo Costa e musica di Tommaso Marchesi con la partecipazione di cinquanta coristi ed altrettanti strumentisti collocati davanti ad un arco trionfale posticcio. L'illustre ospite, affaticata per il viaggio, non intervenne ma la cerimonia si effettuò lo stesso.
135 Stanislao Mattei, già allievo prediletto del padre Martini, Principe della Filarmonica nel 1803 (vedi sonetto in X.47.23), 1808, 1818, docente di contrappunto al Liceo filarmonico, era a quel tempo il compositore bolognese più rappresentativo. All'esecuzione della sua Passione (già composta fin dal 1797) prese parte come cantante Gioacchino Rossini, che un paio di mesi appresso ottenne l'aggregazione alla Filarmonica. Un rilievo particolare assunse la 'grande accademia' che ebbe come protagonista il soprano Isabella Colbran dopo il successo riscosso al teatro Comunale, tanto da meritare un lungo resoconto sulla "Gazzetta di Bologna" (n. 32 del 19 aprile 1807). Se poi l'esecuzione de La Creazione nella primavera del 1808 lasciò parte del pubblico un poco disorientata, quella de Le Stagioni fu assai bene accolta e a tutti gli interpreti, dal maestro al cembalo Rossini al primo violino Boschetti ai solisti Manfredini, Pedrazzi e Celli, vennero tributati poetici encomi (vedi ode saffica in X.47.55).
136 Sulle 'feste musicali' per la ricorrenza del santo protettore dell'accademia Filarmonica vedi avvisi in I.1.2-7 e sonetto in X.47.9; sulle cerimonie di distribuzione dei premi agli allievi del Liceo filarmonico vedi III.11.2-3 e l'anacreontica in X.47.83.
137 Maria Brizzi (1775-1812), nata in una famiglia di valenti musicisti, dotata di bella voce, eccelse come suonatrice di cembalo e forte-piano e come compositrice. Diciottenne aveva sposato l'avvocato Luigi Giorgi, ne aveva condiviso le idee liberali e la passione politica. Con l'arrivo dei Francesi aveva offerto il proprio contributo istruendo musicalmente la Guardia nazionale e partecipando alle iniziative del Teatro Civico. In seguito trasformò la propria casa in un cenacolo, venne aggregata all'accademia Filarmonica nel 1806 e la sua fama si estese anche all'estero tanto da essere apprezzata da Clementi e Haydn. L'ammirazione fu reciproca perché alla Brizzi spetta in parte il merito d'aver diffuso in città l'interesse per la musica strumentale fino ad allora poco apprezzata.
138 Cfr. avviso in VIII.31.4.1-2. L'accademia Polinniaca venne aperta quasi certamente nel 1806 perché ne dà notizia la "Gazzetta di Bologna" (n. 95 del 1806), chiarendo che essa era "costituita da Filarmonici". In quello stesso anno in effetti la Brizzi veniva aggregata all'Accademia Filarmonica. Per non ingenerare ulteriori confusioni, va detto che tutte le associazioni culturali ufficialmente costituite e dotate di regolamento interno, venivano dette 'accademie', ed anche i loro intrattenimenti pubblici erano chiamati 'accademie' in quanto costituivano dei 'saggi accademici'. Per estensione, il termine 'accademia' finì per indicare qualunque esibizione pubblica individuale. Erano pertanto dette 'accademie vocali e strumentali', i concerti in cui dei virtuosi di canto si esibivano con accompagnamento d'orchestra.
139 Cfr. La Passione di Gesù Cristo. Componimento sacro posto in musica dal celebre Maestro Paisiello da eseguirsi la sera del 20 marzo 1807 nella Sala dell'accademia Polinniaca di Bologna, Bologna, Masi, s.a. (CMBM, libr. 3876) e Giona in Ninive. Azione sacra espressamente composta per la Società Polinniaca di Bologna per servire di seconda parte alla grande Accademia che si darà nella Sala della Società stessa la sera del 12 aprile 1808. La musica del tutto nuova è del rinomato sig. cav. Domenico Marulli, accademico Filarmonico e membro di detta società Polinniaca, Bologna, Sassi, s.a. (CMBM, libr. 2888).
