Loriano Macchiavelli, Coscienza sporca (1995)
Nell’immagine la copertina della prima edizione di Coscienza sporca, che esce in un momento molto particolare per la città - e in particolare per alcune sue istituzioni - come avremo modo di vedere. L’attualità della cronaca sembra superare la fantasia dei romanzi che Macchiavelli pubblica ormai dal 1974 e in cui si smonta il mito di Bologna isola-felice. Come recita il risvolto della sovraccoperta:
«Investigatore disilluso, ma cocciuto e donchisciottesco come i grandi eroi della sua risma, tutti eredi di Philip Marlowe, ciò che Sarti Antonio mette a nudo, con assoluta spietatezza, è la “coscienza sporca” di un’intera città».
Una nuova edizione del romanzo viene pubblicata nel 2016 ancora da Mondadori, con una nuova copertina.
Loriano Macchiavelli, Coscienza sporca, Milano, Mondadori, 1995.
Collocazione: 20. Q. 1544
Loriano Macchiavelli, Stop per Sarti Antonio (1987)
Prima di parlare di Coscienza sporca è necessario fare un passo indietro a un romanzo uscito nel 1987, intitolato Stop per Sarti Antonio. Come altri grandi autori di polizieschi prima di lui, alla fine di questo libro Macchiavelli - desideroso di dedicarsi a nuovi progetti, come la trilogia di cui fa parte Strage - fa morire colui che nel 1987 era già stato protagonista di numerosi suoi romanzi e racconti. O meglio: il narratore nelle ultime pagine abbandona Sarti Antonio con la pistola dell’americano John Smith - misterioso americano piombato a Bologna - puntata in faccia, dando per scontato che sarà ucciso. Il suono dello sparo che sente mentre si allontana lo convince che il questurino sia morto. Con questo finale sospeso si chiude Stop per Sarti Antonio: venendo a mancare il protagonista, non viene nemmeno raccontata al lettore la soluzione del caso. Solo qualche mese dopo l’uscita del libro, dietro insistenze dei lettori, Macchiavelli pubblica - sul numero di aprile 1988 del periodico «Febbre gialla» - un breve racconto in cui il narratore va a trovare Rosas, che gli svela la soluzione del caso narrato nel romanzo.
Rimane il fatto che Sarti Antonio nelle intenzioni di Macchiavelli ha concluso così la sua carriera di questurino. Ma non quella di personaggio letterario, dal momento che negli anni successivi lo scrittore continua a pubblicare racconti o romanzi brevi in cui compare Sarti, ma colto in momenti della sua vita precedenti l’incontro fatale con John Smith. A partire dal 1991 poi la RAI manda in onda la prima serie TV con protagonista Gianni Cavina (di cui parleremo prossimamente) che rilancia il successo del personaggio. Alla fine, come gli stessi altri grandi autori di poliziesco prima citati, Macchiavelli capitola e fa risorgere Sarti Antonio proprio in Coscienza sporca. Diversamente da quegli autori però lui decide di non dare spiegazioni: le prime pagine del nuovo romanzo infatti ripropongono le ultime di Stop per Sarti Antonio, che il narratore commenta così:
«Così sono andate le cose quando ho deciso di non guardare in faccia la morte del mio questurino. Mi stava troppo a cuore per vederlo morire.
Ma non è andata come avevo immaginato e me lo sono ritrovato dinanzi e da quel momento ho deciso che le cose non sono come appaiono. Mi è rimasta la curiosità di sapere come sia sfuggito a quel colpo di pistola. [...]
Prima o poi me lo racconterà» (p. 12-13)
In realtà le cose andranno diversamente. Né Sarti, né il narratore, né Macchiavelli racconteranno mai come il questurino si sia salvato. In Coscienza sporca si trova un unico riferimento all’accaduto, nel decimo capitolo della seconda parte, una breve frase che ribadisce che «Quell’episodio resterà un mistero» (p. 88). Da quel momento sarà come se la cosa non fosse mai successa. Forse anche per gettare una coltre di oblio sulla vicenda e non creare confusione nel lettore, Stop per Sarti Antonio finora non è più tornato sugli scaffali delle librerie da quel lontano 1987. Un peccato anche perché il romanzo prende spunto da quelli che agli inizi degli anni Ottanta sono stati chiamati “i delitti del DAMS”, culminati - almeno secondo alcuni osservatori della cronaca nera - nell’omicidio di Francesca Alinovi. Anche in questo caso quindi Macchiavelli costruisce la narrazione su un caso criminale bolognese, uno di quelli che hanno destato maggiore interesse e scalpore, gettando un’ombra sinistra sulla città.
Si ringrazia la Biblioteca “Oriano Tassinari Clò” per averci fornito la riproduzione della copertina di Stop per Sarti Antonio.
Loriano Macchiavelli, Un poliziotto una città (1991)
Quando, nell’immagine precedente, abbiamo raccontato la vicenda di morte e resurrezione di Sarti Antonio, abbiamo un po’ semplificato le cose. Nei sette anni intercorsi fra Stop per Sarti Antonio e Coscienza sporca ci sono infatti due momenti in cui Macchiavelli torna a parlare della morte del proprio personaggio.
Il primo è il volume Un poliziotto una città di cui qui vediamo la copertina, che contiene alcuni dei racconti da cui sono state tratte le puntate del già citato telefilm targato RAI con protagonista Gianni Cavina. Nell’introduzione (che oggi può essere letta online) lo scrittore ribadisce che Sarti è morto nel 1987 - anzi il 3 aprile 1987 - e che non ha intenzione di farlo tornare in vita:
«La presente raccolta non è dunque la resurrezione di Sarti Antonio, sergente, il quale è finalmente crepato per la gioia di chi non l’ha capito e non l’ha amato. Si tratta di cinque dei tredici racconti che sono serviti di base agli sceneggiatori televisivi per il loro lavoro. Racconti che il 3 aprile 1987 erano già scritti e in attesa di pubblicazione».
Macchiavelli deve però cedere al crescente successo del personaggio televisivo, che naturalmente trascina con sé la richiesta di nuove storie di carta. E così, prima ancora che in Coscienza sporca, Sarti torna in La ghironda dagli occhi azzurri, romanzo breve pubblicato originariamente nella raccolta Sarti Antonio un poliziotto una città, titolo solo simile a quello del volume di cui qui vediamo la copertina ma uscito per Mondadori nel 1994. Nelle pagine introduttive di questo testo (che oggi può essere letto anche in 33 indagini per Sarti Antonio, p. 597-695) la questione della morte del questurino è appena più approfondita che in Coscienza sporca. Il narratore si reca a casa di Sarti per chiedergli spiegazioni, ma lui ostinatamente si rifiuta di darne. Quindi neanche in quelle pagine troviamo indizi per capire come se la sia cavata di fronte alla pistola di John Smith in Stop per Sarti Antonio. Da notare che in Coscienza sporca il narratore parla della morte di Sarti senza mostrare minimamente di averlo già fatto in La ghironda dagli occhi azzurri, forse pensando che per molti lettori quel testo fosse rimasto sconosciuto e quindi la questione andasse affrontata di nuovo.