140 Cfr. Per Lissa sorpresa dalla Marina italiana sotto gli ordini di S.A.I. e R. Eugenio Napoleone. Componimento drammatico in musica eseguito in presenza dell'A.S. nel suo arrivo in Bologna il 29 ottobre 1810, Bologna, Masi, s.a. (CMBM, libr. 2218). Sui festeggiamenti musicali organizzati dalla Brizzi Giorgi si veda di GASPARE UNGARELLI, La festa del Vicerè, pubblicazione per nozze Bianchi-Agostinelli, Bologna, Azzoguidi, 1890.
141 Sull'accademia musicale dei Concordi (da non confondere coll'omonimo gruppo di filodrammatici recitanti al teatro Contavalli), resta una annotazione un poco sfuocata dal tempo, a firma di Augusto Aglenbert comparsa sul periodico "Il Felsineo" (n. 2 del 1844): "Fu dal 1809 al 1812 che l'Accademia detta dei Concordi, primieramente collocata nel palazzo Orsi, ebbe poscia sede, previa annuenza del Municipio, nella grande Aula del Liceo, ed allora egregi professori e dilettanti ebbero campo di sperimentare per la prima volta le classiche opere di Haydn, della Creazione e Le Stagioni. Abbegnaché il rinomato m(aestr)o Tommaso Marchesi ne fosse costituito Direttore, pure Rossini, alunno allora della scuola, poté assecondare il vasto suo genio specialmente nelle su menzionate Stagioni, la esecuzione delle quali venne a lui intieramente commessa. Prosperò l'Accademia specialmente mercé il favore del marchese Massimiliano Angelelli". Sulle accademie vocali e strumentali dei Concordi si vedano gli avvisi in VIII.30.3.1-2. Tra gli autori dei brani strumentali eseguiti spiccano i nomi di compositori come Beethoven e Haydn.
142 La recensione compare sulla "Gazzetta di Bologna" (n. 23 del 1808); la partitura originale de La battaglia di Jena si conserva presso l'Archivio dell'Accademia Filarmonica. L'esecuzione, di grande impatto emotivo (si tratta di 34 numeri musicali descriventi le varie fasi della battaglia, ciascuno dei quali viene introdotto dal suono della grancassa), piacque molto e l'autore, Michele Giovambattista Braun, fu oggetto di poetici omaggi (vedi X.47.40-41). Forse venne ripetuta al teatro Felicini, come lascerebbe supporre la lettura di un altro sonetto (in X. 47.42), rivolto a Gaetano Dalla Noce, nuovo proprietario appunto del Felicini.
143 Cfr. La Creazione del mondo. Oratorio sacro, musica del sig. maestro Giuseppe Haydn, da eseguirsi in Bologna nella Sala dell'Accademia dei Concordi la sera delli 6 aprile 1808, Bologna, Fratelli Masi, s.a. (CMBM, libr. 2516) e Le Quattro Stagioni poste in musica dal sig. maestro Giuseppe Haydn che l'Accademia dei Concordi nella universale esultanza per la nascita del re di Roma festeggiando un sì fausto avvenimento farà eseguire nella grand'aula del Liceo filarmonico nel maggio del 1810, Bologna, tipografia Ramponi, s.a. (CMBM, libr. 2524). Nel caso della Creazione, si tratta della prima esecuzione in Italia, per quanto riguarda Le Quattro Stagioni l'esecuzione bolognese seguì di un anno quella data al Conservatorio di Musica di Milano.
144 Vedi avviso a stampa e relativi inviti in VIII.31.1-3.
145 Dopo il 1815 il palazzo Felicini venne acquistato da Giuseppe Mazzacorati che non parve troppo intenzionato a mantenere in funzione l'annesso teatro limitandosi ad ospitare, per qualche anno ancora, società private di declamazione e di musica come appunto l'accademia degli Armonici (vedi avvisi in VII.20.59 e 61-62; VI.30.14-16, un invito non intestato in IX.44.26, e sonetti per le giovani che vi si esibirono, Teresa Ruggeri e Albina Stella, in X.47.87-88). Luigi Bortolotti fu accademico Filarmonico e più volte eletto Principe; la Ruggeri e la Stella, diplomate giovanissime al Liceo filarmonico, fecero poi carriera come cantanti. A documentare un'attività musicale presso la sala del teatro Legnani, per altro ignorata, restano un avviso e un invito in VIII.30.11.2 e 4).
146 Cfr. G.GUIDICINI, Cose notabili cit., I, pp. 165-166. Per estinzione della famiglia Calderini nel 1786, il palazzo passò in eredità al sen. Francesco Pio Ghisilieri e in seguito fu venduto dal figlio di quest'ultimo ad Emilio Loup. Per notizie biografiche su Emilio Loup (1781-1858), si veda LAZZARO BALDINI,Perché cara ed etera duri la memoria di Emilio Loup, Bologna, Tipi Gov. della Volpe e del Sassi, s.a. [1858]; per il suo contributo al progresso agricolo nel territorio bolognese si rimanda a LUIGI DEL PANE, Economia e società a Bologna nell'età del Risorgimento, Bologna Zanichelli, 1969. Dalla lettura delle cronache ricaviamo non solo che nel corso del XVIII secolo a palazzo Calderini si diedero rappresentazioni ma anche che il senatore Federico Calderini ebbe velleità teatrali come attore (vedi ode in X.47.1).
147 Questa accademia, detta inizialmente Drammaturgica, costituitasi nel 1808, ebbe sede nel teatrino di via Saragozza. In seguito, essendo di anno in anno aumentato il numero degli spettatori abbonati, mutò ragione sociale (vedi VII.23.40-41) e preferì tenere i suoi corsi di recite in locali più capienti come il teatro Marsigli o il Contavalli.
148 Cfr. "Gazzetta di Bologna", n. 44 del 1824, s.v. Accademia filodrammatica bolognese.
149 L'intero fascicolo riguardante l'apertura del teatro Loup si conserva in ASBo, Archivio Legazione Apostolica. Atti generali, tit. XXVI, a. 1827. Il firmatario della lettera, Giuseppe Antonio Ungarelli, uomo di fiducia del Loup, era stato nominato 'presidente' dell'Accademia Filodrammatica. Allegato alla petizione si trova l'elenco degli associati nel quale figurano i nomi di prestigiosi esponenti della Bologna 'restaurata': nobili, possidenti, professionisti, intellettuali, molti dei quali di sentimenti liberali.
150 Carlo Bruera (1768-1840), decano dei dilettanti bolognesi, si era distinto nel periodo giacobino sulle scene del Teatro Civico, si era poi affermato come eccellente interprete in diverse formazioni fino al 1820, anno in cui aveva smesso di recitare ed aveva assunto l'incarico di direttore dell'Accademia Filodrammatica. In questo ruolo istruì una intera generazione di dilettanti, alcuni dei quali passarono al professionismo. In occasione dell'apertura del teatro Loup il Bruera, nella duplice veste di istruttore e regista, ricevette in omaggio un sonetto (vedi XI.48.122).
151 Cfr. "Teatri, Arti e Letteratura", n. 193 del 1828 e "Gazzetta di Bologna", n. 12 del 1828.
152 Di quasi tutte le opere in musica date al teatro Loup vennero stampati i libretti; per il Tancredi (vedi VII.22.1) e per Il nuovo Figaro furono invece distribuiti dei pieghevoli.
153 Fu Emilio Loup a scoprire l'eccezionale talento musicale di Giuseppe Manetti (1802-1858), da lui assunto giovanissimo come aiuto computista. Gli concesse infatti tempo e mezzi per prendere lezioni di contrappunto e violino, quindi gli affidò l'incarico di istruire una orchestra stabile nel suo teatro. Manetti poi partecipò al concorso per l'incarico, rimasto vacante, di docente di violino al Liceo filarmonico e primo violino e direttore d'orchestra del teatro Comunale (i due incarichi erano collegati) e lo vinse nel 1839. Fu ottimo insegnante e dalla sua scuola uscirono violinisti di fama come Cesare Rossi, Carlo Verardi, Leone Sarti ed Elide Cocchi. Certo per sua iniziativa, al teatro Loup si tennero di tanto in tanto accademie vocali e strumentali come quella in cui si esibì Giulia Parravicini "professora" di violino (vedi VII.22.2).