Per maggiori dettagli su come Macchiavelli ha gestito la morte e resurrezione del personaggio si vedano il già citato 33 indagini per Sarti Antonio e Loriano Macchiavelli. Un romanziere una città.
Loriano Macchiavelli, Un poliziotto una città, Milano, Rizzoli, 1991.
Collocazione: 34. C. 6853
Il caso Murri
La vicenda narrata in Coscienza sporca è costruita su quello che Macchiavelli definisce un assurdo caso di ricorso storico. La dinamica dell’omicidio del professor Sacente, architetto, mima infatti in maniera dettagliata e precisa un caso di cronaca nera avvenuto circa 90 anni prima: il delitto Murri. I fatti sono noti. Il conte Francesco Bonmartini, marito di Linda Murri - figlia del luminare della medicina Augusto Murri che vediamo qui fotografato in un ritaglio di giornale - viene trovato ucciso il 2 settembre 1902. Le indagini individuano nel fratello di lei, Tullio, l’assassino, e in Linda stessa l’istigatrice del delitto. Facile notare come i personaggi del romanzo siano lo specchio di quelli coinvolti nel caso reale.
La coincidenza fra i due delitti - quello di inizio Novecento e quello raccontato nel romanzo - è tale che si verificano nello stesso luogo - Palazzo Bisteghi - e nello stesso giorno, il 28 agosto. Sarà Rosas a fare notare a Sarti questa coincidenza, cogliendo l’occasione per denigrare l’ignoranza storica del questurino, che non aveva assolutamente pensato al vecchio delitto, pur molto noto.
Il caso Murri infatti aveva destato grandissimo interesse non solo a Bologna e non solo in Italia, come vedremo, dando il via a numerose polemiche che avevano coinvolto anche la politica bolognese e opposte concezioni della “moralità”. Anche il processo del 1905 era diventato una sorta di spettacolo pubblico dibattuto in ogni suo dettaglio.
Nelle prossime immagini vedremo alcuni documenti che permettono di illustrare il caso Murri e di riflettere sul motivo per cui Macchiavelli abbia deciso di costruire su di esso il romanzo del 1995.
La documentazione sul caso è abbondantissima e non abbiamo nessuna pretesa di esaustività. Per un primo inquadramento degli avvenimenti possono essere utili:
Il delitto Murri. Documenti, foto e testimonianze originali con 53 lettere di Augusto Murri di Roiss;
Il processo Murri di Renzo Renzi;
l’articolo di Nicola Tranfaglia Un delitto di gente per bene. Il processo Murri (1902-1905) contenuto in La criminalità, dodicesimo volume degli Annali della Storia d’Italia di Einaudi;
Il caso Murri. Una storia italiana di Valeria P. Babini;
La verità sulla mia famiglia e sul delitto Murri, scritto in età avanzata da Gianna Murri, figlia di Tullio Murri, che racconta una nuova versione dei fatti che scagionerebbe il padre.
Il caso Murri ha suscitato grande interesse anche negli ultimi decenni, come dimostrano le numerose narrazioni della vicenda realizzate con media diversi dalla stampa. A solo titolo esemplificativo citiamo il film di Mauro Bolognini Fatti di gente perbene (1974, con Giancarlo Gianni e Catherine Deneuve) e lo spettacolo teatrale Il caso Murri. “Il bel delitto di Bologna”, a cura di Francesco Cardile, tenutosi nel 2023 presso il Teatro Duse di Bologna. Ricordiamo infine il progetto fotografico, tutt’ora in corso, A respectable Family - The Murri Affair di Annalisa Natali Murri, pronipote di Tullio, che rilegge il caso attraverso le fotografie di famiglia.
Prof. Augusto Murri, foto del sig. Nino Fornari.
Collocazione: GDS. Collezione dei Ritratti, cart. 41, fasc. 62, n. 1
Ladislao Münster, La via scabrosa che condusse Murri alla cattedra di Bologna (1955)
Quando il conte Bonmartini viene ucciso nel 1902, il suocero Augusto Murri è al culmine della propria carriera di medico ed è senza dubbio uno dei personaggi più importanti ed influenti a Bologna. L’opuscolo di cui qui vediamo il frontespizio - trascrizione di un intervento tenuto da Münster al Primo Convegno della Marca fermana di storia della medicina del 26-27 marzo 1955 - racconta come Murri sia arrivato a questa posizione privilegiata solo dopo un cammino non facile, superando molti ostacoli e mostrando grandissime doti non solo in campo strettamente scientifico ma anche in quello didattico. Una delle prime prove che gli si parò davanti infatti fu proprio quella di dovere conquistare il favore degli studenti quando nel 1876 divenne direttore della Clinica medica. Prova brillantemente superata a partire da un discorso tenuto il 19 gennaio 1876 che destò l’entusiasmo di tutti i presenti.
Ladislao Münster, La via scabrosa che condusse Murri alla cattedra di Bologna, Fermo, Tipografia Properzi e Spagnoli, [1955?]
Collocazione: 17-SC.LETT. MEDICINA A. 07, 012
Augusto Murri, La clinica come scienza e come arte (1876)
In quello stesso 1876 in cui arriva a Bologna Murri inizia il suo insegnamento presso l’Università. In questa immagine vediamo la copertina della trascrizione della sua lezione introduttiva al primo corso di Clinica medica da lui tenuto, dall’evocativo titolo La clinica come scienza e come arte, che può essere letta integralmente online.
Augusto Murri, La clinica come scienza e come arte. Prelezione al corso di Clinica medica nella Università di Bologna detta il 20 novembre 1876, Firenze, Tipografia Cenniniana, 1876.
Collocazione: 10-SC. MEDICHE B. 3, 30
In onore di Augusto Murri: 1876-1902
All’inizio di quel 1902 che per lui diventerà nel giro di pochi mesi un anno infausto, Augusto Murri festeggia i 25 anni del suo lavoro di clinico e insegnante a Bologna e la città lo celebra come merita. Nell’immagine vediamo il menu di una cena offerta in suo onore al Grand Hôtel Brun. Un dettaglio da non trascurare: l’invito porta il nome di Alberto Dallolio che in quel momento è - ancora per pochi mesi - sindaco di Bologna.
Per vedere l’intero biglietto di invito a una migliore risoluzione cliccare qui.
In onore di Augusto Murri: 1876-1902Bologna, Zamorani e Albertazzi, [1902]
Collocazione: 34. F. 2313
Augusto Murri, Per la scienza. Parole dette dal prof. Augusto Murri il 19 gennaio 1902 nell'Archiginnasio
In quello stesso 19 gennaio 1902 in cui si svolse la cena in suo onore - e che celebrava l’anniversario del suo primo discorso bolognese ricordato da Lasdislao Münster nell’articolo visto in precedenza - Augusto Murri tenne un discorso intitolato Per la scienza proprio fra le mura dell’Archiginnasio.
Per la scienza. Parole dette dal prof. Augusto Murri il 19 gennaio 1902 nell'Archiginnasio di Bologna, Bologna, Tipografia Gamberini e Parmeggiani, 1902.
Collocazione: MALVEZZI 94/15
Augusto Murri in Archiginnasio... sul grande schermo
L’opuscolo citato nell’immagine precedente offre l’occasione per un piccolo excursus cinematografico.
Come detto in precedenza, nel 1974 Mauro Bolognini gira, naturalmente a Bologna, il film Fatti di gente perbene, che ricostruisce il delitto Murri e gli eventi successivi. Una delle scene del film, come si può vedere in questo fotogramma, viene realizzata nel Teatro Anatomico dell’Archiginnasio. Augusto Murri, interpretato da Fernando Rey, tiene un discorso di fronte a un folto pubblico. Il delitto si consumerà solo qualche tempo dopo, possiamo quindi ipotizzare che ci si trovi nei primi mesi del 1902. Ma quello che sorprende è il contenuto del discorso del Murri cinematografico, che riprende pienamente quello dell’opuscolo visto nell’immagine precedente, cioè la trascrizione delle parole dette dal professore in Archiginnasio in occasione dei festeggiamenti per i suoi 25 anni di insegnamento all’Università di Bologna. Nel film come nelle pagine dell’opuscolo Murri richiama all’importanza della scienza e di un’ottica improntata alla razionalità e alla logica nella gestione delle cose private ma ancor più di quelle pubbliche. Una fiducia nella scienza non acritica e cieca, consci del fatto che non si deve cadere nella «allucinazione di creder tutto chiarito» (p. 11), ma che non può essere messa in dubbio in nome di una irrazionalità pericolosa e che esalti l’ignoranza scientifica.
Quel brano cinematografico sembra davvero costruito partendo dall’opuscolo.
Del film si trovano notizie - insieme a un breve scritto del regista Mauro Bolognini - nel volume che al caso Murri ha dedicato Renzo Renzi, fondatore della Cineteca di Bologna, che confessa nell’introduzione di avere a lungo accarezzato lui stesso l’idea di girare un film sul caso.
Segnaliamo inoltre l’articolo La città rivisitata da Josìa per il film sul "caso Murri", pubblicato da Elena Gottarelli su «Bologna incontri» (n. 6 del 1974, p. 24-25), in cui vengono fatti alcuni esempi di come lo scenografo Guido Josìa abbia lavorato in diverse locations per ricostruire la Bologna di inizio Novecento. Il Teatro Anatomico va sicuramente annoverato fra i luoghi in cui gli interventi furono minimi, grazie al lavoro di ricostruzione che lo aveva riportato alla struttura originale dopo il grave bombardamento subito nel 1944. Fra i luoghi utilizzati per le riprese anche il palazzo della ex Sala Borsa, oggi sede della biblioteca Salaborsa, in cui venne ricostruito l’interno di una buvette.
Fatti di gente perbene, regia di Mauro Bolognini, sceneggiatura di Sergio Bazzini e Mauro Bolognini, Roma, Filmarpa, Parigi, Lirafilm, 1974.
La tragedia di via Mazzini - Il Resto del Carlino
Quando viene scoperto il cadavere del conte Bonmartini (che in realtà conte si fa chiamare, ma non lo è) la prima ipotesi avanzata dalle indagini è che si tratti di un delitto comune, una rapina finita male a causa della reazione della vittima. Nei primi giorni quindi il caso occupa uno spazio limitato sui giornali. L’interesse sale di livello quando si inizia a ipotizzare la colpevolezza di Tullio Murri e ancora più quando la sorella Linda viene accusata di essere la mandante dell’omicidio.
Se si scorrono le pagine che il «Resto del Carlino» dedica al delitto dal 3 al 18 settembre - ricordiamo che Bonmartini è stato ucciso il 28 agosto ma il cadavere venne scoperto solo il 2 settembre - è facile intuire come i lettori fossero ogni giorno più desiderosi di conoscere le novità delle indagini, che vengono puntualmente e dettagliatamente riportate sulle colonne del quotidiano bolognese. La notizia occupa sempre più spazio fino ad arrivare a occupare quasi un’intera pagina nel numero del 17-18 settembre. Da un certo momento tutti gli articoli dedicati al delitto hanno un titolo unico, La tragedia di via Mazzini (la palazzina Bisteghi, luogo dell’assassinio, si trova appunto in via Mazzini, oggi Strada Maggiore, al n. 39). Sembra quasi di trovarsi di fronte a uno di quei romanzi a puntate - spesso incentrati proprio su casi sensazionali e criminali - che in quei tempi riempiono le colonne dei giornali e che saranno l’embrione da cui nascerà e si affermerà il genere poliziesco.
L’immagine che mostriamo la rivedremo più volte, pur con alcune variazioni. In questo caso fra i protagonisti manca Linda Murri che nel momento in cui questo disegno viene pubblicato non è ancora stata arrestata.
«Il Resto del Carlino», 3-18 settembre 1902
Collocazione: 19/1
Lo scontro politico-sociale
La breve rassegna di articoli de «Il Resto del Carlino» mostrata in precedenza è solo un’esemplificazione di come i quotidiani, anche a livello nazionale, si interessino alla vicenda in maniera quasi morbosa. Continueranno a farlo negli anni successivi, fino e oltre il processo del 1905. Ma la lettura degli articoli dei quotidiani mostra anche l’importanza rivestita dall’episodio criminale a livello politico e, più ampiamente, di dibattito sociale e morale.
Tullio Murri infatti era consigliere provinciale del Partito Socialista e direttore del periodico di partito «La Squilla». Alla notizia del suo arresto il caso quindi diventa immediatamente politico: il mondo cattolico in particolare si scaglia contro la condotta di vita di una famiglia di stampo progressista, banchettando sulle notizie che arrivano dall’indagine e che iniziano a coinvolgere anche il presunto amante di Linda Murri, il medico Carlo Secchi. Se a questo si aggiungono il vizio del gioco d’azzardo che divora Pio Naldi - amico e presunto complice di Tullio - e gli equivoci rapporti che intercorrono fra i protagonisti maschili della vicenda e le “servette” Tisa Borghi e Rosina Bonetti, ugualmente coinvolte, non è difficile dipingere un fosco quadro di immoralità e lussuria. Destino inevitabile per chi ha abbandonato la retta via della religione, compiendo anche scelte politiche che vogliono legittimare questa condotta immorale.
Paladino di questa posizione fortemente critica nei confronti della famiglia Murri è il quotidiano cattolico bolognese per eccellenza, «L’Avvenire d’Italia», che lancia la sua crociata e viene seguito da molti altri giornali in tutta Italia (si vedano i libri citati in precedenza per informazioni più dettagliate).
Non presentiamo pagine de «L’Avvenire d’Italia» perchè il quotidiano è consultabile online (per le annate fino al 1968) all’indirizzo: https://avvenireitalia.archivio-arcivescovile-bo.it/
A solo titolo esemplificativo potete leggere lo stralcio di un articolo - estratto dal numero del 18 settembre 1902 e intitolato L’assassinio del conte Bonmartini. Per formare l’ambiente. La politica nella giustizia - in cui «L’Avvenire d’Italia» si scaglia contro le «lubriche pubblicazioni socialiste», in uno scontro che ormai trascende il semplice fatto di cronaca criminale.
Questo scontro fra giornali ha una sua eco ben precisa in Coscienza sporca, non solo perché genericamente si allude spesso all’interesse suscitato dall’omicidio sulla stampa, ma perché a un certo punto (siamo nel secondo capitolo della parte terza del romanzo) è lo stesso Rosas che scende in campo per difendere con un articolo l’architetto Severino Muria - alter ego di Augusto Murri, con un passato di partigiano e un figlio assessore regionale per il PSI - dagli attacchi della stampa.