154 Si veda il programma dettagliato dello spettacolo in VII.22.3. Pochi giorni appresso, gli allievi del maestro Lucca eseguirono nuovamente il loro saggio che venne posto a conclusione di una recita, da parte degli Accademici Solerti, del dramma storico Salvator Rosa di Agamennone Zappoli, dato a vantaggio dell'autore da poco rientrato in patria dall'esilio.
155 Per un profilo biografico e l'elenco delle sue composizioni, si rimanda a M. CALORE, Francesco Sampieri (1790-1863), dilettante di musica e amico di Rossini, "Il Carrobbio", XVIII (1992), pp. 84-92.
156 Il 'Casino della Nobiltà' non fu certo una peculiarità bolognese ma un tipo di associazione aristocratica privata assai diffuso nel '700, costituita allo scopo di prendere in affitto e mantenere in funzione (mediante il versamento di una quota da parte dei singoli partecipanti) una sede ove incontrarsi, conversare, giocare a carte, organizzare trattenimenti, al di fuori delle formalità e soprattutto della portata di occhi indiscreti. Nella Bologna settecentesca il primo Casino Nobile ebbe sede a palazzo Casali in via Miola. Durante il periodo giacobino esso venne rimpiazzato da un Casino Civico, che nei primi anni dell'Ottocento assunse il nome, di stampo massonico, di Società degli Amici, dalla quale ebbe origine nel 1809 la Società del Casino. Sulle origini e gli orientamenti politici di questa Società si rimanda a due saggi fondamentali e documentatissimi di GIOVANNI MAIOLI, La Società del Casino di Bologna (1788-1864), "Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia patria per l'Emilia e la Romagna", IV (1939), pp. 61-105, e di SILVIA BENATI, Un affresco politico-sociale: la Società del Casino (1808-1823), "Bollettino del Museo del Risorgimento", XLIV-XLV, 1999-2000, pp. 27-131.
158 La nascita del Re di Roma. Cantata da eseguirsi nel Casino di Bologna il dì V luglio dell'anno 1811, festeggiandosi dalla Società del medesimo l'Epoca Memorabile, offerta al Signore Luigi Querini Stampalia Consigliere di Stato, Prefetto del Dipartimento del Reno […], Bologna, Sassi, s.a. (CMBM, libr. 4990). Rientra nella fase degli spettacoli 'auto promozionali' anche la rappresentazione estiva di Oscar e Malvina nella settecentesca villa di famiglia, circondata da vasto parco all'inglese (odierno Parco Talon), posta in altura alle porte di Casalecchio, con cui il Sampieri volle far conoscere ai concittadini il suo primo melodramma che era stato appena rappresentato a Milano. Per l'occasione vennero stampati avvisi e dispensati biglietti d'invito (vedi VIII.34.1-3).
159 Cfr. Statuti della Società del Casino in Bologna, Bologna, Sassi, 1823.
160 Cfr. La Creazione del Mondo, oratorio sacro. Musica del celebre maestro Giuseppe Haydn da eseguirsi nella Società del Casino di Bologna nella corrente quaresima dell'anno 1819, Bologna, Sassi, s.a. (CMBM, libr. 2518). Le voci soliste furono di Carolina Neri Passerini, Tommaso Ricci, Domenico Patriossi con Tommaso Marchesi maestro al cembalo e direttore della musica. Dell'esecuzione de Le Sette parole di Cristo sulla Croce restano entusiastiche recensioni sui periodici ma non venne stampato il libretto.
161 Un ampio panorama degli spettacoli musicali offerti dalla Società del Casino si può vedere nel saggio della scrivente intitolato: Attività musicali alla Società del Casino di Bologna, "Strenna Storica Bolognese", XLIX, 1999, pp. 151-172.