«L’Avvenire d’Italia», 18 settembre 1902
Collocazione: Sala 19 G.77
«Corriere illustrato della domenica», 21 e 28 settembre 1902
Naturalmente non sono solo i quotidiani ad occuparsi del caso Murri. Se questi hanno il vantaggio di potere aggiornare le notizie con tempestività, i settimanali illustrati possono sfruttare l’effetto visivo per attirare i lettori. Vengono pubblicati disegni e, in misura minore, fotografie dei personaggi del dramma, dei luoghi in cui si è svolto, di momenti ed eventi precisi.
Il «Corriere illustrato della domenica» dedica due copertine al caso Murri. Nella prima (n. 38 del 21 settembre 1902) viene proposta un’immagine tipica, il ritratto dei protagonisti della vicenda. Nella seconda (n. 39 del 28 settembre 1902) uno dei momenti di maggiore coinvolgimento emotivo per i lettori, L’arresto della contessa Teodolinda Bonmatini-Murri. Nella prima pagina di ognuno dei due fascicoli si trova un articolo dedicato al delitto.
Per leggere integralmente i due fascicolli cliccare qui.
«Corriere illustrato della domenica», IV, n. 38, 21 settembre 1902
«Corriere illustrato della domenica», IV, n. 39, 28 settembre 1902
Collocazione: 20. A. 164
«L’illustrazione italiana», 21 settembre 1902
Anche su «L’illustrazione italiana» compare l’immagine dei protagonisti del delitto, accompagnata da un breve riassunto dei fatti. Il giornale però compie un errore piuttosto sorprendente considerando che la pagina è del 21 settembre, quando ormai il caso è sulla bocca di tutti. Bonmartini infatti per ben due volte, nelle didascalie, viene chiamato Antonio e non Francesco.
Per vedere l’immagine a una migliore risoluzione cliccare qui.
«L’illustrazione italiana», XXIX, n. 38, 21 settembre 1902.
Collocazione: A. 2306
M. Cetto, La politica europea e la tragedia di bologna
Un altro settimanale, ma questa volta non si tratta di un periodico di cronaca ma umoristico, «La rana», pubblicato a Bologna. Il disegno di M. Cetto si intitola La politica europea e la tragedia di Bologna ed è accompagnato da versi che ironizzano sul fatto che l’interesse per il caso Murri ha superato quello per le questioni politiche. L’intreccio fra il lato privato di una tragedia famigliare e quello pubblico della discussione politica è centrale anche in Coscienza sporca, dal momento che il professor Sacente è implicato in loschi traffici di armi alimentati da governi e multinazionali votatesi a commerci illegali in nome del profitto.
Per vedere l’immagine a una migliore risoluzione cliccare qui.
«La rana», XXXVIII, n. 40, 3-4 ottobre 1902
Collocazione: G.S. 50
La tragedia di Bologna Bonmartini Murri (cartolina postale, 1902)
Il caso Murri diventa in fretta un argomento così discusso e di interesse pubblico che esce dalla dimensione della cronaca e diventa un fatto di costume, una sorta di simbolo della città. Lo dimostra questa cartolina, che ha timbro postale del 1902 e sul fronte riporta la scritta: «Vivi felice. G.»
L’iconografia è quella che ormai abbiamo incontrato in diversi documenti, caratterizzata dai ritratti dei protagonisti (quasi sempre la stessa immagine riprodotta in diverse tecniche e con diversa composizione). Qui si aggiunge l’immagine della palazzina di via Mazzini n. 39 in cui si è consumata la tragedia.
Per vedere l’immagine a una migliore risoluzione cliccare qui.
La tragedia di Bologna Bonmartini Murri, cartolina postale, Bologna, C.A. Pini, 1902
Collocazione: GDS, Raccolta Cartoline Parmeggiani, n. 612
I protagonisti del processo Murri-Bonmartini (manifesto, 1904)
Non ci sorprende rivedere i volti dei protagonisti del caso Murri, anche se in questo documento ai soliti cinque si aggiunge quello di Carlo Secchi, amante di Linda. Stupisce che questa volta non siamo di fronte a un’immagine su una rivista o a una cartolina, ma ad un manifesto che ha misura 70x50 cm, la cui produzione è un’ulteriore testimonianza di come il caso Murri fosse di grande interesse.
Un interesse rinnovato dall’imminenza del processo che si aprirà nel 1905 a Torino, in quanto si riteneva che a Bologna le pressioni della stampa e dell’opinione pubblica fossero troppo forti per arrivare a un giudizio sereno ed equilibrato. In realtà secondo molti lo spostamento del processo in Piemonte non impedì che i giudici fossero influenzati dalla già citata campagna denigratoria di buona parte della stampa nei confronti della famiglia Murri, Linda in primis.
Come si può vedere il manifesto è stato donato all’Archiginnasio nel 1918 da un collega di Augusto Murri, Raffaele Gurrieri, docente di Medicina legale all'Università di Bologna.
Per vedere l’immagine a una migliore risoluzione cliccare qui.
I protagonisti del processo Murri-Bonmartini svolgentesi alla Corte d’Assise di Torino, Bologna, Premiata Litografia Francesco Casanova, 1904.
Collocazione: 17. Cause criminali. Cart. X8, 33
Augusto Guido Bianchi, Autopsia di un delitto (1904)
Dopo i clamori e le emozioni della cronaca viene il tempo di analizzare il delitto in maniera più accurata e riflessiva, soprattutto nell’imminenza del processo. Questo Autopsia di un delitto di Augusto Guido Bianchi - che già nel titolo allude a un’idea di studio scientifico del crimine - esce nel 1904, quando l’emozione dell’evento dovrebbe essere evaporata in favore dell’analisi più pacata e oggettiva. Il volume presenta un interessante apparato iconografico di cui presentiamo una selezione nelle immagini successive.
Augusto Guido Bianchi, Autopsia di un delitto. Processo Murri-Bonmartini, Milano, Libreria Editrice Nazionale, 1904.
Collocazione: RABBI. E. 647
Il volume posseduto dall’Archiginnasio è mutilo della copertina. Ringraziamo la Biblioteca di San Giorgio in Poggiale di Bologna per averci fornito l’immagine della copertina concedendone l’utilizzo per questo lavoro.
Augusto Guido Bianchi, Autopsia di un delitto (1904)
A sinistra: Tre fotografie di LINDA MURRI
A destra: Il Dott. PIO NALDI. 1. una fotografia giovanile - 2. una fotografia recente - 3. autografo dal carcere
Per vedere l’immagine a una migliore risoluzione cliccare qui.
Augusto Guido Bianchi, Autopsia di un delitto. Processo Murri-Bonmartini, Milano, Libreria editrice Nazionale, 1904.
Collocazione: RABBI. E. 647
Augusto Guido Bianchi, Autopsia di un delitto (1904)
A sinistra: Il Prof. CARLO SECCHI. La testimone TISA BORGHI (da fotografdie recenti)
A destra: Il Conte Dott. FRANCESCO BONMARTINI
Per vedere l’immagine a una migliore risoluzione cliccare qui.
Augusto Guido Bianchi, Autopsia di un delitto. Processo Murri-Bonmartini, Milano, Libreria editrice Nazionale, 1904.
Collocazione: RABBI. E. 647
Augusto Guido Bianchi, Autopsia di un delitto (1904)
Il tentativo di ricostruzione scientifica del delitto - e quindi di arrivare alla soluzione con le armi della logica - è evidente nell’utilizzo della tavola che mostra le ferite riscontrate sul corpo della vittima.
A sinistra: 1. Il villino di S. Lazzaro - 2. Il villino Murri a Rapagnano - 3. Il villino Murri fuori Porta S. Stefano a Bologna
A destra: Le 13 ferite riscontrate sul cadavere
Per vedere l’immagine a una migliore risoluzione cliccare qui.
Augusto Guido Bianchi, Autopsia di un delitto. Processo Murri-Bonmartini, Milano, Libreria editrice Nazionale, 1904.
Collocazione: RABBI. E. 647
La tragedia di Bologna. L'assassinio del conte Bonmartini (1904)
Nel 1904 si registra anche l’approdo della storia del delitto Murri in una collana a fascicoli di grande diffusione popolare, edita da Sonzogno e intitolata I processi celebri illustrati di tutti i popoli. Si tratta di dispense settimanali di otto pagine, destinate o a essere consumate in fretta o, per chi se lo poteva permettere, a essere rilegate in volume. La narrazione del delitto, che viene intitolata La tragedia di Bologna. Il delitto Bonmartini, si snoda lungo 30 dispense - qui vediamo la pagina iniziale della prima - e include anche, nella parte finale, lettere e documentazione varia. Come in ogni pubblicazione destinata a un pubblico ampio e di qualunque classe sociale, grande importanza hanno le illustrazioni, soprattutto nelle prime dispense dedicate a ogni caso trattato. Molte di queste illustrazioni saranno poi riproposte nelle pubblicazioni che nei decenni successivi si occuperano dell’omicidio di Bonmartini. Nel 1905 la collana continua a raccontare gli eventi legati al caso, con una dettagliata narrazione del processo di Torino. Il titolo di questa seconda parte della storia è La tragedia di Bologna. Il processo Murri.
Nelle prossime immagini ci soffermeremo solamente su due illustrazioni tratte da La tragedia di Bologna. Il delitto Bonmartini. Per vedere una più ampia selezione di immagini cliccare qui.
La tragedia di Bologna. L'assassinio del conte Bonmartini, Milano, Sonzogno, 1904.
Collocazione: 17* CC. 1020
La tragedia di Bologna. L'assassinio del conte Bonmartini (1904)
In questa illustrazione vediamo un dettaglio che nel caso Murri non ebbe molta importanza - si trattava solo di un elemento atto a sviare le indagini - mentre in Coscienza sporca acquisisce maggior rilievo: il ritrovamento di un indumento intimo femminile sul letto del conte. Nel 1902, lo vediamo nell’immagine, si tratta di mutandine, nel romanzo di Macchiavelli è invece una guêpière di una specifica marca e venduta quindi solamente in un negozio a Bologna. L’interrogatorio della commessa del negozio porterà in luce per la prima volta la figura del giovane biondo che si rivelerà poi essere il sicario assoldato da Stefano Muria.
La camera da letto del conte Bonmartini - Il delegato Reggiani scopre le mutandine nel letto del conte.
Per vedere l’immagine a una risoluzione migliore cliccare qui.
La tragedia di Bologna. L'assassinio del conte Bonmartini, Milano, Sonzogno, 1904.
Collocazione: 17* CC. 1020
Per vedere una più ampia selezione di immagini da questo volume cliccare qui.
La tragedia di Bologna. L'assassinio del conte Bonmartini (1904)
Come nel romanzo di Macchiavelli, anche nelle indagini reali la planimetria dell’appartamento del conte e di Linda in via Mazzini n. 39 fu un elemento importante per stabilire i movimenti dei diversi personaggi.
Pianta dell’appartamento del conte Bonmartini al primo piano della casa N. 39 di via Mazzini.
Per vedere l’immagine a una risoluzione migliore cliccare qui.
La tragedia di Bologna. L'assassinio del conte Bonmartini, Milano, Sonzogno, 1904.
Collocazione: 17* CC. 1020
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Paolo Valera, Murri-Bonmartini. Il piu grande delitto di lusso dei tempi moderni (190?)
Anche Paolo Valera, celebre autore di Milano sconosciuta e specialista nella narrazione e ricostruzione di vicende criminali, si occupa del caso Murri, dedicandogli un volume dal titolo Murri-Bonmartini. Il piu grande delitto di lusso dei tempi moderni. Interessante la definizione «delitto di lusso», che sottolinea come uno degli elementi che colpì maggiormente il pubblico fu che un crimine di questo tipo avvenisse in un ambiente caratterizzato dalla ricchezza, oltre che dalla rilevante posizione sociale e intellettuale degli attori del dramma. La definizione fa il paio con quella di delitto fra “gente perbene” che in molti documenti - a partire dal già citato film del 1974 Fatti di gente perbene - viene utilizzata per indicare l’uccisione del conte Bonmartini. Macchiavelli la riprende nel terzo capitolo della terza parte di Coscienza sporca:
«Sul pavimento del cortile, in vecchi mattoni sbriciolati dal gelo, cade di tutto. Dall’alto, dalle finestre dei piani superiori. E due volte l’anno Teresa ci fa pulizia.
Riempie due bidoni di porcherie. Anche preservativi usati. Che dio sa di dove vengono, dal momento che nel palazzo abita solo gente perbene» (p. 172).
Anche il volume di Valera ha un interessante apparato iconografico che vediamo in parte in questa e nelle prossime immagini, più volto all’aspetto emotivo che a quello documentaristico.
Il titolo dell’immagine che qui vediamo è: Tullio Murri, Rosina Bonetti, il dott. Carlo Secchi, Pio Naldi e Linda Bonmartini.
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Paolo Valera, Murri-Bonmartini. Il piu grande delitto di lusso dei tempi moderni, Milano, Tipografia Leone Magnani, [190?]
Collocazione: 6. RR. V. 52
Paolo Valera, Murri-Bonmartini. Il piu grande delitto di lusso dei tempi moderni (190?)
Il dott. Carlo Secchi ha iniettato il curaro nell’agnello alla presenza di Tullio Murri
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Paolo Valera, Murri-Bonmartini. Il piu grande delitto di lusso dei tempi moderni, Milano, Tipografia Leone Magnani, [190?]
Collocazione: 6. RR. V. 52
Paolo Valera, Murri-Bonmartini. Il piu grande delitto di lusso dei tempi moderni (190?)
La casa di via Mazzini dove fu trucidato il conte Bonmartini
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Paolo Valera, Murri-Bonmartini. Il piu grande delitto di lusso dei tempi moderni, Milano, Tipografia Leone Magnani, [190?]
Collocazione: 6. RR. V. 52
Paolo Valera, Murri-Bonmartini. Il piu grande delitto di lusso dei tempi moderni (190?)