162 Mosé oratorio sacro, musica recentemente composta in Parigi dal celebre Maestro Rossini, da cantarsi come accademia nelle sale della Società del Casino in Bologna l'anno 1829 sotto la direzione del Maestro Francesco Sampieri, Bologna, Sassi, s.a. (CMBM, libr. 4754) e Guglielmo Tell. Melodramma tragico del Maestro Cavaliere Rossini da cantarsi come accademia nelle sale della Società del Casino di Bologna la quaresima del 1836 sotto la direzione del Maestro sig. marchese Francesco Sampieri accademico Filarmonico […], Bologna, della Volpe e Sassi, s.a. (CMBM, libr. 4828).
163 Il ciclo di recite (vedi avvisi in III.12.3-4) venne proposto a fine carnevale del 1834 da una formazione composita di dilettanti, alcuni dei quali, come Camillo Querzoli, appartenenti all'Accademia Filodrammatica del teatro Loup, altri scelti all'interno della Società del Casino (Santerre, Zappi, ecc. ).
164 I principi Elisa, Carlo e Giuseppe Poniatowski, originale famiglia di nobili polacchi trapiantati a Firenze e assai benvoluti alla corte granducale, ebbero indubbie doti musicali. I due fratelli Giuseppe e Carlo, si dilettarono di canto e composizione mentre Elisa Montecatino, moglie di Carlo, fu eccellente soprano. Insieme costituirono una società allo scopo di mettere in scena spettacoli melodrammatici il cui ricavato era destinato alla beneficenza (vedi XI. 48.195). Godettero di vasta popolarità ma dilapidarono un patrimonio.
165 Per l'attività di Luigi Ploner (1801-1856) come attore dilettante, direttore della filodrammatica dei Concordi e drammaturgo si rinvia alla nota introduttiva al volume Risorgimento e teatro cit., e in particolare alle pp. 79-82. L'atto unico intitolato Gran serata di beneficio si può leggere nella Raccolta delle opere drammatiche di Luigi Ploner bolognese, Bologna, Società Tipografica Bolognese, 1854.
166 Le 'beneficiate' erano fuori abbonamento, pertanto era necessario stampare di volta in volta degli avvisi straordinari (di cui la presente raccolta offre un'ampia rassegna), riproducenti il programma previsto per la serata, consistente il più delle volte in spericolati assemblaggi.
167 Vale la pena citare almeno tre raccolte bolognesi cui viene attribuito un notevole valore documentario: La scena illustrata (Bologna, Tebaldi, 1634) tutta dedicata ai Comici Affezionati in trasferta a Bologna nel Teatro della Sala; Le glorie della Musica celebrate dalla sorella Poesia, rappresentandosi in Bologna la Delia, e l'Ulisse nel teatro degl'illustri Guastavillani (Bologna, Ferroni, 1640) che attesta l'avvenuta inaugurazione del teatro Guastavillani, meglio noto come Formagliari, con la messa in scena di due prototipi del dramma in musica veneziano; Applausi canori di Pindo alla signora Caterina Porri romana, cantatrice impareggiabile, honore della musica, decoro della scena e gloria dell'Herismena rappresentata da lei in Bologna nel teatro Guastavillani (Bologna, Ferroni, 1656) che costituisce un modello per la trasformazione della virtuosa di canto in fulcro della scena.
168 Fanno eccezionalmente parte della presente raccolta un paio di esemplari di omaggi poetici settecenteschi diretti a nobili dilettanti, gli uni impegnati nelle recita di tragedie francesi in teatrini domestici (vedi X.47.1), gli altri, guidati dall'infaticabile marchese Francesco Albergati, recitanti in teatrini di villa (vedi X.47.3 e 8).
169 Dagli anni '40, la pubblicazione di omaggi poetici rivolti ad artisti di teatro venne delegata sempre più di frequente a periodici specializzati come "Arti, Teatri e Letteratura" e successivamente "L'Arpa".