Ninì, l’amante del Bonmartini
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Paolo Valera, Murri-Bonmartini. Il piu grande delitto di lusso dei tempi moderni, Milano, Tipografia Leone Magnani, [190?]
Collocazione: 6. RR. V. 52
Karl Federn, La verità sul processo contro la contessa Linda Murri-Bonmartini (1908)
Il delitto Bonmartini suscita grande interesse anche all’estero, sia nella cronaca dei giornali sia in interventi più ampi e strutturati come il volume che qui vediamo, scritto dall’austriaco Karl Federn. Figura poliedrica, studioso di Dante - che tradusse anche in tedesco - e lui stesso autore di racconti e romanzi, Federn pubblica nel 1907 Die Wahrheit über den Prozess gegen die Gräfin Linda Bonmartini-Murri, che l’anno successivo viene tradotto in italiano e pubblicato da Laterza. L’opera è stata tradotta anche in francese. Fin dal titolo Federn centra l’attenzione su Linda Murri, sulla quale ci soffermeremo nelle prossime immagini.
Karl Federn, La verità sul processo contro la contessa Linda Murri-Bonmartini, tradotto dall'autore e da Angelo Ragghianti, con prefazione di Björnstjerne Björnson, Bari, Laterza, 1908.
Collocazione: VENTURINI B. 1094
Giuseppe Gottardi, In difesa di Linda Murri (1905)
Partiamo dalla fine. Linda Murri nel processo di Torino viene condannata a 10 anni di reclusione per complicità nell’omicidio - del quale si pensa sia la mandante - materialmente eseguito dal fratello Tullio. Nell’aprile del 1906 la Corte di cassazione respinge il ricorso e decide di non riaprire il processo.
«Ma quattro settimane dopo il governo di Sidney Sonnino, su istanza del conte Mainardi, tutore dei due figli Bonmartini, che aveva ottenuto la firma a favore della grazia di dieci dei dodici giurati della corte d’assise di Torino (il che era significativo delle condizioni in cui era maturato il verdetto torinese) propose con successo a Vittorio Emanuele III di firmare l’atto di grazia».
Nicola Tranfaglia, Un delitto di gente per bene. Il processo Murri (1902-1905), in La criminalità, p. 525-552: 551.
Sulle «condizioni in cui era maturato il verdetto torinese» abbiamo già detto che influì moltissimo la campagna denigratoria della stampa contro Linda, accusata di adulterio, colpa non perdonabile e che veniva malignamente posta a fondamento della decisione della donna di fare uccidere il marito. Il clima esterno, più che il dibattimento in aula, aveva influenzato il verdetto. La Biblioteca dell’Archiginnasio possiede diversi documenti relativi al processo torinese. Qui potete vedere il frontespizio del volume (con dedica autografa dell’autore) in cui viene pubblicata l’arringa pronunciata in difesa di Linda dall’avvocato Giuseppe Gottardi, che era stata evidentemente inefficace nel convincere la giuria. Il testo può essere letto integralmente online.
Giuseppe Gottardi, In difesa di Linda Murri. Arringa pronunciata avanti la Corte d'Assise di Torino, Torino [etc.], R. Streglio, [19..]
Collocazione: VENTURINI B. 2289
Linda Murri - Luigi di San Giusto, Memorie di Linda Murri (1905)
Abbiamo detto che la partita relativa alla colpevolezza degli imputati - e di Linda in particolare - si giocò anche, se non soprattutto, fuori dall’aula del Tribunale torinese. Gli organi di stampa e pubblicazioni di varia natura cercarono di fare pressione sui giurati ed evidentemente ci riuscirono se è vero che, come visto nella citazione all’immagine precedente, pochi mesi dopo il verdetto 10 dei 12 giurati firmarono a favore della grazia per Linda, quasi a pentirsi di averla condannata.
La pubblicazione di cui qui vediamo il frontespizio accompagnato da un ritratto della donna - e di cui potete leggere il breve capitolo introduttivo - esce durante lo svolgimento del processo ed è un tentativo di difendere Linda. Il testo è anzi scritto come se lei stessa, rinchiusa in prigione, ne fosse l’autrice, avendolo dettato al coautore Luigi di San Giusto (uno pseudonimo, come vedremo). Sicuramente un artificio letterario volto ad aumentare, con l’uso della prima persona, il coinvolgimento emotivo del lettore nelle sofferenze patite dalla donna in carcere e, prima ancora, nella vita condotta insieme al marito. Lo sforzo difensivo fu inutile nell’immediato, visto il verdetto di condanna, ma forse ebbe una sua influenza nel fare ottenere la grazia alla vedova Bonmartini.
Linda Murri, Memorie di Linda Murri, pubblicate per cura di Luigi di San Giusto, Roma-Torino, Roux e Viarengo, 1905.
Collocazione: VENTURINI A. 1596
Maria Fabbri Pichi, Echi del processo Murri (1906)
L’opuscolo che qui presentiamo (e che può essere letto integralmente online) è composto da un’introduzione (a firma Pietro Corbucci) e due brevi testi. Il primo di questi, Intorno a un delitto e a un processo. Note e impressioni, è datato marzo 1905. Viene quindi redatto poco dopo la data di inizio del processo (21 febbraio 1905) ma non viene pubblicato, come ci informa Corbucci. Probabilmente era destinato ad essere diffuso in una cerchia ristretta e in forma non ufficiale. Vi si trovano, pur se proposte con garbo e senza veemenza, tutte le accuse che gran parte della stampa rivolgeva a Linda, che a parere dell’autrice deve essere senza dubbio condannata, non fosse altro che per la condotta immorale tenuta nei confronti del marito. Maria Fabbri Pichi critica anche aspramente chi scriveva in favore della Murri, come Matilde Serao - «mirabile ingegno, ma non sempre mirabile integrità di convincimenti» (p. 10) - e lo stesso autore delle Memorie di Linda Murri visto nell’immagine precedente. Autrice anzi, dal momento che Fabbri Pichi ci informa che dietro lo pseudonimo Luigi di San Giusto si cela un’insegnante torinese, ancora più esecrabile in quanto «educatrice di professione [...] a cui la cura di tènere anime dovrebbe imporre un’austera dignità di parola e di vita» e impedire di diffondere - come invece ha fatto chiedendo l’assoluzione di Linda - «malsane teorie [...] maestre di pervertimento» (p. 9-10). Dietro lo pseudonimo si celava la scrittrice Luisa Macina Gervasio (si veda Valeria P. Babini, Il caso Murri, p. 227).
Il secondo testo dell’opuscolo è dedicato proprio a criticare le Memorie di Linda Murri, giudicato un testo ben scritto e di piacevole lettura ma inaccettabile nel suo tentativo di presentare la vedova Bonmartini come una vittima innocente - in particolare del marito - quando invece vittima, prima ancora di essere assassinato, era lo stesso conte. La colpa maggiore di Linda sembra proprio essere stata il non sapersi adattare a lui, non sapere sopportarne i difetti come ogni moglie - e madre - dovrebbe fare:
«Eppure noi, e non solo noi ma tutti, abbiamo conosciuto innumeri, buone madri che per l’amore immenso alle loro creature, per non staccarsi da Esse, hanno sopportato nel marito ben altro che una certa grossolanità di maniere, che qualche trascuratezza nel vestire, che una scarsa intellettualità della mente» (p. 26).
Questo secondo testo è datato aprile 1906 e si posiziona quindi nel pieno del dibattito sulla colpevolezza di Linda e la correttezza della sua condanna che si ravviva in seguito alla richiesta (respinta) di riaprire il processo e alla domanda di grazia (accolta) per Linda. Va specificato che la grazia non venne mai chiesta direttamente dalla donna ma, come abbiamo visto, dal tutore dei suoi figli.
Maria Fabbri Pichi, Echi del processo Murri, Pesaro, Nobili, 1906.
Collocazione: MISC. B. 2159
Linda Murri, 50 anni dopo
Una curiosità per chiudere questo breve excursus su Linda: all’interno della copia di Autopsia di un delitto posseduta dall’Archiginnasio è stato ritrovato un ritaglio del «Resto del Carlino» del 13 luglio 1955 dedicato proprio alla figlia dell’esimio medico e intitolato L’ottantaquattrenne Linda Murri ha messo in vendita i suoi terreni. Nell’articolo viene brevemente ricostruito il caso e si accenna a dove e come abbia vissuto Linda nei 50 anni trascorsi da quegli eventi che le avevano segnato la vita.
Tullio Murri, Galera (1921) e Una pagina di follia e di lacrime (1923)
Tullio Murri nel processo di Torino viene condannato a 30 anni di reclusione come esecutore dell’omicidio di Francesco Bonmartini. Esce di galera dopo 17 anni e ottiene un certo successo come scrittore di romanzi. Galera invece è un libro-inchiesta che racconta le condizioni di vita nelle carceri italiane, nel tentativo di renderle meno dure. Tentativo rimasto vano, dal momento che - come l’autore stesso afferma nella prefazione a questo volume, rinnovata rispetto a quella delle prime due edizioni dell’opera - nonostante le molte copie vendute, nessuno «nelle altissime sfere cui è affidata la legislazione ed il governo dello Stato» ha ascoltato «il grido d’angoscia di ventimila infelici» (p. 1).
Qualche anno più tardi Murri scrive una appendice a Galera dal titolo Una pagina di follia e di lacrime, in cui sostiene la necessità di riforme che rendano «più logica e più umanamente giusta l’applicazione delle pene» (p. 1).
Per leggere le prefazioni a queste due opere cliccare qui.
Tullio Murri, Galera, 3. ed., Milano, Modernissima, 1921.
Collocazione: 8. O. I. 46
Tullio Murri, Una pagina di follia e di lacrime. Appendice a “Galera”, Firenze, Società Editrice Florentia, 1923.
Collocazione: 6. G*. V. 62
Il Fondo speciale Tullio Murri in Archiginnasio
L’Archiginnasio conserva un fondo archivistico che contiene 45 lettere e 8 cartoline postali inviate fra il 1924 e il 1928 da Tullio Murri alla scrittrice istriana Nike Clama e una lettera di Velia Murri, moglie di Tullio, spedita alla stessa scrittrice dopo la morte del marito. La corrispondenza Murri-Clama (donata all’Archiginnasio nel 1970 dalla sorella della scrittrice, Sabina) è stata pubblicata da Ròiss (al secolo Enzo Rossi) nel volume L'innocenza di Tullio Murri, che a dispetto del titolo sostiene la colpevolezza del figlio del professore in polemica con tesi innocentiste, prima fra tutte quella di sua figlia Gianna, che incontreremo nella prossima immagine.Nel fondo archivistico sono presenti anche le due fotografie di Tullio che si vedono in questa immagine. Quella a sinistra è utilizzata da Ròiss sulla copertina del libro prima citato e riproposta all’interno del volume (fra le tavole fuori testo) con la didascalia: «T. M. appena uscito dal carcere». Quella a destra invece, anch’essa inviata a Nike Clama, non sembra essere mai stata pubblicata finora se non proprio sulle nostre pagine di presentazione del fondo.Nello schedone in cui vengono registrate le persone che hanno consultato il Fondo speciale Tullio Murri in Archiginnasio, è indicato che «Enzo Rossi (Ròiss), scrittore italiano», in data 12 dicembre 1974, ha non solo visionato il materiale, ma lo ha anche «fotocopiato tutto». Nel volume però non viene citata la presenza di queste lettere dal fondo posseduto dall’Archiginnasio. Ròiss lamenta il fatto che la famiglia Murri ha negli anni cercato di sottrarre alla curiosità della gente la documentazione riguardante il delitto facendo «incetta presso librerie antiquarie [...] al punto che le memorie di Linda Murri e i libri scritti e pubblicati dalla stessa con lo pseudonimo Anhelus risultano introvabili perfino nelle biblioteche pubbliche» (p. 43-44). Se era così nel 1975, oggi possiamo dire - e speriamo di averlo in parte dimostrato in questa sede - che la documentazione è copiosa e può essere rintracciata e consultata.Tullio Murri, fotografieFondo speciale Tullio Murri, n. 55-56
Gianna Murri, La verità sulla mia famiglia e sul delitto Murri (2003)
Chiudiamo la trattazione del caso Murri con una coincidenza che ci riporta a Coscienza sporca. Nel 2003 Gianna Murri, figlia di Tullio, pubblica il libro La verità sulla mia famiglia e sul delitto Murri, in cui propone - sulla base di un racconto fatto dal padre e da lui fissato in un memoriale andato perduto - una verità alternativa a quella stabilita nel processo di Torino. L’assassinio del conte Bonmartini sarebbe stato commesso da un facchino, amante della governante di Linda. La stessa Linda sarebbe stata la mandante dell’omicidio, in associazione con il suo amante Carlo Secchi. Tullio sarebbe arrivato sul luogo del delitto quando Bonmartini era già morto e si sarebbe limitato a modificare la scena del crimine per fare credere a un tentativo di rapina e salvare la sorella dai sospetti. Così Gianna descrive il facchino:
«L’uomo si chiamava Labella. O La Bella. Il nome di battesimo mi sembra di non averlo mai saputo. Era stato soprannominato “Il biondino”. E qui intervengo io, con una mia supposizione: se era un facchino, era di sicuro un omaccione, non certo un omarino così piccolo ed esile da giustificare il diminutivo. Ma i bolognesi di una volta scherzavano su tutto e immagino che lo chiamassero “Il biondino” perchè un diminutivo affibbiato a un gigante faceva più ridere» (p. 118).
A chi ha letto Coscienza sporca il soprannome del facchino, “Il biondino”, non può non fare pensare a colui che materialmente compie l’omicidio nel romanzo, il sedicente Milos Ranko, biondo, con gli occhi azzurri e somigliante a Gesù. Pagato da Stefano Muria per uccidere il marito della sorella, riesce a farla franca e anche a guadagnare una bella cifra.
Gianna Murri, La verità sulla mia famiglia e sul delitto Murri, Bologna, Pendragon, 2003.