170 Cfr. RENZO RENZI, Il divismo delle cantatrici, in Due secoli di vita musicale. Storia del teatro Comunale cit., I, pp.191-205. Tra gli omaggi alle cantanti, sono qui quasi del tutto assenti quelli composti in onore di Maria Malibran, che sappiamo invece furono numerosissimi, alcuni dei quali scritti in dialetto sotto forma di 'zirudelle'. Altrettanto assenti risultano quelli diretti ad alcune étoiles della danza come Maria Taglioni, Fanny Cerrito, Fanny Elssler, Amalia Ferraris, Olimpia Priora, intorno alle quali si formarono anche a Bologna opposte fazioni di estimatori. Va ricordato infine che, contemporaneamente alla dispensa nei teatri di questi fogli volanti, andavano a ruba nei negozi di musica i ritratti incisi dei vari beniamini delle scene.
171 Il piccolo nucleo di componimenti poetici rivolti ad Amalia Bettini (vedi XI.48.149 e XI.48.167-170) riveste un particolare interesse locale in quanto testimonia l'affetto e la riconoscenza dei Bolognesi nei confronti di questa grande attrice, ritiratasi anzitempo dalle scene a seguito delle nozze con il bolognese Francesco Minardi, ma disposta ancora a recitare a favore di ex colleghi in difficoltà o a fianco di gruppi di dilettanti impegnati a raccogliere fondi per iniziative benefiche e patriottiche.
172 Cfr. sonetti in X.47.61-63 e 66-67. Il teatro dei Cavalieri Associati di Imola progettato dall'architetto di Cosimo Morelli nel 1779 ebbe vita assai breve poiché un incendio lo distrusse nel 1797. Gli spettacoli proseguirono in locali provvisori per un buon decennio finché non si provvide, utilizzando l'area dell'ex chiesa di S. Francesco, alla costruzione di un nuovo teatro che prese il nome di teatro di Cerere e venne inaugurato nella tarda estate del 1812. Esso rimase in funzione per soli tre anni quindi venne fatto chiudere per decreto di Pio VII in quanto occupante un'area consacrata, e solo nel 1831 poté riprendere l'attività.
173 Cfr. sonetto in XI.48.163. Per l'attività del teatrino della Pieve, ubicato come altri all'interno del Palazzo Comunale si rimanda al volume Il teatro e la musica a Pieve di Cento, a cura di Adriano Orlandini, Bologna, Costa Editore, 2000. Per un approfondimento sull'intensa vita teatrale a Cento si rinvia ai due volumi di ADRIANO ORLANDINI, Cinque secoli di musica nella terra di Cento, Cento, Cassa di Risparmio di Cento, 1989. Alla rappresentazione della Lucia donizettiana nel 1845 si riferiscono i sonetti in XI.48.166-171.
174 Cfr. LUIGI SAMOGGIA, Il teatro pubblico di Medicina nei secoli XVII e XVIII: Francesco Albergati e Carlo Goldoni, "Il Carrobbio", IV (1978), pp. 395-410. Alle recite del marchese Albergati nel teatro pubblico di Medicina allude anche il sonetto X.47.3.
175 Cfr. CHARLES DE BROSSES, Viaggio in Italia, trad.it. di Bruno Schacherl, Bari, Laterza, 1973, pp. 165-167. Il de Brosses, presidente del Parlamento di Borgogna, intellettuale amante delle arti e ben introdotto in società, compì un viaggio in Italia tra il 1739 e il 1740 e ne trasse delle annotazioni che, sotto forma di lettere, formano un volume prezioso per le notizie di prima mano e le spiritose osservazioni che contiene.
176 La programmazione di un'opera in musica durante il periodo della fiera (e il discorso vale per Reggio Emilia come per Senigallia, per Cento come per Lugo di Ravenna, ecc.) fu un espediente molto usato sia per accrescere il prestigio e l'interesse nei confronti della fiera stessa, sia per attirare un consistente numero di 'forestieri' melomani.
177 A titolo d'esempio si suggerisce il saggio della scrivente: Teatro e musica a Crevalcore tra Settecento e Ottocento, in Crevalcore. Percorsi storici, a cura di Magda Abbate, Bologna, Costa Editore, 2001, pp. 291-328.
178 Si ricordino le tournées compiute dai Dilettanti del Marsigli e del Felicini al teatro di Budrio tra il 1804 e il 1805, già altrove menzionate, o ancora nel 1828 quella di non precisati 'giovani bolognesi' invitati a recitare nel teatrino di Sant' Agata Bolognese (vedi XI. 48.133).