Collocazione: 20. W. 3072
La strage del Pilastro - «Il Resto del Carlino», 5 gennaio 1991
Coscienza sporca ripropone più volte lungo le sue pagine il tema scottante del caso della Uno bianca, che è stato “risolto” nel 1994, un anno prima dell’uscita del libro. La scoperta che la più feroce banda criminale degli ultimi decenni fosse formata in gran parte da poliziotti ha ridotto al minimo la fiducia dei cittadini nel lavoro della Questura bolognese e la stampa ha naturalmente trattato l’argomento in maniera molto approfondita, non sempre con la serietà necessaria ma indulgendo spesso al sensazionalismo o al pettegolezzo. Il romanzo ripropone esattamente quanto avvenuto nella realtà. I giornali «ci vanno a nozze e scavano nel marcio» (p. 27) e il superiore di Sarti, Raimondi Cesare, è stato trasferito e rimpiazzato dal dottor Insignito Del Carmine (si veda il terzo capitolo della seconda parte, Il capo se ne va, arriva il capo). Il lavoro del questurino è diventato quindi ancora più difficile, anche perchè viene colto dal dubbio che non ci si possa fidare neanche dei colleghi.
Non possiamo qui ripercorrere la storia della Banda della Uno bianca né proporre i numerosissimi libri e articoli che l’hanno analizzata e raccontata. Ci limiteremo a segnalare alcuni episodi e documenti particolarmente significativi.
Il primo è una delle azioni criminali più efferate compiute dalla banda, quella che verrà poi definita la Strage del Pilastro, del gennaio 1991. Tre carabinieri vennero uccisi dai criminali. Vediamo in questa immagine la prima pagina de «Il Resto del Carlino» che dà notizia del massacro il 5 gennaio 1991.
«Il Resto del Carlino», 5 gennaio 1991.
Collocazione: 19/1
La strage del Pilastro - «Il Resto del Carlino», 6 gennaio 1991
Nella prima pagina della cronaca bolognese de «Il Resto del Carlino» del 6 gennaio 1991 troviamo due elementi interessanti.
Da una parte la mappa dei peggiori episodi criminali verificatisi in città negli ultimi anni. Ci torneremo fra poco, quando una mappa analoga verrà pubblicata ancora dal quotidiano bolognese dopo l’arresto dei fratelli Savi.
Dall’altra il titolo dell’articolo Addio alla città famiglia, che raccoglie le opinioni della gente su come sia cambiata, in peggio, negli ultimi anni la città. Un concetto che Macchiavelli ha disseminato lungo tutto il romanzo, dedicandovi un intero capitolo - l’undicesimo della parte seconda, intitolato Bologna sogna - per sviscerarlo in maniera più contestualizzata e meno banale.
«Il Resto del Carlino», 6 gennaio 1991.
Collocazione: 19/1
Uno bianca: gli arresti (da «Il Resto del Carlino», 23-27 novembre 1994)
Roberto Savi, il poliziotto che con il fratello Fabio ha guidato le imprese criminali e sanguinose della Banda della Uno bianca, viene arrestato il 22 novembre 1994. È interessante seguire lo sviluppo della notizia nei giorni successivi. Utilizziamo sempre «Il Resto del Carlino» come punto di osservazione, scorrendone alcune pagine pubblicate fra il 23 e il 27 novembre.
Il 23 novembre, giorno successivo all’arresto di Roberto Savi, il quotidiano pubblica una mappa dei casi criminosi bolognesi compiuti fra 1990 e 1994 che riprende (anche nel titolo) e aggiorna quella pubblicata in occasione della strage del Pilastro quasi quattro anni prima. Si tratta naturalmente dei casi che si ritiene possano essere ascritti ai fratelli Savi e ai loro complici. Sorprende che nell’elaborazione grafica del 1994 manchi proprio la strage dei Carabinieri del gennaio 1991.
Troviamo i primi sospetti che anche quell’episodio porti la firma della Banda della Uno bianca sulla cronaca bolognese del 25 novembre. Il giorno successivo, sabato 26, l’articolo intitolato Sono loro i killer del Pilastro? sembra proporre una domanda retorica più che un dubbio vero e proprio, dal momento che il testo firnato da Nicoletta Rossi e Roberto Canditi ipotizza in maniera piuttosto convinta che quella è la pista giusta da seguire. Il giorno dopo, domenica 27 novembre, arriva infatti la conferma, in prima pagina: Hanno ucciso i carabinieri al Pilastro e alla Coop. Ma se facciamo un passo indietro, all’articolo di Rossi e Canditi, troviamo un altro elemento interessante. La strage del Pilastro non era contemplata fra i crimini della Uno bianca perchè era stata rivendicata dalla fantomatica organizzazione Falange Armata, che aveva d’altra parte rivendicato numerose altre azioni compiute in realtà dai poliziotti-criminali. Tanto che, lo dice ancora l’articolo del 26 novembre, gli stessi fratelli Savi sono sospettati di fare parte di Falange Armata. Tutto ciò c’entra poco con Macchiavelli, che pubblica Coscienza sporca quando ormai questi misteri sono stati dipanati, ma ci porta a un altro romanzo poliziesco bolognese, che vedremo nella prossima immagine.
«Il Resto del Carlino», 23-27 novembre 1994.
Collocazione: 19/1
Carlo Lucarelli, Falange armata (1993)
Il romanzo è, naturalmente, Falange Armata, che Carlo Lucarelli pubblica in prima edizione nel 1993. Quindi ben prima che si verifichi l’arresto dei fratelli Savi e che il caso della Uno bianca riveli la sua clamorosa verità. Una verità che lo scrittore bolognese, in maniera non si sa quanto consapevole, sembra anticipare in questo romanzo che vede un collega di Coliandro - che fa qui il suo esordio in un romanzo, dopo essere già comparso in alcuni racconti - coinvolto nell’organizzazione che dà il titolo al libro e che è responsabile di azioni criminali che ricordano molte di quelle compiute dalla banda guidata dai Savi. Uno dei luoghi comuni della critica letteraria degli ultimi 20 anni è che il romanzo poliziesco o noir riesca a leggere e raccontare la realtà meglio di quanto facciano giornali e saggi di sociologia. Quello di Falange Armata è sicuramente uno degli esempi più clamorosi su cui basare questa affermazione. Non sorprende quindi che il romanzo in seguito sia stato ripubblicato in numerose edizioni.
Non possiamo non sottolineare, in questa prima edizione del romanzo pubblicata col marchio Metrolibri dalla benemerita Granata Press di Luigi Bernardi, lo splendido disegno che si dipana su copertina, quarta di copertina e risvolti, firmato da uno degli autori più importanti del fumetto e dell’illustrazione mondiale, Lorenzo Mattotti.
Carlo Lucarelli, Falange Armata, Bologna, Metrolibri, 1993.
Collocazione: 20. H. 1130
Maurizio Matrone, Erba alta (2003)
Nell’impossibilità di citare tutti i libri che si sono occupati del caso della Uno bianca, chiudiamo la nostra gallery con un altro romanzo che racconta quegli eventi - con tutte le modifiche e le libertà che la forma romanzesca prevede - da un punto di vista particolare. Maurizio Matrone infatti, autore di questo Erba alta, era poliziotto a Bologna negli anni in cui i Savi e i loro complici compivano le loro azioni. Ed era poliziotto quando i suoi colleghi sono stati arrestati.
Maurizio Matrone, Erba alta, Milano, Frassinelli, 2003.
Collocazione: 17*. AA. 659